Età giolittiana: differenze tra le versioni

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Questo cambiamento gli consentì di seguire un po' più agevolmente quella politica che si era proposta già all'epoca del suo primo mandato: conciliare gli interessi della borghesia con quelli dell'emergente [[proletariato]] (sia [[agricoltura|agricolo]] che [[industria]]le); a questo proposito è notevole come Giolitti fu il primo a proporre l'entrata nel suo governo come ministro al socialista [[Filippo Turati]], che rifiutò, convinto che la base socialista non avrebbe capito una sua partecipazione diretta ad un governo liberale borghese. Tuttavia, nonostante l'opposizione della corrente [[massimalismo (politica)|massimalista]], in quel periodo minoritaria, Turati appoggiò dall'esterno il governo Giolitti che in questo contesto poté varare norme a tutela del lavoro (in particolare infantile e femminile), sulla vecchiaia, sull'invalidità e sugli infortuni; i [[prefetto|prefetti]] furono invitati ad usare maggiore tolleranza nei confronti degli [[sciopero|scioperi]] a condizione che non turbassero l'ordine pubblico; nelle gare d'[[appalto]] furono ammesse le [[cooperativa|cooperative]] cattoliche e socialiste.
 
L'apertura nei confronti dei socialisti, insomma, fu una vera e propria costante di questa fase di governo: Giolitti programmava, infatti, di estendere il consenso nei riguardi del governo presso queste areease popolari, e in particolare presso quelle [[aristocrazia|aristocrazie]] operaie che, grazie adper una migliore [[retribuzione]] [[salario|salariale]] e, quindi, a un migliore [[tenore]]politica di [[vita]], raggiungevano il reddito minimo che consentiva ilmoderate [[diritto di votoriformismo|riforme]]. Giolitti era infatti convinto che non fosse utile a nessuno tenere bassi i salari perché da un lato non avrebbe consentito ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, dall'altro avrebbe strozzato il mercato provocando una sovrapproduzione.
 
La situazione storica che attraversava il partito socialista, spaccato tra [[massimalismo (politica)|massimalisti]] rivoluzionari e turatiani riformisti favorì il programma giolittiano di coinvolgerlo nella guida del paese, ma anche lo condizionò come apparve dagli spostamenti a destra o a sinistra che subì il suo governo a seconda di quale corrente prevalesse nei periodici congressi del partito. Giolitti riproponeva la politica del [[trasformismo (politica)|trasformismo]] nel tentativo di isolare l'estrema sinistra e dividere i socialisti associandoli al governo. Tuttavia [[Filippo Turati]], che pure in un discorso del 22 maggio [[1907]] aveva dichiarato alla [[Camera dei Deputati|Camera]] che le trasformazioni sociali dovessero avvenire «''per una via di evoluzione, di penetrazione, di sostituzione graduale''», in quanto egli pensava che la violenza rivoluzionaria «''avesse una funzione clamorosa e decorativa, assai più che una funzione sostanziale''», non soddisfece a pieno le aspettative di Giolitti, rifiutando la partecipazioneeglpartecipazione diretta al suo governo che preferì appoggiare dall'esterno, temendo, se avesse accettato il ministero offertogli, le ripercussioni sulla sua base elettorale scandalizzata da un aperto sostegno socialista a un governo liberale dei "padroni".
Per la riuscita di questo suo progetto occorrevano due condizioni: la prima che i socialisti rinunziassero alle loro proclamate volontà rivoluzionarie, che del resto non avevano mai neppure accennato a tradurre in atto anche nelle più favorevoli occasioni insurrezionali come quelle da poco presentatesi con la rivolta dei [[Fasci siciliani]],<ref>Di questa rivolta popolare siciliana, si era occupato negli anni [[1892]]-[[1893]] Giolitti alla sua prima presidenza del consiglio, non intervenendo direttamente a reprimerla, ma lasciando che si esaurisse da sola. La ribellione che pure era caratterizzata da una vasta partecipazione di tutte le classi, continuò e si estese a tutta l'isola ma alla fine fallì per la repressione operata da Crispi, al suo secondo governo, con l'invio di 50000 uomini dell'esercito, ma soprattutto perché non ebbe una guida politica organizzata come quella del partito socialista che vedeva sconfessate le sue teorie operaiste secondo le quali avrebbero dovuto essere gli operai del Nord a mettere in atto la rivoluzione proletaria. I socialisti, comunque accusati da Crispi di aver fomentato la rivolta e messi al bando, rigettarono le accuse di ogni loro coinvolgimento pur assumendosene la "responsabilità morale".</ref> la seconda che la [[borghesia]] italiana fosse disponibile a rinunciare, almeno in piccola parte, ai suoi privilegi di classe per una politica di moderate [[riformismo|riforme]].
 
La situazione storica che attraversava il partito socialista, spaccato tra [[massimalismo (politica)|massimalisti]] rivoluzionari e turatiani riformisti favorì il programma giolittiano di coinvolgerlo nella guida del paese, ma anche lo condizionò come apparve dagli spostamenti a destra o a sinistra che subì il suo governo a seconda di quale corrente prevalesse nei periodici congressi del partito. Giolitti riproponeva la politica del [[trasformismo (politica)|trasformismo]] nel tentativo di isolare l'estrema sinistra e dividere i socialisti associandoli al governo. Tuttavia [[Filippo Turati]], che pure in un discorso del 22 maggio [[1907]] aveva dichiarato alla [[Camera dei Deputati|Camera]] che le trasformazioni sociali dovessero avvenire «''per una via di evoluzione, di penetrazione, di sostituzione graduale''», in quanto egli pensava che la violenza rivoluzionaria «''avesse una funzione clamorosa e decorativa, assai più che una funzione sostanziale''», non soddisfece a pieno le aspettative di Giolitti, rifiutando la partecipazione diretta al suo governo che preferì appoggiare dall'esterno, temendo, se avesse accettato il ministero offertogli, le ripercussioni sulla sua base elettorale scandalizzata da un aperto sostegno socialista a un governo liberale dei "padroni".
 
A questo proposito la [[critica]] [[storiografia|storiografica]] nota come, da queste migliori condizioni sociali, rimanessero esclusi i lavoratori meno qualificati (in particolare quelli [[Mezzogiorno (Italia)|meridionali]]), di fatto spesso e volentieri emarginati dai progetti politici di Giolitti (e che andarono a confluire nei partiti massimalisti).