Socializzazione dell'economia: differenze tra le versioni

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Nell'ambito dell'ideologia [[fascismo|fascista]], la [[locuzione]] '''socializzazione dell'economia''' indica una teoria, proclamata sul finire dellanella [[Repubblica Sociale Italiana]], di trasformazione sociale dell'economia nella quale la proprietà dei [[mezzi di produzione]] non è esclusiva del [[capitalista]], ma è partecipata con i lavoratori impiegati nell'azienda.
 
Tale teoria [[Economia politica|economica]] venne elaborata e prevista nel [[Manifesto di Verona]], documento che conteneva il programma politico del [[Partito Fascista Repubblicano]], allora alla guida della neo costituita [[Repubblica Sociale Italiana]]. Il manifesto fu presentato durante il [[Congresso di Verona (1943)|Congresso del PFR]] tenutosi a [[Verona]] il 14 novembre [[1943]]. Fino ad allora, secondo i fascisti intervenuti a Verona, ogni realistico tentativo di apporre più ardite modifiche al sistema economico italiano era naufragato di fronte all'ostracismo dei poteri economici definiti come [[plutocrazia]].
 
Nel ''Manifesto di Verona'' si affermava che la base della Repubblica Sociale Italiana e della dottrina economica del Partito Fascista Repubblicano èsarebbe stato il lavoro (articolo 9); che la proprietà privata, frutto di lavoro e risparmio sarebbe stata garantita, ma non si sarebbe dovuta per ciò trasformare in entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro (articolo 10). Tutto ciò che era di interesse collettivo, da un punto di vista economico si sarebbe dovuto nazionalizzare (articolo 11). Nelle aziende sarebbe stata avviata e regolata la collaborazione tra maestranze e operai per la ripartizione degli utili e per la fissazione dei salari (articolo 12). In agricoltura le terre incolte o mal gestite sarebbero state espropriate e riassegnate a favore di braccianti e cooperative agricole (articolo 13). L'Ente Nazionale per la casa del popolo avrebbe avuto l'obbiettivo di fornire una casa in proprietà a tutti (articolo 15). Si sarebbe costituito un [[Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti|sindacato dei lavoratori]], obbligatorio, e avrebbe riunito tutte le categorie (articolo 16).
 
 
== La socializzazione nel fascismo ==
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Fu Mussolini già il 23 settembre 1943 nel formare il governo a volere l'istituzione del ministero dell'Economia corporativa, nominando ministro prima Silvio Gai e dal 1º gennaio 1944 [[Angelo Tarchi (politico)|Angelo Tarchi]]. Fu quest'ultimo ad accelerare la stesura del decreto legge sulla socializzazione.
 
La socializzazione delle imprese - vista con sospetto e boicottata dalla [[Nazionalsocialismo|Germania nazionalsocialista]], operante riforme socialiste su un diverso binario<ref>R. Dubail "L'ordinamento economico nazionalsocialista", Edizioni all'Insegna del Veltro</ref> - venne disposta inizialmente con il Decreto Legislativo del 12 febbraio 1944 N.375, alla firma di [[Benito Mussolini]] unita a quelle di [[Domenico Pellegrini Giampietro]] e [[Piero Pisenti]]. Per diretta conseguenza il compito venne assegnato al ministro dell'Economia corporativa l'ingegner Angelo Tarchi, che si insediò nella sede del ministero, a Bergamo.
 
La base della socializzazione è la totale assenza di [[Lavoro subordinato|lavoro dipendente]], ovvero: ogni entità produttiva appartiene in egual misura a tutti i suoi lavoratori, senza più padroni né dipendenti. Ciò a differenza del capitalismo, dove un'entità produttiva è di proprietà di una persona o di una [[Società (diritto)|società]] di persone, anche estranee alla produzione, mentre la produzione è affidata a lavoratori dipendenti. E, a differenza della dottrina comunista, dove si ritiene che la proprietà privata dei mezzi di produzione debba essere abolita e collettivizzata in un sistema che l'assegna allo Stato stesso.<br />
La socializzazione redistribuisce la proprietà, eliminando i rapporti umani di sudditanza e dipendenza salariati, confidando sulla naturale maggior responsabilizzazione dei lavoratori di fronte all'autogestione del loro lavoro e del loro capitale.
Similmente al capitalismo, la teoria socializzatrice prevede il diritto alla [[proprietà privata]], la [[Autonomia privata (diritto civile)|libertà d'iniziativa]] economica, il rispetto della [[Domanda e offerta|legge della "domanda-offerta"]] e della [[Concorrenza (diritto commerciale)|libera concorrenza]].
La socializzazione, a differenza della [[collettivizzazione]] comunista, non prevede l'attuazione dei propri contenuti dottrinali mediante una [[rivoluzione]] espropriativa, ma mediante la proibizione legislativa del [[lavoro]] salariato e la contemporanea concessione di un [[credito sociale]].
La [[gerarchia]] e la [[distribuzione degli utili]] delle grandi aziende verrebbe decisa attraverso il consenso di tutti i lavoratori dell'azienda, nello stile del corporativismo e in un'ottica di [[meritocrazia]].
 
Gli industriali italiani erano naturalmente ostili ad una riforma così vasta e drastica, che avrebbe perlomeno sensibilmente ridotto il loro enorme potere e, sebbene ufficialmente avessero appoggiato la proposta, tentarono in ogni modo di affossare la legge.
 
Il 20 giugno [[1944]], ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio, [[Anselmo Vaccari]], in un rapporto diretto a Mussolini riportò le difficoltà di far comprendere ai lavoratori il provvedimento socializzativo a causa della perdita di ascendente del fascismo tra la popolazione a causa delle sorti belliche.<ref>"I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi. È questo un preconcetto ed un preconcetto malevolo, perché i lavoratori italiani furono portati da Voi su un piano di dignità prima sconosciuto. La massa ragiona, anzi "sragiona", in un modo assai strano. Addossa al fascismo e a noi il tracollo sul campo di battaglia, l'alleanza con la Germania che reputa funesta, l'invasione del territorio nazionale, la perdita dei possedimenti coloniali (dimenticando che l'Impero era stato creato da Voi); la distruzione delle città, i lutti sparsi dovunque copiosamente. Insomma, la massa dice che tutto il male che abbiamo fatto al popolo italiano dal 1940 a oggi supera il grande bene elargitole nei precedenti venti anni e attende dal compagno Togliatti, che oggi pontifica da Roma in nome di Stalin, la creazione di un nuovo Paese di Bengodi, nel quale, accanto a un comunismo annacquato, cioè mediterraneo, direi quasi solare, dovrebbe sopravvivere una democrazia di marca anglo-sassone, pronta ad agire e frenare il prevalere delle ideologie che vengono da Oriente (...). È certo che oggi i lavoratori affermano che la socializzazione non si farà, o, se si farà, essa contribuirà a rafforzare i ceti capitalistici e a mantenere in istato di soggezione il lavoro. Su questo terreno l'influenza germanica è da essi considerata negativa e, comunque, tale da far rimandare la soluzione del problema al dopoguerra. Il che fa dileguare ogni speranza e allontana sempre più da noi lavoratori, che ci considerano, a torto s'intende, gli sgherri del capitale; fa gravare su di noi il disprezzo, perché affermano che non siamo in buona fede, e fa ritenere l'annuncio della socializzazione come l'ennesimo espediente per attirare nella nostra orbita i pochi ingenui che ci accorderebbero ancora credito." - ''Rapporto Vaccari'' al Duce, in: Santo Peli, ''Storia della Resistenza in Italia'', Einaudi, Torino, 2006, ISBN 88-06-18092-4, p. 69; Edoardo e Duilio Susmel ''Opera Omnia di Benito Mussolini'', La Fenice, Firenze; F. Deakin, ''Storia della Repubblica di Salò'', Einaudi, Torino, 1963; Gianni Oliva, ''La Repubblica di Salò'', Giunti, 1997.</ref>
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L'attuazione integrale della socializzazione era prevista, ironia della sorte, per il 25 aprile [[1945]].<ref>[[Antonio Fede]], Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, pag. 41</ref>
 
Difatti il 25 aprile 1945 tra i primi atti politico-amministrativi del [[CLNAI]] (il CLNAI era formato da: comunisti (PCI), cattolici (DC), azionisti (PdA), liberali (PLI), socialisti (PSIUP) e democratici-progressisti) dopo la sconfitta del [[fascismo]] nel [[nord Italia]], vi fu proprio l'[[abrogazione]] del Decreto LeggeDL sulla Socializzazionesocializzazione<ref>DECRETO DEL C.L.N. SUI [[Consiglio di Gestione (RSI-CLNAI)|CONSIGLI DI GESTIONE]]
<br />
25 aprile 1945
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<br />C.L.N., Bollettino ufficiale degli atti del C.L.N.-Giunta regionale di
governo per il Piemonte, 25 aprile 1945, tratto da:<br />Perticone, G. ''La repubblica di Salò'', Ed. Leonardo, Roma 1947</ref>.
 
== Critica ==
Per i critici di parte [[comunista]], "socializzazione" non avrebbe il significato di parificazione totale delle ricchezze, in quanto, anche se la proprietà di una azienda è percentualmente uguale per tutti, la suddivisione dei profitti non sarebbe stata ugualmente la stessa, ma decisa dall'assemblea aziendale a seconda dei ruoli o delle capacità. Di conseguenza, i dirigenti nominati avrebbero potuto ricevere una percentuale superiore alle maestranze, e questi dirigenti avrebbero potuto anche essere gli ex-proprietari. Inoltre un'azienda meno produttiva di un'altra avrebbe inevitabilmente assicurato redditi netti suddivisi inferiori rispetto ad una più produttiva<ref>L. Gruppi, ''Togliatti e la via italiana al socialismo'', Ed Riuniti, 1976, pag. 153</ref>.
 
I sostenitori della socializzazione rispondono che il sistema non sarebbe più codificato dal diritto dello Stato o da contratti sindacali, ma lasciato liberamente all'autogestione dell'assemblea dei lavoratori di ogni azienda. L'operaio o l'impiegato, co-proprietari dell'azienda in cui lavorano, avrebbero perciò tutto l'interesse al successo ed all'espansione dell'azienda stessa. Si otterrebbe perciò una maggior responsabilizzazione al lavoro ed un maggior reddito per gli ex-dipendenti rispetto al salario.<ref>Antonio Fede, Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, pag. 47</ref>.
 
== Note ==