Età giolittiana: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
LiveRC : Annullate le modifiche di 37.116.22.10 (discussione), riportata alla versione precedente di Joaquin008
culo
Etichette: Possibile modifica di prova o impropria Modifica visuale
Riga 1:
{{Torna a|Storia d'Italia}}
 
Per '''età giolittiana''' s'intende quel periodo della storia italiana che va dal [[1901]] al [[1914]], un quindicennio circa che prese il nome dai governi del [[liberalismo|liberale]] [[Giovanni Giolitti]] che caratterizzarono la vita politica italiana sino alla vigilia della [[prima guerra mondiale]]. Anche nei periodi in cui i governi non furono presieduti da Giolitti, egli mantenne comunque la sua preminenza sulla politica italiana. Essa si innesta sulla fine della [[Sinistra storica]]: è anticipata da un primo governo transitorio, sul finire del [[XIX secolo]], in un momento di crisi di [[Francesco Crispi]], comincia propriamente dopo la crisi di fine secolo e, con l'ultimo governo di Giolitti, ha una coda prima [[Marcia su Roma|dell'instaurazione del regime fascista]].
 
L'età giolittiana fu caratterizzata da una notevole crescita economica e sociale, e si svolse nell'ultima parte di quel periodo chiamato, a livello internazionale, ''[[Belle Époque]]''. Ebbe anche, sul finire, la ripresa del [[colonialismo italiano]] con la [[guerra di Libia]].
[[File:Young giolitti.jpg|thumb|Il giovane Giolitti]]
== La premessa: Giolitti I (maggio [[1892]] - dicembre [[1893]]) ==
{{vedi anche|Governo Giolitti I}}
L'inizio del primo ministero di Giovanni Giolitti coincise sostanzialmente con la prima vera disfatta del governo di [[Francesco Crispi|Crispi]], messo in minoranza nel febbraio del [[1891]] su una [[proposta di legge]] di inasprimento [[fisco|fiscale]]. Dopo Crispi, e dopo una breve parentesi (6 febbraio [[1891]] - 15 maggio [[1892]]) durante la quale il paese fu affidato al governo liberal-conservatore del [[Antonio Starrabba|marchese Di Rudinì]], il 15 maggio [[1892]] fu nominato Primo Ministro Giovanni Giolitti, allora ancora facente parte del gruppo crispino.
 
Il suo rifiuto di reprimere con la forza le proteste che, nel frattempo, attraversavano estesamente il paese e che, il più delle volte, si riversavano nelle piazze (vedi il paragrafo [[Giovanni Giolitti#L.27ideologia politica|L'ideologia politica]]) a causa di una generale crisi [[economia|economica]] che faceva salire, fra l'altro, il costo dei beni di prima necessità; le voci che lo indicavano come propositore di una [[tassa]] progressiva sul [[reddito]] (motivi, entrambi, che gli alienarono il consenso dei [[Classe (sociale)|ceti]] [[dirigente|dirigenti]] [[borghesia|borghese]]-[[imprenditore|imprenditoriale]] e dei proprietari terrieri, che vedevano in lui una minaccia ai propri [[interesse|interessi]] economici) e, infine, lo [[scandalo della Banca Romana]] che gli valse accuse di aver "coperto" irregolarità fiscali (prima con il suo dicastero delle finanze e poi con una costante riluttanza all'apertura di [[inchiesta|inchieste]] parlamentari) lo travolsero in pieno facendogli crollare la base del consenso su cui poggiava la sua ancora giovane [[politica]] e lo costrinsero a dimettersi poco più di un anno e mezzo dalla nomina, il 15 dicembre [[1893]].
 
== Tra il Giolitti I ed il Giolitti II: la crisi di fine secolo ==
{{vedi anche|Governo Zanardelli}}
Di fronte alle debolezze mostrate da Giolitti, appena dimessosi, gli elettori (ancora relativamente pochi, a causa del suffragio ristretto) vollero di nuovo affidarsi al governo repressivo di Crispi, per tentare di porre fine ai continui disordini causati dai lavoratori.
La politica estera di Crispi, aggressiva e [[colonialismo|colonialista]], lo portò in [[Eritrea]], ma una serie di sconfitte culminate con quella di [[Battaglia di Adua|Adua]] (1º marzo [[1896]]) ne causarono le dimissioni. Il periodo che va da questo momento sino al [[1903]], quando Giolitti ritornò Primo Ministro, è comunemente indicato come la "crisi di fine secolo": un periodo di [[recessione]] economica contribuì infatti all'aumento della tensione sociale e politica, che si tradusse nella successione di 11 governi (tra cui quelli autoritari di [[Luigi Pelloux]]) in appena 10 anni.
 
Il 4 febbraio [[1901]] il pronunciamento di Giolitti alla [[Camera dei Deputati|Camera]], emblematico della sua [[ideologia]], contribuì alla caduta del governo allora in carica, il [[Governo Saracco]], responsabile di aver ordinato lo scioglimento della Camera del Lavoro di [[Genova]].
 
Già a partire dal [[governo Zanardelli]] (15 febbraio [[1901]] - 3 novembre [[1903]]), Giolitti ebbe una notevole influenza che andava oltre quella propria della sua carica di ministro degli Interni, anche a causa dell'avanzata età del presidente del Consiglio.
 
== Giolitti II (novembre [[1903]] - marzo [[1905]]) ==
{{vedi anche|Governo Giolitti II}}
[[File:Giolitti2.jpg|thumb|Giovanni Giolitti]]
Il 3 novembre [[1903]] Giolitti ritornò al governo, ma questa volta si risolse per una svolta radicale: si oppose, come prima, alla ventata reazionaria di fine secolo, ma lo fece dalle file della [[Sinistra (politica)|Sinistra]] e non più del gruppo crispino come fino ad allora aveva fatto.
 
Questo cambiamento gli consentì di seguire un po' più agevolmente quella politica che si era proposta già all'epoca del suo primo mandato: conciliare gli interessi della borghesia con quelli dell'emergente [[proletariato]] (sia [[agricoltura|agricolo]] che [[industria]]le); a questo proposito è notevole come Giolitti fu il primo a proporre l'entrata nel suo governo come ministro al socialista [[Filippo Turati]], che rifiutò, convinto che la base socialista non avrebbe capito una sua partecipazione diretta ad un governo liberale borghese. Tuttavia, nonostante l'opposizione della corrente [[massimalismo (politica)|massimalista]], in quel periodo minoritaria, Turati appoggiò dall'esterno il governo Giolitti che in questo contesto poté varare norme a tutela del lavoro (in particolare infantile e femminile), sulla vecchiaia, sull'invalidità e sugli infortuni; i [[prefetto|prefetti]] furono invitati ad usare maggiore tolleranza nei confronti degli [[sciopero|scioperi]] a condizione che non turbassero l'ordine pubblico; nelle gare d'[[appalto]] furono ammesse le [[cooperativa|cooperative]] cattoliche e socialiste.
 
L'apertura nei confronti dei socialisti, insomma, fu una vera e propria costante di questa fase di governo: Giolitti programmava, infatti, di estendere il consenso nei riguardi del governo presso queste aree popolari, e in particolare presso quelle [[aristocrazia|aristocrazie]] operaie che, grazie ad una migliore [[retribuzione]] [[salario|salariale]] e, quindi, a un migliore [[tenore]] di [[vita]], raggiungevano il reddito minimo che consentiva il [[diritto di voto]]. Giolitti era infatti convinto che non fosse utile a nessuno tenere bassi i salari perché da un lato non avrebbe consentito ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, dall'altro avrebbe strozzato il mercato provocando una sovrapproduzione.
 
Per la riuscita di questo suo progetto occorrevano due condizioni: la prima che i socialisti rinunziassero alle loro proclamate volontà rivoluzionarie, che del resto non avevano mai neppure accennato a tradurre in atto anche nelle più favorevoli occasioni insurrezionali come quelle da poco presentatesi con la rivolta dei [[Fasci siciliani]],<ref>Di questa rivolta popolare siciliana, si era occupato negli anni [[1892]]-[[1893]] Giolitti alla sua prima presidenza del consiglio, non intervenendo direttamente a reprimerla, ma lasciando che si esaurisse da sola. La ribellione che pure era caratterizzata da una vasta partecipazione di tutte le classi, continuò e si estese a tutta l'isola ma alla fine fallì per la repressione operata da Crispi, al suo secondo governo, con l'invio di 50000 uomini dell'esercito, ma soprattutto perché non ebbe una guida politica organizzata come quella del partito socialista che vedeva sconfessate le sue teorie operaiste secondo le quali avrebbero dovuto essere gli operai del Nord a mettere in atto la rivoluzione proletaria. I socialisti, comunque accusati da Crispi di aver fomentato la rivolta e messi al bando, rigettarono le accuse di ogni loro coinvolgimento pur assumendosene la "responsabilità morale".</ref> la seconda che la [[borghesia]] italiana fosse disponibile a rinunciare, almeno in piccola parte, ai suoi privilegi di classe per una politica di moderate [[riformismo|riforme]].
 
La situazione storica che attraversava il partito socialista, spaccato tra [[massimalismo (politica)|massimalisti]] rivoluzionari e turatiani riformisti favorì il programma giolittiano di coinvolgerlo nella guida del paese, ma anche lo condizionò come apparve dagli spostamenti a destra o a sinistra che subì il suo governo a seconda di quale corrente prevalesse nei periodici congressi del partito. Giolitti riproponeva la politica del [[trasformismo (politica)|trasformismo]] nel tentativo di isolare l'estrema sinistra e dividere i socialisti associandoli al governo. Tuttavia [[Filippo Turati]], che pure in un discorso del 22 maggio [[1907]] aveva dichiarato alla [[Camera dei Deputati|Camera]] che le trasformazioni sociali dovessero avvenire «''per una via di evoluzione, di penetrazione, di sostituzione graduale''», in quanto egli pensava che la violenza rivoluzionaria «''avesse una funzione clamorosa e decorativa, assai più che una funzione sostanziale''», non soddisfece a pieno le aspettative di Giolitti, rifiutando la partecipazione diretta al suo governo che preferì appoggiare dall'esterno, temendo, se avesse accettato il ministero offertogli, le ripercussioni sulla sua base elettorale scandalizzata da un aperto sostegno socialista a un governo liberale dei "padroni".
 
A questo proposito la [[critica]] [[storiografia|storiografica]] nota come, da queste migliori condizioni sociali, rimanessero esclusi i lavoratori meno qualificati (in particolare quelli [[Mezzogiorno (Italia)|meridionali]]), di fatto spesso e volentieri emarginati dai progetti politici di Giolitti (e che andarono a confluire nei partiti massimalisti).
===Le agitazioni sociali===
[[File:Gaetano Salvemini.jpg|thumb|upright=0.7|Gaetano Salvemini]]
Gli [[sciopero|scioperi]] che si susseguirono negli anni [[1901]] e [[1902]] sia nel settore agricolo<ref>Per l'agricoltura era rimasto a vantaggio degli agrari il rigido [[Sinistra storica#Il protezionismo|protezionismo]] voluto da Crispi.</ref> che in quello industriale, sia nel più sviluppato Nord che nel Sud del paese, dimostravano che tutta la floridezza economica e le riforme giolittiane non arrivavano ad incidere sulla precaria situazione della società italiana, soprattutto di quella meridionale, abbandonata a se stessa e presa in considerazione solo come un serbatoio di voti da ottenere con la corruzione dei deputati meridionali, gli "[[àscari]]"<ref>.Con questo termine s'indicavano le truppe coloniali di colore. La parola usata a proposito dei deputati voleva indicarne la complicità e sottomissione interessata al governo.</ref> del governo, con le pressioni dei [[prefetto|prefetti]], della [[mafia]] e della [[camorra]]. Gli [[intellettuale|intellettuali]] meridionali, come [[Gaetano Salvemini]], non si stancavano di accusare Giolitti, definito il "''ministro della malavita''".
 
Le riforme moderate non bastavano più: il paese aveva l'esigenza di riforme radicali, strutturali, che, se non avessero soddisfatto le esigenze della popolazione più povera, avrebbe causato quella estremizzazione delle classi sociali che, dopo l'intervallo fuorviante, voluto dalla classe dirigente, della [[Prima guerra mondiale]], giungerà al culmine nel [[Prima guerra mondiale|dopoguerra]] con la [[fascismo|rivoluzione fascista]] preventiva del ceto medio contro i presunti sovversivi.
 
I primi segni di questo fenomeno storico sono proprio nelle contraddizioni dell'età giolittiana che si dibatte tra governi riformisti e conservatori. Non a caso il [[1904]] fu l'anno del primo [[sciopero]] generale della storia italiana voluto per motivi politici dai sindacalisti rivoluzionari di [[Arturo Labriola]], nella speranza che questo fosse lo stimolo per una rivoluzione proletaria. Ma il calcolo politico fallì dinanzi alla tattica giolittiana di lasciare esaurire e sfogare lo sciopero, limitandosi a garantire l'ordine pubblico.
 
== Tra il Giolitti II ed il Giolitti III ==
{{vedi anche|Governo Fortis I}}
{{vedi anche|Governo Fortis II}}
ciao a tutti
Il 28 marzo [[1905]], su indicazione di Giolitti, [[Alessandro Fortis]] formò il suo primo governo, legato soprattutto alla [[Statalizzazione delle ferrovie italiane|nazionalizzazione delle ferrovie]]<ref>http://storia.camera.it/governi/i-governo-fortis#nav</ref> una delicata riforma che se pure attuata causò la caduta del governo. Fortis allora si dimise il 24 dicembre, ma ricevette il reincarico dal re [[Vittorio Emanuele III]] e formò un nuovo governo, dove tenne il dicastero dell'interno, governo che però non ottenne la fiducia della Camera e che cadde l'8 febbraio 1906 dopo 1 mese e 15 giorni.
 
== Giolitti III (maggio [[1906]] - dicembre [[1909]]) ==
{{vedi anche|Governo Giolitti III}}
Alla caduta del secondo [[Governo Fortis II|Governo Fortis]] (24 dicembre [[1905]] - 8 febbraio [[1906]]), dopo un breve ministero [[Sidney Sonnino|Sonnino]], Giolitti insediò il suo terzo governo.
 
Il malessere continuava ad essere diffuso soprattutto nel [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno d'Italia]] dove, anche a causa dell'aumento [[demografia|demografico]] e ai numerosi dissesti economici causati da grandi disastri naturali (si ricordi l'eruzione del [[Vesuvio]] del [[1906]] ed il [[terremoto del 1908|terremoto che devastò Messina e Reggio Calabria]] nel [[1908]]), continuava l'emorragia dell'[[emigrazione]] che divenne un fatto culturale tale da trovare espressioni nella nostra [[letteratura]] nazionale, da [[Giovanni Verga]] a [[Luigi Capuana]]: interi paesi si spopolavano e sparivano antiche culture. Un fenomeno crudele e doloroso, ma anche in un certo senso benefico, poiché intere popolazioni ebbero modo d'uscire dal loro isolamento [[medioevo|medioevale]] e, sia pure a prezzo di insanabili ferite, entrare in contatto con le moderne società occidentali.
Il governo, che in un primo momento aveva ostacolato il flusso migratorio per non far salire troppo i prezzi sul mercato del lavoro, in seguito diede via libera, favorendo l'espatrio di centinaia di migliaia di appartenenti alle classi subalterne, soprattutto perché cominciava a temere le conseguenze di un'aumentata pressione sociale e poteva così contare su un'affidabile stabilità monetaria.
 
Durante questo mandato Giolitti continuò, essenzialmente, la politica economica già avviata nel suo secondo governo, e si preoccupò di risanare il [[bilancio dello Stato]], con una più equa ripartizione degli oneri sociali, aiutato dalla congiuntura economica positiva dei primi anni del [[secolo XX|Novecento]].
Il governo poté dare il via nel [[1906]] alla [[conversione della rendita]] nazionale, diminuendo il [[tasso d'interesse]] dal 5% al 3,75% dando la possibilità, a chi non avesse accettato la diminuzione della rendita, di poter ottenere l'intero rimborso dei capitali sottoscritti; ma ben pochi furono i sottoscrittori che lo richiesero, segno della buona fiducia nelle [[finanza|finanze]] dello Stato.
Questa era, in realtà, un'operazione rischiosa, perché, per quanto si potesse prevedere un limitato panico tra i creditori dello Stato, le richieste di rimborso non erano facilmente prevedibili. Di fatto, comunque, ebbe successo perché queste furono assai limitate e la possibilità della [[bancarotta]] fu ampiamente sventata. Ciò fu possibile perché la conversione della rendita provocò una generale diminuzione del costo del denaro, che consentì di ottenere crediti ad un [[saggio di interesse]] più favorevole e, quindi, incontrò un nutrito consenso.
Questa riduzione dei tassi d'interesse favorì l'industria pesante, che risultava ancora arretrata a causa della mancanza, da parte degli industriali, dei grandi [[capitale (economia)|capitali]] che sarebbero stati necessari a modernizzarla.
 
Oltre a ciò, la conversione della rendita centrò il suo scopo primario: far "guadagnare" virtualmente allo Stato la differenza sui suoi debiti che, con l'abbassamento del tasso, non era più tenuto a pagare. I proventi di questa manovra poterono, così, essere impiegati nella realizzazione di grandi opere pubbliche come l'acquedotto pugliese, il [[traforo del Sempione]] ([[1906]]), la [[Bonifica idraulica|bonifica]] delle zone di [[Ferrara]] e [[Rovigo]], che consentirono l'aumento dell'occupazione e notevoli profitti per le imprese chiamate a realizzarle.
 
La [[Lira italiana|lira]] godeva di una stabilità mai prima raggiunta al punto che sui mercati internazionali la moneta italiana era quotata al di sopra dell'oro e addirittura era preferita alla [[Sterlina britannica|sterlina]] inglese.
 
Accanto all'ormai completata [[statalizzazione delle ferrovie italiane|nazionalizzazione delle Ferrovie]] <ref>Conformemente alla [[s:L. 22 aprile 1905, n. 137, che approva i provvedimenti per l'esercizio di Stato delle ferrovie non concesse ad imprese private|Legge 22 aprile 1905, n. 137]] (chiamata legge [[Alessandro Fortis|Fortis]] dal nome del primo ministro di allora [[Alessandro Fortis]] ed entrata in vigore il 1º luglio 1905) e delle sue successive integrazioni fra cui la legge 7 luglio [[1907]], n. 429</ref>, infine, andò a collocarsi la proposta di nazionalizzazione delle assicurazioni (portata a compimento nel quarto mandato).
 
Lo sviluppo economico si estese, anche se in misura minore, al settore agricolo che, soprattutto con la riapertura del [[mercato]] francese, dopo la ripresa voluta da Giolitti delle buone relazioni con la [[Francia]], interrotte dalla politica estera filotedesca crispina, vide accrescersi le esportazioni dei prodotti ortofrutticoli e del vino, mentre l'introduzione della coltura della [[barbabietola da zucchero]] incrementò lo sviluppo delle [[Zuccherificio|raffinerie]] nella [[pianura padana]].
 
Per ciascuna di queste azioni la critica storiografica non ha mancato di evidenziare anche i risvolti negativi: non ostacolare l'emigrazione significava anche servirsene, un po' cinicamente, senza tener conto del disagio arrecato a interi strati sociali costretti a sradicarsi dalla propria terra (specie dal Sud, dove il cosmopolitismo era certamente ben lontano dal diffondersi); favorire unicamente l'industria pesante a discapito di quella agro-manifatturiera era, poi, una tipica visione industrialista che non teneva in debito conto l'economia del Mezzogiorno, che avrebbe necessitato di trasformazioni più profonde del solo [[acquedotto pugliese]]; infine la nazionalizzazione delle assicurazioni consentì abnormi [[speculazione|speculazioni]] da parte di chi ne deteneva le [[Azione (finanza)|azioni]].
 
Innegabile è invece, la bontà del miglioramento della legislazione sul lavoro femminile e infantile con nuovi limiti di orario (12 ore) e di età (12 anni).
 
== Tra il Giolitti III ed il Giolitti IV ==
Nel dicembre del [[1909]] divenne presidente del consiglio [[Sidney Sonnino]], di tendenze conservatrici. A lui succedette [[Luigi Luzzatti]].
 
== Giolitti IV (marzo [[1911]] - marzo [[1914]]) ==
{{vedi anche|Governo Giolitti IV}}
Il quarto governo Giolitti durò dal 30 marzo [[1911]] al 21 marzo [[1914]]. Nacque come il tentativo probabilmente più vicino al successo di coinvolgere al governo il Partito Socialista, che comunque votò a favore.
Il programma prevedeva la [[nazionalizzazione]] delle assicurazioni sulla vita e l'introduzione del [[suffragio universale]] maschile, progetti di considerevole valenza "sociale" ed entrambi immediatamente realizzati. Nel settembre del [[1911]] Giolitti, premuto dalle spinte nazionaliste (il movimento [[nazionalismo|nazionalista]] si era costituito come partito organizzato nel primo [[congresso]] di [[Firenze]] nel [[1910]]) diede tuttavia inizio alla [[guerra italo-turca|guerra di Libia]]; il conflitto ebbe notevoli ripercussioni anche in politica interna, dividendo il [[Partito Socialista Italiano|Partito Socialista]] e allontanandolo dal governo in maniera irrimediabile.
 
=== La guerra di Libia ===
{{citazione|[[Karl Marx|Carlo Marx]] è stato mandato in soffitta.|''Discorso alla Camera dei Deputati'', 8 aprile [[1911]], citato in ''Discorsi [[parlamento|parlamentari]] di Giovanni Giolitti'', v. III, Tipografia della [[Camera dei deputati]], [[Roma]], [[1953]]-[[1956]]}}
 
Giolitti aveva comunque capito la pressione che saliva dall'inaffidabile e contraddittorio movimento socialista ed andò quindi a cercare quei naturali alleati che gli offriva la Chiesa di [[papa Pio X]] che, preoccupato del pericolo sovversivo, aveva attenuato il ''[[non expedit]]''<ref>I pontificati di Pio X, di [[Benedetto XV]] e di [[Pio XI]] (i primi tre decenni del XX secolo) videro la distensione ed un graduale riavvicinamento tra liberali e cattolici. Infatti la necessità di fronteggiare la crescita elettorale dei socialisti provocò l'alleanza tra cattolici e i liberali moderati di Giolitti in molte elezioni amministrative (''[[clericalismo|clerico-moderatismo]]''). Segno di questi mutamenti è l'enciclica del [[1904]] ''[[Il fermo proposito]]'', che se conservava il ''non expedit'', ne permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono: vari cattolici così entrarono in parlamento ma solo a titolo personale.</ref> consentendo ai conservatori cattolici di partecipare alle elezioni politiche del [[1909]] assicurando in questo modo il rafforzamento del governo Giolitti<ref>Giovanni Spadolini, ''Giolitti e i Cattolici (1901-1914). La conciliazione silenziosa'', Firenze 1990.</ref> che da questo momento iniziò il suo cammino verso la destra conservatrice, la quale avrebbe celebrato nel [[1910]], a [[Firenze]], la nascita del partito [[nazionalismo|nazionalista]] che chiedeva a gran voce l'ingresso della Terza Italia nella gara [[colonialismo|coloniale]] delle grandi potenze europee.
 
La [[guerra italo-turca]], realizzata con l'appoggio [[diplomazia|diplomatico]] delle potenze dell'[[Triplice intesa|Intesa]], voluta dall'opinione pubblica italiana e dalla borghesia industriale interessata alla produzione bellica, rappresenta l'inizio della fine dell'età giolittiana. Alle delusioni seguite alla sanguinosa conquista di quello "scatolone di sabbia", come dicevano i socialisti turatiani, si aggiunse la preoccupazione per la ricomparsa, dopo dieci anni di pareggio, del passivo nel [[bilancio dello Stato]].
 
Dopo il congresso di [[Reggio Emilia]] del [[1912]] che aveva visto l'espulsione dell'ala moderata e il prevalere della corrente massimalista, guidata da un giovane anarco-sindacalista, [[Benito Mussolini]], divenuto direttore dell'"[[Avanti!]]", tutto stava ad indicare che la lotta politica si stava acutizzando tra l'estremismo di sinistra e una borghesia passata alle tesi dell'[[imperialismo]].
 
Furono forse queste preoccupazioni che nell'imminenza delle elezioni del [[1913]] spinsero Giolitti alla ricerca di un più vasto consenso di massa con l'istituzione del [[suffragio universale]] maschile e soprattutto con il [[patto Gentiloni]]<ref>Il "patto" impegnava i candidati liberali ad astenersi dall'appoggiare proposte di leggi sgradite alla Chiesa quali il [[divorzio]] e la soppressione dell'insegnamento religioso.</ref> con i cattolici in funzione antisocialista. I risultati elettorali sembrarono premiare la politica giolittiana, ma era un'illusione: ormai lo scontro tra la destra e la sinistra si combatteva nelle strade come dimostreranno i disordini della "[[Settimana Rossa]]" nel giugno del [[1914]], guidata dal socialista Mussolini, dal [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicano]] [[Pietro Nenni]], dall'[[anarchia|anarchico]] [[Errico Malatesta]]. Questa situazione sociale ingestibile politicamente convinse Giolitti, già dimessosi nel marzo del [[1914]], di aver visto giusto nella sua decisione di abbandonare almeno temporaneamente la vita politica. Giolitti in realtà si era dimesso designando come suo successore il conservatore [[Antonio Salandra]], calcolando che dal fallimento della politica di questi egli sarebbe potuto tornare al governo da sinistra con un programma di più avanzate riforme. Ma il suo piano si rivelò sbagliato: ormai non era più possibile alcuna mediazione tra capitale e lavoro.
 
== Gli ultimi strascichi dell'età giolittiana: dopo il Giolitti IV ==
L'inizio della fine della cosiddetta età giolittiana fu l'arrivo al governo di [[Antonio Salandra]] nel [[1914]]. Questi succedette a Giolitti accordandosi con lui, ma presto riuscì a rendersi politicamente autonomo, sfruttando la nuova situazione creatasi dopo la firma (all'insaputa del Parlamento e dei Partiti politici, a maggioranza pacifisti), nell'aprile del [[1915]], del cosiddetto [[Patto di Londra]].
Quando nel maggio [[1915]] Salandra vincolò la sua prosecuzione al governo all'accettazione da parte del Parlamento della volontà [[interventismo|interventista]] del governo, del re e delle gerarchie dell'esercito (contro le [[Imperi centrali|Potenze centrali]] e gli accordi di alleanza militare che l'[[Italia]] aveva stipulato con essi), Giolitti si trovò ad essere il capo della maggioranza neutralista della Camera. Fu in quel contesto che si ebbe un gesto di grande valenza simbolica anche se di scarsi effetti pratici: un numero di deputati superiore alla maggioranza dell'Assemblea lasciò il suo biglietto da visita nell'anticamera dell'abitazione romana dell'ex primo ministro a testimoniare il suo appoggio.
Nonostante questo, il giorno dopo il Parlamento si piegò al ''diktat'' del re, del governo e dell'esercito. Per alcuni storici questo momento segna in Italia la fine dell'epoca liberale e l'inizio di un'epoca di governi autoritari e anti-parlamentari che sfocerà nel [[Fascismo|ventennio fascista]] di [[Benito Mussolini]].
Salandra, reincaricato dal Re, fece uscire l'Italia dalla neutralità, per cui Giolitti si batteva, e la portò nella [[Prima guerra mondiale]].
 
== Dopo la Grande Guerra: Giolitti V (giugno 1920 - luglio 1921) ==
{{vedi anche|Governo Giolitti V}}
[[File:Squadristi.jpg|thumb|Squadristi]]
L'ultima permanenza al governo di Giolitti iniziò nel giugno [[1920]], durante il cosiddetto [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]] (1919-1920), quando lo Stato liberale, ormai in agonia, richiamò il vecchio statista, ancora di fresche energie, ad affrontare e risolvere la questione [[Fiume|fiumana]]. Giolitti col [[Trattato di Rapallo (1920)|trattato di Rapallo]] liquidò la questione di Fiume dichiarata città libera, e con mano ferma, facendo intervenire l'esercito, costrinse [[Gabriele D'Annunzio]] che l'aveva teatralmente occupata a lasciare la città. La stessa energia Giolitti cercò di applicare nella politica interna, ma qui la situazione era degenerata sin dal suo ultimo ministero nel 1914. Per risanare il bilancio dello Stato in grave passivo per le spese di guerra, aumentò il carico fiscale sui ceti più abbienti introducendo imposte straordinarie sui profitti di guerra e addirittura fece varare una legge sulla nominatività dei titoli azionari che cessarono di essere parzialmente esenti dall'imposizione fiscale. Misure molto coraggiose che convinsero i liberali borghesi che Giolitti era ormai schierato dalla parte dei sovversivi mentre questi a loro volta continuavano a considerarlo dalla parte dei padroni.
 
Giolitti risolse con successo l'occupazione delle fabbriche dell'agosto-settembre 1920 - l'inizio del biennio rosso - adottando il suo sistema di non intervento diretto dello Stato il quale si limitava a garantire l'ordine pubblico. Ciò però non fece diminuire la paura del ceto medio deciso ormai ad affidarsi per la sua difesa dai "bolscevichi" allo [[squadrismo]] fascista. Per porre freno alle frequenti agitazioni socialiste, Giolitti non esitò ad appoggiare le azioni delle [[squadrismo|squadre]] [[fascismo|fasciste]], credendo che la loro violenza potesse essere in seguito riassorbita all'interno del sistema [[democrazia|democratico]].
 
==Rapporto tra Giolitti e il fascismo==
L'ultimo errore politico di Giolitti fu quello di allearsi nelle elezioni del maggio del [[1921]] coi [[nazionalismo|nazionalisti]] e coi fascisti nella speranza di ridurre i due blocchi contrapposti socialisti e cattolici che impedivano la formazione di qualsiasi governo efficiente. Egli si illudeva, secondo il suo credo politico, di poter portare nell'alveo del moderatismo liberale il fascismo; così non fu, anzi la sua manovra elettorale mentre aveva lasciato inalterata la forza contrapposta di socialisti e cattolici, aveva contribuito a dare una patina di rispettabilità al movimento fascista che, con i 35 deputati eletti al Parlamento italiano, iniziava la sua marcia verso la conquista del potere.
 
Giolitti, dopo il 1924, svolse un ruolo di opposizione parlamentare al fascismo, benché il Parlamento fosse ormai sotto il controllo di [[Mussolini]]. Divenuto [[antifascista]], si oppose a numerosi provvedimenti anti-liberali e anti-democratici. L'anziano statista infine morì nel 1928.
 
== Note ==