Giovan Battista Marino: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Annullate le modifiche di 91.253.100.108 (discussione), riportata alla versione precedente di Eumolpo
Riga 98:
Da questo momento i documenti compromettenti, veri e autentici, continueranno ad accumularsi, fornendo abbondanti motivi per la condanna all'[[Indice dei libri proibiti]]. In particolare il duca, che reca i segni d'un'infanzia cagionevole nella postura un po' curva della schiena, sarebbe rimasto offeso da una ''Gobbeide'' (secondo lo pseudoBoccalini), o da una ''Cucagna'' (che è un modo per definire la gobba, metaforicamente - letteralmente significa "altura tondeggiante") come sostiene il Marino, o da certe ''Scrignate'' contro Tiberio Bucca (personaggio con cui il Marino aveva scambiato versi ingiuriosi a Napoli) secondo lo Stigliani, non necessariamente di mano del Marino o comunque non dirette al duca. Altri componimenti satirici, invece, sicuramente di mano del poeta, risalgono ancora agli anni napoletani, e il Marino deve rivolgersi all'amico e antico protettore Manso per dimostrare che i componimenti non possono avere come oggetto il duca e la corte torinese. L'Aldobrandini, pregato dal Marino, scrive al duca che i versi incriminati sono stati scritti dieci anni prima (intorno al [[1601]]) in Roma (e dunque non a Napoli).
Dev'essere tuttavia detto che incidenti del genere non sono affatto infrequenti, e che quasi mai il Marino, pur così diplomatico, è innocente; le carte inquisitoriali contengono il riferimento preciso ad un sonetto romano dedicato al card. Giovan Battista Deti, giovanissimo e di costumi reprensibili, una creatura degli Aldobrandini: mentre includeva tra le ''Rime'' del 1602 un gentile sonetto di complimento per l'elevazione alla dignità del giovane vizioso, il Marino avrebbe fatto circolare un altro sonetto, rapidamente diffusosi (e attualmente da dare per disperso), una sorta di palinodia in cui erano messe alla gogna le reali qualità del prelato. Un atto abbastanza sconsiderato, dal momento che il sonetto mordace non metteva solo in ridicolo un principe della Chiesa, ma rischiava di mettere in pericolo lo stesso rapporto, del tutto vitale, coll'Aldobrandini.
La stessa dinamica si ripresenta nelle modalità impiegate per scarcerarlo: dove l'intervento di potenti e amici risulta nullo, interviene efficacemente [[Henry Wotton]], ambasciatore inglese: con al seguito anche [[Giovan Francesco Biondi]], letterato di area marinista, dal [[1608]] in contatto con ambienti eterodossi e importatore a Venezia di molta letteratura antipapista, in tempi non troppo lunghi riesce a far rendere al Marino ([[1612]]) la libertà. Attratto dalla prospettiva di passare in Inghilterra, rifugio di molti spiriti irrequieti come [[Giacomo Castelvetro]] e [[Giulio Cesare Vanini]], il Marino non si vedrà a suo tempo rifiutare l'assenso di [[Giacomo I d'Inghilterra|Giacomo I]] per via d'un componimento ingiurioso dedicato ad [[Elisabetta I d'Inghilterra|Elisabetta I]].
 
Il [[1612]] segna in generale un momento estremamente critico per il Ducato di Savoia: la morte di Francesco Gonzaga alla fine dell'anno offre a Carlo Emanuele la possibilità di avanzare pretese sul [[Monferrato]], ma non ha nessuno a sostenerlo nell'impresa, e la tensione con gli altri governi europei giunge rapidamente alle stelle. Per quanto riguarda direttamente il Marino rende accettabile l'idea della carcerazione per via di scritti ingiuriosi (e l'accusa è eccezionalmente grave, di per sé, avendo Carlo Emanuele proibito con pena della vita la diffusione dei cosiddetti "libelli famosi", a chiunque diretti, in tutto il ducato, dopo aver subìto un attacco a mezzo stampa da parte dei [[Gesuiti]]) il fatto che al Marino, con la carcerazione nel "Serrato", siano stati sottratti tutti gli scritti in corso d'opera. Una lettera inviperita al duca, che così ha interrotto il lavoro del poeta, può essere presa, secondo i punti di vista, per una straordinaria attestazione di libertà da parte del Marino, di tolleranza sostanziale da parte del duca, oppure, come sostiene [[Alberto Asor Rosa]], per la tipica reazione dello schiavo rivoltato.