Codice della strada (Italia): differenze tra le versioni

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la storia della normativa stradale italiana
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== Storia ==
I primi approcci alla regolamentazione della materia risalgono al primo dopoguerra, quando si cercò di dare seguito ai tentativi degli anni dell’unificazione (Legge fondamentale sui lavori pubblici del 20 marzo 1865) che, seppur generosi, andarono incontro a degli insuccessi, anche a causa della scarsa disponibilità di risorse finanziarie delle amministrazioni locali. Il 15 novembre 1923, il Regio Decreto n.2506 dettò delle regole per la classificazione delle strade presenti sul territorio nazionale, con l’esclusione delle strade vicinali, introducendo per la prima volta il concetto di “rete”. Le strade vennero divise in cinque classi: la prima classe comprendeva le strade che costituivano l'insieme della rete viaria di grande traffico e le vie di comunicazione con gli Stati confinanti; le strade di seconda classe erano invece tutte quelle il cui tracciato costituiva una via diretta di comunicazione tra i capoluoghi di provincia, o tra essi e i porti marittimi o i valichi alpini. Le altre tre classi comprendevano invece tutte quelle strade di collegamento più prettamente interno e localizzato: la terza classe era quella delle strade che congiungevano, all’interno di una provincia, il suo capoluogo con i capoluoghi di mandamento o di circondario; la quarta classe comprendeva, invece, le strade che congiungevano il centro principale di un comune con le sue frazioni, con il cimitero o con la stazione ferroviaria più vicina; includeva inoltre le strade interne dei centri abitati che non costituissero traverse di strade delle prime tre classi. Infine la quinta classe comprendeva tutte le strade militari che fossero aperte al libero transito dei civili in tempo di pace. La responsabilità della manutenzione delle strade che ricadevano in questa complessa classificazione variava, naturalmente, a seconda della classe di appartenenza.
La prima norma dello Stato italiano unitario in tema fu la [[legge 20 marzo 1865, n. 2248]] (ALL. D), che stabiliva alcune regole sulla velocità e il corretto comportamento per i conducenti dei veicoli a trazione animale. In seguito alla diffusione delle [[biciclette]], furono previste le prime targhe veicolari italiane, con il R.D. 16 dicembre [[1897]], n. 540 che introduceva l'obbligo di dotare i velocipedi di una targa comunale. Collegandosi a tale disposizione e ampliandola, nel [[1898]] il [[Milano|Comune di Milano]] promulgò il "Regolamento per la circolazione delle vetture automobili", nel quale si imponeva la fissa apposizione di una targa sulla fiancata sinistra degli [[automobili]], riportante il nome del proprietario e il numero di licenza comunale conseguita.
 
La distribuzione sul territorio dei tracciati di competenza dello Stato fece sì che ad esso spettasse, in pratica, l’onere della manutenzione di percorsi che in realtà non apportavano alcun beneficio economico, costando quindi più di quanto non producessero in termini di scambi commerciali. Si arrivò così ad una impasse: la legge del 1923 non poté essere applicata perché la sua attuazione integrale avrebbe comportato un eccessivo carico finanziario per lo Stato, ma d’altro canto erano state abrogate tutte le normative del 1865, con le quali si era data una prima regolamentazione sistematica della rete viaria del nuovo Regno. Fu solo nel 1939, infatti, che la Corte di Cassazione sentenziò la nullità del decreto del 1923 e il ritorno alla situazione preesistente quella data. Erano stati perduti, però, ben 16 anni.
Tre anni dopo, sulla falsariga del regolamento milanese, venne stilata la prima normativa nazionale riguardante gli automobili in Italia, promulgata con regio decreto 28 luglio [[1901]] n. 416 ("''Regolamento per la circolazione delle automobili sulle strade ordinarie''"). Con il successivo R.D. 8 gennaio [[1905]] n. 24 ("''Regolamento di polizia stradale e per garantire la libertà della circolazione e la sicurezza del transito sulle strade pubbliche''") viene introdotto l'obbligo delle targhe automobilistiche e i limiti di velocità vengono ridotti a 12 km/h nei centri abitati ed elevati a 40 km/h al di fuori.
 
Il rapido sviluppo dell’industria automobilistica e l’altrettanto veloce diffusione su larga scala del mezzo di trasporto privato non agirono solo accelerando i processi di manutenzione e gestione della rete viaria. Altrettanto precoce fu anche l'esigenza di regolamentare il trasporto privato su strada, creando codici e norme in grado di proteggere tanto il guidatore quanto chi era esposto ai nuovi pericoli che la diffusione dell'automobile iniziava a comportare. Agli inizi del Novecento, in effetti, in Italia non erano previste dalla legislazione vigente norme relative alla segnalazione stradale, con l'unica eccezione di alcuni regolamenti risalenti all'epoca napoleonica e concernenti l'obbligo di posa di pietre miliari lungo le strade principali. Al 1933 risale il '''codice della strada''' (R.D. 8 dicembre 1933, n. 1740) che, integrando e modificando regolamenti precedenti, sarebbe rimasto in vigore fino al 1959. 
Segue la legge 15 luglio [[1909]] n. 524<ref>[http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1909/lexs_1511.html www.italgiure.giustizia.it]</ref> che disciplina le automobili in servizio pubblico. La legge nº 798 del 30 giugno 1912 determina le norme sulla circolazione delle automobili. Infine il regio decreto nº 3043 del 31 dicembre 1923 che approfondisce la normativa sulla circolazione stradale. Il regio decreto 2 dicembre 1928 n. 3179 introduce l'attuale sistema di targhe automobilistiche, con sigle delle province in luogo dei numeri rossi che individuavano i veicoli in precedenza. Il decreto inoltre determinò la creazione della [[Milizia della Strada]]. Si arriva quindi al regio decreto 8 dicembre [[1933]] n. 1740 che raccoglie un organico e importante insieme di normative stradali. La milizia fu destinata a evolversi negli anni seguenti, sino a quando si costituì il primo vero organo di [[Polizia Stradale]], gestito dal [[Ministero dell'Interno]]: siamo nel [[1947]]. Il 16 settembre [[1949]] viene sottoscritta e successivamente ratificata con legge nº 1049 del 19 maggio [[1952]], la [[Convenzione di Ginevra sulla circolazione stradale]] firmata nel [[1949]].
 
La situazione italiana presentava notevoli ritardi rispetto al resto dell'Europa occidentale. Una parte consistente di questo ritardo venne colmata attraverso l’istituzione in Italia di una rete autostradale: esperimento, primo in tutto il mondo, di separazione del traffico secondo le sue caratteristiche di fondo, tra le quali in primo luogo andava a collocarsi la velocità di scorrimento. Il primato dell'Italia in questo settore fu tale, in effetti, che in molte lingue europee, per indicare le autostrade, si usarono termini che altro non erano che la trasposizione esatta della parola italiana: parole che, dalla Autobahn tedesca alla autoroute francese, fino alla autopista spagnola, sono tutte traduzioni letterali dell'italiano autostrada. 
Nell'estate del [[1959]] entrò in vigore il famoso «Testo Unico sulla circolazione stradale», approvato con il d.P.R. 15 giugno [[1959]] n. 393, composto da 147 articoli, più i 607 dell'annesso regolamento. La norma è rimasta in vigore sino all'approvazione del «Nuovo codice della strada», di cui al d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285<ref>Vedi sezione ''[[#Collegamenti esterni|Collegamenti esterni]]''</ref>, mentre il relativo regolamento di esecuzione e di attuazione è stato approvato con il [[decreto del presidente della Repubblica]] n. 495 del 16 dicembre [[1992]]<ref name=DPR_495_92>{{cita web|url=http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992;495!vig=|titolo=Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495}}. ''Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.''</ref>.
 
Al termine della seconda guerra mondiale, la situazione infrastrutturale dell’Italia giunse però al collasso: mentre l’opera di manutenzione era stata interrotta, le devastazioni causate dai bombardamenti aerei e dai combattimenti con l’artiglieria pesante avevano reso del tutto impraticabile il sistema dei trasporti su strada e su ferrovia. Per quanto riguarda la rete viaria, in particolare, basti pensare, per avere un’idea dei danni subiti dal Paese in seguito alla guerra, che sulle sole strade di interesse nazionale erano stati distrutti più di 1400 ponti ed erano stati danneggiati oltre 14.700 chilometri di strade. 
Considerevoli modifiche delle stesse sono state introdotte, tra l'altro, dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito in legge n. 214 del 1º agosto [[2003]] (pubblicata nella [[Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana|Gazzetta Ufficiale]] n. 186 del 12 agosto [[2003]] - S.O. n. 133) e dal [[decreto legislativo]] 18 aprile [[2011]], n. 59,<ref>{{cita legge italiana|tipo=DLGS|giorno=18|mese=04|anno=2011|numero=59|titolo=Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida.}}</ref> e riguardano molti degli articoli del titolo IV (''Guida dei veicoli e conduzione degli animali''). Le disposizioni del decreto legislativo, sebbene già in vigore dal 15 maggio 2011, si applicano a decorrere dal 19 gennaio 2013, ad eccezione di alcuni articoli e dell'allegato III.
 
A partire dal 1950, la ricostruzione prese la forma del cosiddetto miracolo economico: quello del più rapido sviluppo dell’economia, della crescita della produzione industriale a livelli vertiginosi e del consumo di massa. Questa forte espansione dell'economia italiana fu senza dubbio favorita anche da una oculata politica di crescita infrastrutturale che portò il sistema dei trasporti italiano, fino ad allora decisamente arretrato, a livelli ottimali per lo sviluppo dell'economia di mercato. Nulla, meglio di alcune cifre, può darci la misura della relativa arretratezza della rete stradale italiana negli anni Cinquanta: 190.000 chilometri complessivi, con un rapporto medio di 0,63 chilometri per chilometro quadrato. 
 
Se prendiamo quest’ultima cifra come parametro comparativo per valutare la situazione europea, troveremo ovunque un rapporto radicalmente diverso: si va dagli 0,94 chilometri dell'Olanda agli 1,57 del Belgio, mentre il resto dell'Europa viaggiava tra queste cifre: 1,27 in Francia, 1,20 in Gran Bretagna, 1,38 in Danimarca. Se poi si passa a valutare qualitativamente la situazione della rete viaria italiana di quel periodo, ci si scontra ancor di più con una realtà arretrata. Non solo per l’ineguale distribuzione delle infrastrutture sul territorio nazionale (nel 1958, si calcola che il solo Settentrione disponesse di complessivi 95.543 chilometri di strade, contro i 42.753 del Centro e i 39.257 del Sud e delle Isole), ma anche per la loro scarsa qualità: basti pensare che degli oltre 45.000 chilometri di strade provinciali, il 39 per cento era costruito con sistemi arretrati, mentre solo il 61 per cento era stato costruito o ammodernato con il sistema detto “macadam protetto”. Per quanto riguardava invece il sistema autostradale, orgoglio dell'Italia prebellica, la situazione non era certo migliore.
 
Nell’immediato dopoguerra, l’Italia contava complessivamente 311 chilometri di autostrade, in buona parte insufficienti per la gestione di un traffico di uomini e merci che si preparava a diventare di dimensioni europee. Per gestire la ricostruzione del sistema autostradale e la sua crescita in misura adeguata agli standard internazionali (stabiliti, tra l'altro, dalla Convenzione di Ginevra) fu costituita l’ANAS, Azienda nazionale autonoma delle strade statali. All’ANAS furono naturalmente affidati la ristrutturazione, l’ammodernamento e l’ampliamento della rete stradale e autostradale: un obiettivo che l'azienda raggiunse nel 1954, quando poté dare l'annuncio del completamento dell’opera di ricostruzione. 
 
Il vero balzo in avanti per la risistemazione della rete viaria nazionale si ebbe solo a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando fu deciso un piano di costruzione delle cosiddette “autostrade di seconda generazione”. Come detto in precedenza, la situazione dell’Italia postbellica presentava dal punto di vista delle autostrade un quadro che non poteva considerarsi rassicurante: poco più di 300 chilometri, contro gli oltre seimila previsti dall’amministrazione fascista nel piano autostradale approvato nel 1934. 
 
Ultimata la ricostruzione, fu pertanto necessario pensare ad un piano di lungo periodo che contemplasse un forte ampliamento della rete autostradale, attraverso l'intervento diretto dello Stato a sostegno dell'operazione. Tale fu lo scopo del decreto interministeriale del 15 ottobre 1955, che provvide a indicare, sulla base di uno stanziamento di 100 miliardi in dieci anni, le direttive di un potenziamento della rete per oltre 1170 chilometri. 
 
Al 12 febbraio 1958 (con la legge n.126 e successive modificazioni) risale la classificazione di carattere amministrativo (in relazione all’Ente proprietario) che sarebbe rimasta in vigore fino al moderno Codice della Strada: strade statali (a loro volta suddivise in ordinarie e di grande comunicazione), provinciali, comunali, vicinali e militari. 
 
Gli anni successivi furono caratterizzati da uno scarso interesse per le problematiche stradali, ovviamente anche dal punto di vista normativo: la crisi petrolifera seguita alla guerra arabo-israeliana del 1973, unita a fattori di natura interna (alcune concessionarie si erano assunte l’onere della costruzione e della gestione delle nuove arterie sull’orlo del tracollo, sostenute soltanto da interventi del Tesoro) portò addirittura lo Stato a decretare con la legge 492 del 16 ottobre 1975 il blocco della costruzione di nuove autostrade, dei tratti autostradali e dei trafori di cui non fosse ancora stata effettuata l’assegnazione dell’appalto. L’aumento del parco autoveicoli della fine degli anni Settanta, portò lo Stato a riconsiderare la politica di blocco e favorire investimenti nel settore, al fine di garantire l'efficienza del sistema dei trasporti su gomma: nel 1982 fu varato un nuovo piano mediante la legge 12 agosto 1982 n. 531, denominata “Piano Decennale della Viabilità di Grande Comunicazione e misure di riassetto del settore autostradale”, contenente fra l’altro (nella seconda parte) i principi di classificazione delle arterie che costituivano il sistema delle “strade di grande comunicazione”. Con questa dicitura si intendevano essenzialmente le autostrade, i trafori alpini e i raccordi autostradali, ma anche le strade di grande traffico e di comunicazione con gli Stati confinanti: strutture, quindi, capaci a pieno titolo di servire elevatissimi volumi di traffico con un livello sufficiente di sicurezza e confort per l’utente. I parametri distintivi che servivano a classificare le strade come “di grande comunicazione” si basavano dunque su un doppio fattore: il traffico da sostenere e la funzione di collegamento svolta da parte dell’arteria da classificare. Su questa base, nel 1983
 
fu emanato un decreto, il n. 2474, nel quale si divideva il sistema viario nazionale in due classi distinte: le strade ordinarie e le strade di grande comunicazione. Quest’ultima comprendeva 188 arterie, per complessivi 22.832 chilometri, dei quali 7446 composti da autostrade, raccordi e trafori.
 
== Struttura ==
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[[File:Semaforo.png|thumb|upright=0.5|Semaforo veicolare]]
 
Al titolo II (della costruzione e tutela delle strade), capo II (organizzazione della circolazione e segnaletica stradale), artt. 37-45, viene definita la [[segnale stradale|segnaletica stradale]] mentre l'esecuzione e l'attuazione è rimandata all'apposito regolamento<ref name="DPR_495_92">{{cita web|url=http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992;495!vig=|titolo=Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495}}. ''Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.''</ref> e in particolare agli artt. 74-195.
 
Il complesso della segnaletica stradale viene suddiviso in cinque tipologie generali, come descritto di seguito: