Gildo De Stefano: differenze tra le versioni

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È giornalista musicale, sociologo, critico del quotidiano ''[[Roma (quotidiano)|Roma]]'', collabora a diversi periodici tra cui la rivista ''Classic Jazz''<ref>edita dalla romana Sprea di Francesco [[Coniglio Editore]]</ref>, e direttore artistico del ''Festival Italiano di [[Ragtime]]''. Laureato in [[Sociologia della comunicazione]], collabora con la [[Rai]] dagli inizi degli [[Anni 1980|anni ottanta]] conducendo trasmissioni sulla musica [[jazz]] e pubblicando saggi sulla [[Nuova Rivista Musicale Italiana]] edita dalla stessa [[Rai]]. Proprio dal mistero dell'[[Improvvisazione (musica)|improvvisazione jazzistica]] egli ha subìto un'irrefrenabile fascino sin dagli inizi degli anni '80, cominciando la sua attività saggistica, convinto che la [[musica]] -e l'[[arte]] in generale- possano mutare l'essere umano. A tal proposito è interessante l'affermazione di [[Zygmunt Bauman]] nella prefazione del libro dello stesso De Stefano:
 
''{{Quote| Il mondo e gli uomini possono cambiare se ci si trasforma in artisti. L’arte della vita è creare e ricreare sé e il mondo che ci circonda attraverso passaggi di sofferenza, di dolore, di ricerca, di rinuncia e di soddisfazioni. Sono fermamente convinto, e lo dico alle nuove generazioni, che si debba andare oltre il vivere solamente per sé. A ogni artista della vita si chiede di accettare, proprio come i jazzisti, tutta la responsabilità del risultato della sua opera, raccogliendone i meriti e le colpe. Essere artisti creativi è difficile. Così ‘l’urlo silenzio’ delle nuove generazioni si esprime anche attraverso l’improvvisazione, ma anche le incisioni, le bruciature, le escoriazioni e le lacerazioni del proprio corpo che le persone della società liquida si autoinfl iggono come forma di regolazione delle proprie tensioni. Mi viene da pensare proprio a quei grandi jazzisti del passato che attraverso la droga si illudevano di trovare la loro fonte di ispirazione<ref>Una storia sociale del [[jazz]], Mimesis Editore, [[Milano]] 2014</ref>}}
andare oltre il vivere solamente per sé. A ogni artista della vita si chiede di accettare, proprio come i jazzisti, tutta la responsabilità del risultato della sua opera, raccogliendone i meriti e le colpe. Essere artisti creativi è difficile. Così ‘l’urlo silenzio’ delle nuove generazioni si esprime anche attraverso l’improvvisazione, ma anche le incisioni, le bruciature, le escoriazioni e le lacerazioni del proprio corpo che le persone della società liquida si autoinfl iggono come forma di regolazione delle proprie tensioni. Mi viene da pensare proprio a quei grandi jazzisti del passato che attraverso la droga
si illudevano di trovare la loro fonte di ispirazione''<ref>Una storia sociale del [[jazz]], Mimesis Editore, [[Milano]] 2014</ref>
 
Tiene dei corsi di ''Civiltà Musicale Afroamericana'' e Laboratori di [[Scrittura creativa]] in diverse sedi universitarie e conservatori italiani, quali - tra l'altro - il [[Conservatorio di San Pietro a Majella]] e l'Istituto Culturale del Mezzogiorno entrambi di [[Napoli]]. Sicuramente è il massimo esperto italiano di [[ragtime]], di cui è autore delle 2 uniche ''Storia del [[ragtime]]'' in lingua italiana, pubblicata dalla Marsilio Editori di [[Venezia]] e dalla SUGARCO Edizioni di [[Milano]], e uno dei maggiori esperti di [[Jazz]] in Italia, analizzando tale argomento soprattutto sotto il profilo squisitamente socio-antropologico come si evince dal suo libro del 1986, la prima antropologia dei neri d'America in lingua italiana, ripercorsa successivamente con il libro del 2014, con l'autorevole prefazione del grande pensatore [[Zygmunt Bauman]].