Socrate: differenze tra le versioni

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Fu riconosciuto colpevole<ref>[[Luciano Canfora]] ricorda che «I cinquecento giudici che condannarono Socrate costituivano un significativo campione della [[cittadinanza ateniese]]. [...] I cinquecento cittadini tirati a sorte che lo giudicarono vedevano in lui un disturbante critico del sistema politico vigente e,insieme, un esempio negatore degli dèi e dunque delle basi etiche su cui poggiava la vita della comunità." - in ''Critica della retorica democratica'', Roma-Bari, Laterza, 2002, p.3.</ref> per uno stretto margine di voti - appena trenta<ref>Nell' <nowiki></nowiki>''[[Apologia di Socrate]]'', Platone parlerà di un risultato incerto: su 500 votanti, Socrate venne giudicato colpevole per soli 30 voti: 220 a favore, 280 contro; se 30 persone ancora fossero state persuase, si sarebbe risolto in un 250 a 250 e secondo la legge non vi sarebbe stata nessuna pena.</ref>. Dopodiché, come previsto dalle leggi dell'Agorà, sia Socrate sia Meleto dovettero proporre una pena per i reati di cui l'imputato era stato accusato. Socrate sfidò i giudici proponendo loro di essere mantenuto a spese della collettività nel [[Pritaneo]], poiché riteneva che anche a lui dovesse essere riconosciuto l'onore dei benefattori della città, avendo insegnato ai giovani la scienza del bene e del male. Poi consentì di farsi multare - seppur di una somma ridicola (una mina d'argento dapprima, cioè tutto quello che egli possedeva; trenta mine poi, sotto pressione dei suoi seguaci, che si fecero garanti per lui). Meleto chiese invece la morte.
 
Furono messe ai voti le proposte: con ampia maggioranza - 360 voti a favore contro 140 contrari<ref>Secondo [[Diogene Laerzio]] II,42.</ref> - gli ateniesi, più per l'impossibilità di punire Socrate, multandolo di una somma così ridicola, che per l' effettiva volontà di condannarlo a morte, accolsero la proposta di Meleto e lo condannarono a morire mediante l'assunzione di [[Conium maculatum|cicuta]]. Era pratica diffusa autoesiliarsi dalla città pur di sfuggire alla sentenza di morte, ed era probabilmente su questo che contavano gli stessi accusatori. Socrate dunque intenzionalmente irritò i giudici, che non erano in realtà mal disposti verso di lui. Ma perché lo fece? Socrate in effetti aveva già deciso di non andare in esilio, in quanto anche fuori di Atene avrebbe persistito nella sua attività: dialogare con i giovani e mettere in discussione tutto quello che si vuol far credere verità certa. «Perciò, - sostenne Socrate, - mi ritroverò a rivivere la stessa situazione che mi ha portato alla condanna: qualcuno dei parenti dei miei giovani discepoli si irriterà della mia ricerca della verità e mi accuserà».
 
Del resto egli non temeva la morte, che nessuno sa se sia o no un male, ma la preferiva all'esilio, questo sì un male sicuro.<ref>«Nessuno sa cosa sia la morte e se essa non sia il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali. (Platone, ''Apologia di Socrate'', trad. di M. Valgimigli, Laterza, Roma-Bari 1960,cap. 17) - «Eh via, Ateniesi! che, sarebbe una gran bella vita la mia, a questa mia età, andarmene in esilio, e mutar sempre da paese a paese, scacciato da ogni parte!" (Platone, ''Apologia di Socrate'', ''op.cit.'' , 37c-d. 22.)»</ref>
 
=== Accettazione della condanna ===
Come racconta Platone nel dialogo del ''[[Critone (dialogo)|Critone]]'', Socrate, pur sapendo di essere stato [[condanna]]to ingiustamente, una volta in [[Prigione|carcere]] rifiutò le proposte di fuga dei suoi discepoli, che avevano organizzato la sua evasione corrompendo i carcerieri. Ma Socrate non sfuggirà alla sua condanna poiché «è meglio subire ingiustizia piuttosto che commetterla»,; egli accetterà la [[morte]] che d'altra parte non è un male perché o è un sonno senza [[sogno|sogni]], oppure darà la possibilità di visitare un mondo migliore dove, dice Socrate, s'incontreranno interlocutori migliori con cui dialogare. Quindi egli continuerà persino nel mondo dell'aldilà a professare quel principio a cui si è attenuto in tutta la sua vita: il dialogo.
 
Si pone a questo punto uno dei temi più dibattuti della ''questione socratica'': il rapporto tra Socrate e le leggi: perché Socrate accetta l'ingiusta condanna?