Chador: differenze tra le versioni

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Non è chiaro quando il chador prese la forma attuale. I visitatori europei del [[XVIII secolo|XVIII]] e [[XIX secolo]] hanno lasciato testimonianze del fatto che le donne iraniane portavano un lungo velo bianco, ma questo tipo di velo veniva indossato già da molto tempo.
 
Nel [[1936]] lo scià [[Reza Shah Pahlavi|Reza Pahlavi]] della [[dinastia Pahlavi]] bandì il chador, considerandolo incompatibile con le sue ambizioni di ammodernamento. Secondo Mir-Hosseini e la già citata El Guindi "''la polizia arrestava le donne che portavano il velo e le obbligavanoobbligava a toglierlo''". Questa norma scandalizzò i chierici [[Sciismo|sciiti]] e anche molte donne comuni, per le quali "''apparire in pubblico a viso scoperto era paragonabile alla nudità, ma questa mossa venne accolta positivamente dai cittadini occidentalizzati e dagli uomini e dalle donne della classe dirigente, che vedevano la cosa in termini liberali come primo passo per garantire dei diritti alle donne''".
 
{{Citazione|Alla fine le regole di questa norma si allentarono, e dopo l'abdicazione dello scià [[Reza Pahlavi|Reza]] nel 1941 la legge che proibiva l'uso del velo venne abbandonata, anche se rimane intatta durante la [[dinastia Pahlavi]]. Secondo Mir-Hosseini "tra il 1941 e il 1979 seguire l'hejab ([[hijab]]) non era più considerato offensivo, ma poteva ostacolare la scalata sociale, un segno di arretratezza e di stato sociale. Un foulard come il chador poteva pregiudicare le possibilità di avanzamento nel lavoro e nella società non solo per le donne che lavoravano ma anche per gli uomini, che dovevano presenziare con le loro mogli alle funzioni sociali. Gli alberghi e i ristoranti alla moda si rifiutavano di ammettere donne con il chador, le scuole e le università lo scoraggiavano, anche se il foulard era tollerato. Era comune vedere ragazze provenienti da famiglie tradizionali, che uscivano di casa con il chador e arrivavano a scuola senza, per indossarlo di nuovo quando tornavano a casa.| Fatwa El Guindi, ''Veil: Modesty, Privacy, and Resistance'', pp. 174-175}}