Trionfo della morte (D'Annunzio): differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Giunea (discussione | contributi)
Voce rielaborata
Riga 1:
{{Spostare|Trionfo della morte (d'Annunzio)|Il titolo corretto del romanzo è "Trionfo della morte", senza l'articolo "Il".}}
{{F|letteratura|agosto 2018}}
 
 
{{nota disambigua||Trionfo della Morte (disambigua)}}
{{libro
|titolo = Trionfo della morte
|titoloalt = L'Invincibile
|titoloalfa =
|immagine =
|didascalia =
Line 12 ⟶ 14:
|ambientazione = [[Abruzzo]] (varie località della [[provincia di Chieti]]), [[Roma]], [[Umbria]]
|protagonista = Giorgio Aurispa, Ippolita Sanzio
|serie = I romanziRomanzi della Rosa
|preceduto = [[L'innocente (romanzo)|L'innocenteInnocente]]
|seguito =
}}
 
'''''Trionfo della morte''''' è un [[romanzo]] del [[1894]] di [[Gabriele D'Annunzio]] scritto nell'arco di quasi cinque anni (dal 1889 al 1894). Si tratta dell'ultimo della cosiddetta trilogia deide ''I Romanzi della Rosa'', dopodi cui fanno parte anche i precedenti ''[[Il piacere (romanzo)|Il piacerePiacere]]'' (1889) e ''[[L'innocente (romanzo)|L'innocenteInnocente]]'' (1892). Il romanzo era inizialmente dedicato a [[Giosuè Carducci]]<ref name= Mondadori>''Introduzione'' e ''Cronologia'' a G. d'Annunzio, ''Trionfo della morte'', Oscar Mondadori, 1995.</ref>, ma poi finì con l'essere dedicato all'amico pittore [[Francesco Paolo Michetti]], nel cui studio ([[convento Michetti]]) D'Annunzio riuscì a terminare la stesura dell'opera.
 
EsempioIl ''Trionfo della morte'' è un chiaro esempio di [[romanzo psicologico]], nel quale la trama e l'intreccioalternarsi cedonodelle vicende cede il posto all'introspezionea una perpetua analisi introspettiva della coscienza del [[protagonista]], Giorgio Aurispa,<ref nellaname= cuiMondadori mente si svolge l'intera vicenda romanzesca/>. Il romanzo, che si apre con un passo dell'''[[Al di là del bene e del male]]'' di [[Friedrich Nietzsche]] nell'[[esergo]], sviluppa il tema del [[Oltreuomo|superomismo]], così come interpretato dall'allora trentunenne D'Annunzio.
 
== Genesi ==
[[File:Francavilla al Mare 12 (RaBoe).jpg|thumb|right|Il [[Convento Michetti]] di [[Francavilla al Mare]], residenza di [[Francesco Paolo Michetti]] dove D'Annunzio soggiornò per terminare il Libro Quinto del ''Trionfo della morte'']]
L'opera fu avviata sempre nel 1889, assieme al ''Piacere'', prendendo il titolo de ''L'Invincibile''. Tuttavia, dopo alcune pubblicazioni a puntate, l'opera rimarrà incompiuta. Sempre nello stesso periodo, D'Annunzio incontrò l'amata Barbara Leoni, con cui prenderà una casa sul cosiddetto "[[Eremo dannunziano|promontorio dannunziano]]", presso [[San Vito Chietino]], proprio dove si svolgeranno le vicende dei protagonisti. Sempre traendo da ciò ispirazione, D'Annunzio scriverà delle lettere all'amante, sottolineando la vita sociale così arcaica della zona, tra cui anche l'episodio macabro del pellegrinaggio a [[Casalbordino]]. L'opera fu completata nel 1894 e pubblicata da Treves di [[Milano]].
L'opera fu avviata nel [[1889]], contemporaneamente alla stesura de ''[[Il piacere (romanzo)|Il Piacere]]''. Inizialmente intitolato ''L'Invincibile'', il romanzo venne pubblicato a puntate, tra il gennaio e il marzo 1890, sul settimanale ''[[La Tribuna illustrata]]'' di Roma; tuttavia, questa prima bozza dell'opera rimarrà incompiuta per mancanza di materiale (verranno pubblicati solo i primi 16 capitoli)<ref name= Mondadori />.
 
[[File:Pescara 167 (RaBoe).jpg|thumb|left|L'eremo dannunziano di [[San Vito Chietino]], col [[trabucco (pesca)|trabocco]] nel mare]]
== Trama ==
Sempre nello stesso periodo D'Annunzio incontrò [[Barbara Leoni]], con la quale prese una casa sul cosiddetto ''[[Eremo dannunziano|promontorio dannunziano]]'', presso [[San Vito Chietino]], luogo dove si svolgeranno anche le vicende dei protagonisti raccontati. Molto del romanzo è stato preso dalle esperienze che D'Annunzio visse con la sua amante Barbara Leoni nei due mesi che trascorsero là, come i luoghi, le abitudini e le superstizioni della gente del luogo, perfino l'episodio lugubre del bambino annegato (a cui D'Annunzio assistette veramente), così come quello del pellegrinaggio a [[Casalbordino]]; inoltre, sono presenti anche molte citazioni di frasi presenti nelle lettere che i due amanti si scambiarono nel corso della loro relazione<ref name= Mondadori />.
Giorgio Aurispa è un giovane [[Abruzzo|abruzzese]] di [[Guardiagrele]], colto e raffinato di nobili discendenze, che ha abbandonato il paese natìo per trasferirsi a Roma, scevro da qualsiasi impiego, grazie all'eredità lasciatagli dalla morte del suicida zio Demetrio. Intesse una relazione con una donna sposata, Ippolita Sanzio, che deciderà poi di abbandonare il marito in favore del protagonista. Il rapporto sentimentale nato tra i due ha quell'intensità violenta e sensuale cara a D'Annunzio, così come lo Sperelli ne ''[[Il piacere (romanzo)|Il piacere]]'', e al suo modo decadente di descrivere la passione come opera d'arte.
 
Dopo diverse interruzioni e successive riprese, finalmente il romanzo venne pubblicato, inizialmente a puntate, nelle appendici del quotidiano ''[[Il Mattino]]'' di Napoli tra il 3 febbraio e l'8 settembre 1893 e tra il 21 aprile e il 7 giugno 1894, per poi uscire in volume nel maggio 1894, pubblicato dall'editore [[Fratelli Treves|Treves]] di [[Milano]]<ref name= Mondadori />.
Giunto a Guardiagrele per rispondere al disperato appello della madre, Giorgio scopre che la nobile famiglia vive in disgrazia perché il capofamiglia, suo padre, vive in dissoluzione con una prostituta. Giorgio è scioccato, sia dalla notizia che dalla condizione misera in cui versa la popolazione, abbandonata alla povertà e alla superstizione. Decide di soggiornare allora al mare, nella costa teatina di [[San Vito Chietino]], affittando una casa su un promontorio. Ippolita lo raggiunge e la coppia vive felicemente, nonostante Giorgio, nei suoi studi nietzschiani, provi repulsione per la vita ancora pastorale e primitiva abruzzese. Ippolita invece ne è affascinata, specialmente quando assiste ad un esorcismo di una bambina. Giorgio diventa sempre più irrequieto e malinconico, e la sua follia esplode durante un pellegrinaggio alla [[Madonna dei Miracoli]] di [[Casalbordino]], dove assiste anziché ad uno scenario di carità cristiana, ad uno spettacolo macabro di malati e poveracci in condizioni disumane. Poiché Ippolita si è mostrata molto meravigliata e attratta dalla vita pastorale locale, Giorgio vede distrutti il suo rapporto ed equilibrio, decidendo il suicidio assieme alla sua amata.
 
== Trama ==
== Il superomismo dannunziano ==
Giorgio Aurispa è un giovane [[Abruzzo|abruzzese]] di [[Guardiagrele]] ([[Provincia di Chieti|Chieti]]), [[esteta]], colto, raffinato e di nobili discendenze, che ha abbandonato il paese natìo per trasferirsi a Roma, dove vive libero da qualsiasi impiego grazie all'eredità lasciatagli dallo zio Demetrio, morto suicida. Qui inizia una relazione con una donna sposata, Ippolita Sanzio, intrappolata in un matrimonio difficile e a tratti violento al punto da indurla ad abbandonare il marito. La relazione nata tra Giorgio e Ippolita ha quell'intensità violenta e sensuale cara a D'Annunzio, così come lo Sperelli ne ''[[Il piacere (romanzo)|Il piacere]]'', e al suo modo di descrivere la passione come opera d'arte.
{{vedi anche|Oltreuomo}}
[[File:Guardiagrele Santa Maria Maggiore Stemmi-Cittadini.jpg|thumb|Stemmi nobili sul fianco della Cattedrale di Santa Maria Maggiore di [[Guardiagrele]]: D'Annunzio descrive tra questi quello del casato nobile del protagonista]]
La soggettività dell'impostazione narrativa è anche dovuta al peculiare carattere dell'eroe dannunziano, malato, debole e gelosamente chiuso in se stesso, per il quale la realtà umana si rivela senza speranza, vuota ed inutile. Persino l'[[amore]] per Ippolita alla fine non è capace di dare alcuna consolazione ed al protagonista non rimane altra scelta che quella di porre fine al "mal di vivere" che gli è insopportabile. Come nel ''Piacere'' anche in questo romanzo vi sono abbondanti ricorsi [[simbolismo|simbolici]], come per il [[suicidio]] iniziale che presagisce la morte del protagonista . Nell'opera D'Annunzio riunisce nella prima sequenza di [[Guardiagrele]] i temi cari del Decadentismo, ossia il culto dell'arte antica, che nella città ha il suo simbolo nel [[Duomo]], e le tristi vicende di degrado della nobile famiglia del protagonista. Il principale nemico del protagonista Giorgio è la dominazione della natura, che già dal primo momento si manifesta con la morte nell'uomo suicida. La morte è un messaggio del destino verso il protagonista, costretto a trovare un nuovo metodo filosofico di risposta. Infatti non prevale più il sentimento di stupore dinanzi ai fenomeni della natura, in cui il protagonista manifesta sensazioni di sublime contemplazione, ma occorre cercare per l'esteta una nuova via di sopravvivenza nel mondo abruzzese ancestrale e primordiale, dove prevalgono la malattia dei poveri e la superstizione popolare verso il diverso.
 
Caratterizzato da una spiccata e raffinata sensibilità emotiva, sempre pronto ad analizzare sotto ogni aspetto ogni singolo evento vissuto e ogni singola emozione, Giorgio Aurispa è fatalmente prigioniero di una malia che lo attrae verso la morte e che lo lega indissolubilmente al destino del suicida zio Demetrio e a cui Giorgio si sente legato da una comune spiccata sensibilità d'animo e di insofferenza verso la mediocrità della vita. Questo malessere malinconico lo porta più volte a progettare il suicidio, ma senza arrivare fino in fondo, strappato ogni volta da un primitivo attaccamento alla vita, manifestato dapprima attraverso l'irruente passione dell'amante, poi attraverso il ritorno alla terra e alle proprie origini (che lo portano al [[Panismo|tentativo di fondersi con la natura]] e con uno stile di vita più semplice), poi abbracciando il [[Misticismo cristiano|misticismo religioso]]; infine, attraverso una totale e fiduciosa adesione allo [[spirito dionisiaco]] delle teorie [[Oltreuomo|superomistiche]] [[Friedrich Nietzsche|nietzschiane]], capace di renderlo finalmente libero da ogni debolezza umana. Incolperà poi l'amante, Ippolita Sanzio, di essere il vero ostacolo per liberarsi dall'oppressione della morte, a causa della sua passione lussuriosa che gli assorbe ogni energia vitale e, con essa, qualunque tentativo di elevarsi ad una vita intellettuale superiore, rendendola di fatto la "Nemica" da sconfiggere.
La seconda sequenza del romanzo è ideale al protagonista per la scoperta del superuomo di Nietzsche, in un clima di apparente calma, come una sorta di nido protettivo, presso il promontorio sanvitese della costa dei Trabocchi. Tuttavia l'equilibrio di Giorgio è costantemente minato dalla presenza di rigurgiti popolari di superstizione, come l'episodio del bambino ucciso dalle streghe, dove la conoscenza e la cultura del protagonista non possono nulla. Tali pratiche religiose sono collocate nel contesto naturale culturale abruzzese, contro cui Giorgio deve confrontarsi. Infatti benché lui confidi in Ippolita, la sua compagna, la ragazza è incuriosita dalle tradizioni abruzzesi, portando alla rottura del rapporto amoroso. Neanche Giorgio può sfuggire al proprio destino di morte, scegliendo la partecipazione al macabro pellegrinaggio di [[Casalbordino]] alla Madonna dei Miracoli.
 
=== Libro primo ===
In sostanza il personaggio alter-ego di D'Annunzio può sopravvivere soltanto in un contesto culturale alto, come nella situazione iniziale di equilibrio a Roma, equilibrio che non riesce a sopravvivere alla presenza di personalità borghesi o abbienti, categoria fortemente ripudiata dall'esteta dannunziano. La figura del superuomo nietzschiano in sostanza è il tentativo estremo letterario di D'Annunzio di creare un personaggio duce della cultura contemporanea, che con la sua potenza è in grado di dare giusta forza al protagonista esteta acculturato per poter fronteggiare e dominare i principali nemici, incarnati dalla ''[[femme fatale]]'' e dalla selvaggia Natura.
[[File:Orvieto - Veduta dalla Torre del Moro, Duomo.jpg|thumb|Veduta del Duomo di Orvieto]]
L'assistere a un suicidio a [[Roma]] spinge Giorgio e Ippolita a partire per l'[[Umbria]] nel vano tentativo di liberarsi dall'ombra della morte e della malinconia, ma giunti a destinazione trovano soltanto un ambiente spoglio e cupo che acuisce il malessere dei due. Decidono, poi, di visitare anche [[Orvieto]] e il suo [[Duomo di Orvieto|duomo]]; qui, la visione della cattedrale imponente e dei vari conventi circostanti instilla nel protagonista un'acerba idea di poter allievare il suo malessere grazie alla fede.
 
=== ILibro luoghi e i temisecondo ===
{{citazione|[[Guardiagrele]], la città di pietra, risplendeva al sereno di maggio. Un vento fresco agitava le erbe su le grondaie. [[Collegiata di Santa Maria Maggiore (Guardiagrele)|Santa Maria Maggiore]] aveva per tutte le fenditure, dalla base al fastigio, certe pianticelle delicate, fiorite di fiori violetti, innumerevoli cosicché l’antichissimo Duomo sorgeva nell’aria cerulea tutto coperto di fiori marmorei e di fiori vivi.|[[Gabriele D'Annunzio]], ''Trionfo della morte'', Libro secondo}}
=== Libro Primo ===
I temi del primo libro (l'opera ne comprende sei) sono già dall'inizio relativi alla morte. [[Roma]] per Giorgio e Ippolita non è più una città di pace eterna come lo era una volta. Dalla visione del cadavere di un suicida Giorgio comincia a sviluppare un senso di malessere che non lo fa stare più felice com'era prima. Nemmeno Ippolita con il suo amore riesce a consolarlo. Giorgio decide di partire con la fidanzata per l'[[Umbria]] dove, secondo lui, leggendo le lettere d'amore che i due si spedivano, il suo malessere sarebbe dovuto sparire. I luoghi dell'Umbria sono molto tetri e piovigginosi, basti ricordare la descrizione che D'Annunzio fa di un albero sbattuto a terra dal vento durante una tempesta. Giorgio e Ippolita di seguito vanno a visitare anche [[Orvieto]] e il suo [[Duomo di Orvieto|duomo]] e provano un senso di gioia nel vedere soltanto quella cattedrale in mezzo a tutte le minuscole casupole della città e ai piccoli conventi. In base ai sentimenti che prova nel vedere il duomo, Giorgio durante la notte nel suo ostello fa un sogno. Sogna di nuovo quel duomo ma in epoca della contesa tra [[guelfi e ghibellini]]. Soltanto il duomo è un baluardo di speranza irraggiungibile. Da allora Giorgio incomincia a ipotizzare che forse la chiave per alleviare i dolori del suo malessere è la fede.
 
[[File:Guardiagrele Santa Maria Maggiore Occidentale.jpg|thumb|left|Il [[Collegiata di Santa Maria Maggiore (Guardiagrele)|duomo di Santa Maria Maggiore]] a [[Guardiagrele]], descritto da D'Annunzio nel Libro Secondo]]
=== Libro Secondo ===
{{citazione|[[Guardiagrele]], la città di pietra, risplendeva al sereno di maggio. Un vento fresco agitava le erbe su le grondaie. [[Duomo di Guardiagrele|Santa Maria Maggiore]] aveva per tutte le fenditure, dalla base al fastigio, certe pianticelle delicate, fiorite di fiori violetti, innumerevoli cosicché l’antichissimo Duomo sorgeva nell’aria cerulea tutto coperto di fiori marmorei e di fiori vivi.|[[Gabriele D'Annunzio]], ''Trionfo della morte'', Libro Secondo}}
 
Il luogo dominante in tutto il secondo libro è il borgo medievale di [[Guardiagrele]], alle pendici della [[Majella]], nella [[provincia di Chieti]], terra natìa di Giorgio Aurispa. Attraverso il protagonista D'Annunzio traccia un suggestivo ritratto di Guardiagrele, definita ''la regina delle città di pietra'', con la sua [[Collegiata di Santa Maria Maggiore (Guardiagrele)|cattedrale di Santa Maria Maggiore]], baluardo della città che riporta scolpito sopra il portone centrale lo stemma degli Aurispa.
[[File:Guardiagrele Santa Maria Maggiore Occidentale.jpg|thumb|Il [[Duomo di Santa Maria Maggiore (Guardiagrele)|Duomo di Santa Maria Maggiore]] a [[Guardiagrele]], descritto da D'Annunzio nel Libro Secondo]]
 
[[File:Guardiagrele Santa Maria Maggiore Stemmi-Cittadini.jpg|thumb|Stemmi nobili sul fianco della Cattedrale di Santa Maria Maggiore di [[Guardiagrele]]: D'Annunzio descrive tra questi quello del casato nobiliare del protagonista]]
L'[[Abruzzo]] è il luogo dominante in tutto il secondo libro del ''Trionfo della morte''. Per la precisazione D'Annunzio tratta della collocazione della famiglia originale del nobile Giorgio Aurispa: il borgo medievale di [[Guardiagrele]], alle pendici della [[Majella]], nella [[provincia di Chieti]]. Qui D'Annunzio narratore e anche per bocca di Giorgio Aurispa traccia uno stupendo ritratto di Guardiagrele, definendola la regina delle "città di pietra"; la [[Cattedrale di Santa Maria Maggiore (Guardiagrele)|Cattedrale di Santa Maria Maggiore]] è il baluardo della città, quasi il simbolo, con lo stemma degli [[Aurispa]] scolpito nel bianco marmo sopra il portone centrale. Il resto della cittadina per D'Annunzio è polvere, così come lo sono i popoli e cittadini rozzi della città e dell'intera zona d'[[Abruzzo]].
[[File:P1060160.JPG|thumb|left|Il corso principale: Via Roma e il campanile della [[Chiesa di San Nicola di Bari (Guardiagrele)|Chiesa di San Nicola di Bari]]]]
Infatti D'Annunzio e lo stesso Giorgio hanno un rapporto assai conflittuale con la loro terra natia in quanto è ricca di bellezze naturali, ma ancora piena di contadini rozzi vagabondi o arricchiti assai pieni di pregiudizi, chiusi nelle loro becere tradizioni e assolutamente volgari e sgraziati in qualsiasi cosa facciano. Il tema predominante in questo libro infatti non è più quello della morte, ma proprio quello della famiglia. Giorgio è vissuto nella lussureggiante [[Roma]] troppo a lungo, dimenticandosi della sua nobile famiglia in decadenza e delle sciagure che la affligge. Infatti il padre, tradendo la moglie con una concubina, ha deciso di far morire di fame la moglie lasciandola nella più completa povertà e tutti i parenti, nipoti e cugine che cercano di aiutarla. Giorgio viene avvicinato dalla madre, verso cui ha un forte rapporto affettivo ed è costretto suo malgrado a lottare con il padre affinché la famiglia Aurispa torni agli antichi splendori. Mentre Giorgio, controvoglia, si prepara per l'incontro con il severo e bigotto padre, assiste alla desolazione del paese montano e alla mediocrità in cui vivono i suoi giovani parenti, più simili a bestie che a uomini.
[[File:Torrione Orsini, Guardiagrele 2.png|thumb|Il Torrione Orsini di [[Guardiagrele]] e la [[Majella]] all'epoca di D'Annunzio]]
C'è una cugina che ha un figlio di pochi anni gravemente malato e che prima o poi dovrà morire. Il pargolo ha tremendamente paura dei cani perché pensa che siano l'incarnazione della Morte ed ogni volta che ne vede uno grida ed urla piangendo. Poi v'è un'altra parente che soffre pene d'amore per una relazione non corrisposta. Soltanto il profumo dei fiori montani e la visione della Cattedrale per Giorgio hanno senso di speranza e di coraggio. Il litigio con un parente per l'eredità è il colmo per Giorgio. D'Annunzio per caratterizzare meglio la cattiveria di quest'uomo lo definisce come un essere grasso, orrendo in qualsiasi tratto del viso e del corpo e dell'anima, unto di olio e sporco di cipria per apparire più elegante.
 
Qui il protagonista inizia un tentativo di aderire all'armonia delle bellezze paesaggistiche ([[panismo]]), da cui trae un senso di speranza e coraggio che lo allontana dalla propria malinconia, quasi immedesimandosi con esse, ma Giorgio Aurispa, come del resto lo stesso D'Annunzio, ha un rapporto conflittuale con la terra natìa, poiché vede le bellezze naturali svilite dalla presenza di una popolazione abitante rozza e mediocre.
Anche il padre di Giorgio ha questi aspetti, il quale essendo in disgrazia economica chiede al figlio di firmargli un assegno. Giorgio è titubante, ma il padre per convincerlo finge di essere afflitto da una malattia incurabile, facendo commuovere fino alle lacrime il figlio. Infatti egli conosce bene le debolezze di Giorgio il quale però, non appena scopre l'inganno, vomita tutte le ingiurie e gli insulti che può addosso al padre e si allontana via da Guardiagrele per sempre. Solo il ricordo della madre piangente sia all'inizio dell'arrivo che alla fine gli resta in mente. Un'altra cosa che D'Annunzio inserisce nel testo per caratterizzare meglio la gente contadina di Guardiagrele è la descrizione del viso delle anziane donne, più simile a [[strega|streghe]] e vecchie fattucchiere che donne, e alcune usanze tipiche del luogo, per non parlare delle credenze popolari di maghi e fantasmi.
 
Richiamato a Guardagriele per rispondere al disperato appello della madre, Giorgio scopre che la sua famiglia vive in disgrazia perché suo padre, con la complicità di un altro figlio e di un genero, si era costruito un'altra vita con un'altra donna, per mantenere la quale stava dilapidando il patrimonio di famiglia. Spinto dalla richiesta materna, Giorgio cerca di distogliere il padre dal suo intento, ma finisce con l'essere circuito dal vecchio, che lo convince di avere una malattia incurabile, al punto da indurlo a firmargli una cambiale per pagargli dei debiti contratti. Scioccato dal comportamento paterno e allo stesso tempo nauseato dal legame di sangue con quell'uomo abietto con cui si era dimostrato remissivo suo malgrado, Giorgio Aurispa decide di visitare la stanza, rimasta intatta, dove lo zio si era suicidato (episodio scolpito nella mente del protagonista); qui subisce una fortissima attrazione verso lo stesso destino dello zio Demetrio al punto da distendersi sullo stesso letto e impugnare la stessa pistola con cui il parente si era suicidato, ma poi si convince che può ancora trovare salvezza ricercando e abbracciando le radici della propria stirpe; questo lo porta a rinunciare, seppur temporaneamente, al gesto estremo.
=== Libro Terzo ===
[[File:Pescara 167 (RaBoe).jpg|thumb|L'eremo dannunziano di [[San Vito Chietino]], col [[trabucco (pesca)|trabocco]] nel mare]]
La terza parte del ''Trionfo della morte'' è stata scritta da [[Gabriele D'Annunzio]] mentre soggiornava a [[San Vito Chietino]]. Giorgio, non trovando sollievo ai suoi mali, aspetta che la sua fidanzata Ippolita lo raggiunga in un paesino della sua terra natia che si affaccia sul [[mar Adriatico]]. Egli compera una casa su un promontorio poco distante dal paese in direzione di [[Casalbordino]] e si affretta ad arredare tutta la casa di campagna affinché possa goderci l'amore con la sua amata. I temi sono sempre quelli del Primo Libro: la morte ed un metodo per risolvere il suo "male di vivere". Per tutta la terza parte l'animo di Giorgio Aurispa si fonde con le bellezze del paesaggio: ora con il cielo turchino, ora con il mare che si vede ai piedi. La presenza dei contadini vicini non fanno che da sfondo all'attesa di Giorgio.
 
=== Libro terzo ===
Quando giunge Ippolita il rapporto tra i due prosegue più focoso che mai, ma proprio per questo l'amore che Giorgio prova per Ippolita inizia a svanire. Infatti mentre Giorgio mostra i chiari segni del suo turbamento, Ippolita non pensa ad altro che divertirsi, essendo anche lei di origini campagnole nel [[Lazio]]. Tutti i capitoli come nella parte precedente sono arricchiti da accurate descrizioni della zona di [[San Vito Chietino]] e dalle tipiche usanze rudi (ma più festose delle precedenti) dei contadini e dei pescatori del mare. Rimane indimenticabile la canzone popolare anonima ''[[Tutte le funtanelle]]''. Infatti un oggetto predominante in tutta questa parte è il famosissimo [[Trabucco (pesca)|trabocco]], descritto da D'Annunzio come un ragno di legno che getta le sue zampe e le sue reti nel mare.
Deluso dalla sua famiglia Giorgio decide di fuggire da Guardagriele per ritirarsi, assieme all'amata Ippolita, in un villaggio abruzzese sulle rive dell'[[Mare Adriatico|Adriatico]], sulla [[Costa dei Trabocchi|costa teatina]] di [[San Vito Chietino]], affittando una casa su un [[Eremo dannunziano|promontorio]]. Qui Giorgio riscopre il fascino della propria terra d'origine: la bellezza del luogo è imperante e minuziosamente descritta; in essa i protagonisti tendono a fondersi in totale armonia.
 
=== Libro Quartoquarto ===
{{Immagine multipla
[[File:Tocco da Casauria 02.jpg|thumb|left|La chiesa e il castello di [[Tocco da Casauria]] descritti da D'Annunzio]]
| allinea = left
Il Quarto Libro presenta la parte più oscura delle usanze e dei popolani rozzi e campagnoli dell'[[Abruzzo]]. Infatti Ippolita e Giorgio già dall'inizio ne hanno la consapevolezza, venuti a sapere di un importante pellegrinaggio di popolani che avrebbe dovuto svolgersi a [[Casalbordino]], partendo da [[Fossacesia]]. I due fidanzati vengono a sapere dal vecchio proprietario della loro casa, il dialettale Nicola detto "Cola", che un bambino è ammalato. Ippolita ne è venuta a conoscenza per prima e così porta attraverso gli [[olivi]] Giorgio fino al luogo sul promontorio dov'è il moribondo. Nel percorso i due incontrano tre anziane massaie, sempre paragonate da D'Annunzio come tre vecchie streghe quasi mostruose piene di difetti fisici e morali. Nella casa dove c'è il bambino sofferente la madre, senza più forza di piangere, culla inesorabilmente la culla, aspettando che il bambino spiri.
| larghezza totale = 300
| immagine1 = SantuarioMiracoli.jpg
| immagine2 = 2018FestaMiracoliCasalbordino 03.jpg
| sotto = A sinistra il [[Santuario della Madonna dei Miracoli (Casalbordino)|santuario della Madonna dei Miracoli]] a [[Casalbordino]] e a destra un'immagine della processione con la statua della Madonna e del miracolato portata a spalle.
}}
 
Nonostante il clima di spensieratezza in cui i due amanti vivono sull'eremo abruzzese per tre mesi, Giorgio anche qui non può evitare di provare una rinnovata repulsione per la vita pastorale, primitiva e superstiziosa degli abitanti abruzzesi, mentre Ippolita ne è invece affascinata, specialmente quando assiste a un episodio riguardante un bambino la cui vita, secondo la credenza popolare, veniva succhiata lentamente dalle [[Strega|streghe]].
[[File:SantuarioMiracoli.jpg|thumb|Il [[Santuario della Madonna dei Miracoli (Casalbordino)|Santuario della Madonna dei Miracoli]] a [[Casalbordino]]]]
 
Sedotto nuovamente dall'idea di suicidio, a salvarlo questa volta è la convizione di poter trovar rifugio nel [[Misticismo cristiano|misticismo religioso]], ma poi assiste a un [[pellegrinaggio]] alla Madonna dei Miracoli di [[Santuario della Madonna dei Miracoli (Casalbordino)|Casalbordino]] dove, anziché ad uno scenario di carità cristiana, si trova di fronte ad un degradante e macabro spettacolo: da una parte malati e disperati che, per chiedere [[Grazia (teologia)|grazia]] alla Madonna, sono pronti a sottoporsi a svariate umiliazioni; dall'altra una massa di disgraziati che, approfittando dell'occasione del pellegrinaggio, ostentano le loro deformità ai passanti pur di ottenere l'elemosina. Questo fanatismo religioso, più simile a un rituale superstizioso che non a puro misticismo, segna nell'animo di Giorgio una rottura netta sia con la sua terra d'origine che con la religione, inducendolo a ripiombare nella malia della morte.
Tutte le massaie più anziane della zona si sono raccolte attorno alla culla e, pregando sommessamente, quasi in maniera esageratamente convulsiva, sperano in un aiuto di [[Dio]]. Il padre del bambino già aveva tentato tutte le cure possibili per salvare il bambino: ovvero si è affidato a tipici rimedi per le superstizioni locali come uccidere un cane affinché la Strega della Morte non entrasse in casa oppure di digiunare una settimana intera dicendo gli "Ave Maria". Nulla è servito per il bambino magro, che ha appena finito di vivere: Giorgio e Ippolita restano allibiti di fronte alla scena e alle dichiarazioni dei presenti sull'inutilità delle cure per colpa della Strega della Morte.
 
=== Libro quinto ===
[[File:Abbazia di San Giovanni in Venere, Fossacesia.JPG|thumb|left|L'[[Abbazia di San Giovanni in Venere]] a [[Fossacesia]]]]
Centrali nel quinto libro sono le teorie filosofiche di [[Friedrich Nietzsche]], ossia quelle del [[Oltreuomo|superuomo]]; numerose, infatti, sono le citazioni tratte dall'opera ''[[Così parlò Zarathustra]]''. In basse ad esse Giorgio sente di volersi avvicinare a questa filosofia in cui l'uomo si disfa di tutti i tormenti interiori e arriva a dominare energicamente tutti i suoi stati d'animo, divenendo un essere superiore, vitale, eroico: un superuomo, appunto; tuttavia riconosce di esserne incapace.
A questo punto entra in scena l'incarnazione del tema della morte, avvertito soltanto da Giorgio tramite un brivido causato da un violento frusciare di foglie attorno ad un [[olivo]]. Le vecchie concludono le loro nenie e le loro preghiere, iniziando a parlare del pellegrinaggio da [[Fossacesia]] verso [[Casalbordino]]. Durante una notte, mentre Giorgio riflette sempre sul suo "male di vivere" assieme ad Ippolita, vede nell'orto degli ulivi camminare una donna. Si tratta della madre del bambino morto che piangendo, seguita dal marito che cerca di dissuaderla dall'andare, si unisce ad un pellegrinaggio di cui si sente soltanto il coro di preghiere. Ippolita e Giorgio decidono di partire il mattino dopo per Casalbordino.
 
=== Libro sesto ===
Anche nella stazione, visto che è gremita da tanti popoli delle contrade vicine, D'Annunzio non manca di descrivere gli atteggiamenti di quelle persone: urlanti, nervose e ansiose di partire al più presto per andare ad assistere alla messa della chiesa. Partiti e giunti con la guida Cola a Casalbordino, Ippolita e Giorgio giungono davanti al [[Santuario della Madonna dei Miracoli (Casalbordino)|santuario della Madonna dei Miracoli]]. Prima del viaggio D'Annunzio fornisce una descrizione sul perché del pellegrinaggio: i popolani si recano al santuario per un miracolo della [[Maria (madre di Gesù)|Madonna]] per mezzo di un penitente il cui prodigio è la crescita miracolosa di un [[orto (agricoltura)|orto]] nella terra arida di Casalbordino. Proprio lì fu costruito il santuario. Giorgio squadra bene la struttura del santuario e lo considera orrendo, massiccio, privo di decorazioni e di eleganza: esattamente ciò che si merita il popolaccio di Casalbordino. Da qui D'Annunzio per sostenere la sua tesi riguardo alla bruttezza e la rozzezza di quel santuario descrive il tempietto di [[Tocco da Casauria]]: un paesino costruito esattamente ai piedi della [[Majella]] e ne traccia i bei ritratti della chiesa e del castello.
[[File:Ortona 2000 by-RaBoe-01.jpg|thumb|Veduta di [[Ortona]] dal mare con la [[Majella]] in sottofondo]]
Analizzando la figura di Ippolita Giorgio capisce che forse è proprio lei a impedirgli di elevarsi ad una vita intellettuale superiore, attraverso una ossessione carnale di cui è schiavo e che gli toglie ogni energia vitale. Ippolita diviene, allora, la "Nemica" da sconfiggere. È così che Giorgio matura nella sua mente la ferma decisione di attuare concretamente il progetto del suicidio ma, questa volta, trascinando con sé anche l'amante, per potersi finalmente affrancare da quella soggiogante lussuria distruttiva che lo lega a lei.
 
Con una scusa conduce Ippolita sull'orlo del promontorio, dopo averla fatta ubriacare in modo da farle perdere l'autocontrollo e renderla più vulnerabile. Lì giunti, dopo i primi vani tentativi di chiamarla a sé e indurla a compiere spontaneamente il gesto estremo, Giorgio si risolve prendendo Ippolita di peso (che troppo tardi aveva capito le sue intenzioni) e, dopo una breve lotta, si getta di sotto, trascinando con sé anche la riluttante "Nemica": «''E precipitarono nella morte avvinti''».
[[File:Francavilla al Mare 12 (RaBoe).jpg|thumb|Il [[Convento Michetti]] di [[Francavilla al Mare]], residenza di [[Francesco Paolo Michetti]] dove D'Annunzio soggiornò per terminare il Libro Quinto del ''Trionfo della morte'']]
 
Il suicidio palesa la definitiva sconfitta dell'inetto protagonista che, nonostante la strenua lotta per attaccarsi alla vita, non ne trova una valida soluzione attuabile, lasciando trionfare la morte.
Lo spettacolo che si offre agli occhi di Giorgio e Ippolita è angoscioso: centinaia di pellegrini si affollano alle porte della chiesa, cercando di entrare per vedere un importante affresco della Madonna e del suo beniamino che ha fatto crescere l'orto. Altre schiere di donne penitenti sono più indietro a dondolarsi e a pregare piangendo, rigandosi il viso con le unghie e strappandosi i capelli per la disperazione. Poi D'Annunzio passa a descrivere i volti e il fisico delle genti di Casalbordino: rozzi, grassi, più simili a maiali che a uomini, con la faccia scavata e piena di rughe peggio di scimmie, con le teste pelate ricoperte di croste e di altre piaghe purulente. La scena assomiglia al tipico tribunale dell'[[Inferno (Divina Commedia)|Inferno]] di [[Dante Alighieri]] quando i dannati si trovano dinanzi al giudice [[Minosse]]. Questa scena segna nell'animo di Giorgio una rottura netta con il suo luogo d'origine: l'[[Abruzzo]], e con tutti i suoi familiari e conoscenze.
 
== La figura di Ippolita Sanzio<ref name= Mondadori /> ==
=== Libro Quinto ===
In tutto il romanzo Ippolita assume agli occhi di Giorgio Aurispa diversi ruoli: a volte viene idealizzata e trasformata in una creatura spirituale, resa ancor più bella, eterea e desiderabile grazie alle malattie che la affliggono: l'[[epilessia]] e una sterilità causata da un morbo contratto nel matrimonio che, secondo il protagonista, ne acuisce la femminilità; è una creatura capace di strapparlo dall'idea del suicidio grazie alla sua passionale vitalità e a uno stupore quasi infantile per la semplice quotidianità della vita e la bellezza della natura, che la rendono ancor più innocente e pura (e allo stesso tempo invidiabile, poiché questa visione della vita è preclusa al protagonista). Altre volte invece la vede spogliata della sua aurea celeste rivelando, così, una natura fin troppo umana, fallibile, volgare e plebea, in netto contrasto con la sensibilità d'artista e di esteta di Aurispa; infine una [[Femme fatale|femme fatale]] o una ''belle dame sans merci'', una "Nemica" dai bassi istinti lussuriosi che tengono il protagonista soggiogato e legato a sé, e finiscono con il degradare e svilire il rapporto tra i due amanti (che diventa pura attrazione fisica e nient'altro), acuendo in lui un senso di sconfitta che lo spinge irrimediabilmente sempre più al suicidio e, giunti a questo punto, anche all'omicidio dell'amante. Eppure la figura di Ippolita altro non è che un pretesto, il mezzo attraverso cui il protagonista prende piena coscienza del suo male di vivere, da cui volersi disperatamente liberare per poter approdare a quella vita superiore idealizzata dalla filosofia superomistica<ref name= Mondadori />.
[[File:Ortona 2000 by-RaBoe-01.jpg|thumb|left|Veduta di [[Ortona]] dal mare con la [[Majella]] in sottofondo]]
Dal ritorno tragico dalla piazzetta di [[Casalbordino]], Giorgio ed Ippolita decidono di passare il resto del loro soggiorno in [[Abruzzo]] presso la casetta sull'eremo di [[San Vito Chietino]]. Qui Giorgio ha tutto il tempo di riflettere su ciò che ha compiuto in vita sua fino a quel momento. Infatti in questa parte del romanzo i temi toccano profondamente quelli della filosofia di [[Nietzsche]], ossia il [[superuomo (Nietzsche)|superuomo]]. Giorgio sente di volersi avvicinare a questa filosofia in cui l'uomo si disfa di tutti i suoi crucci e arriva ad essere padrone di tutti i suoi sentimenti con la filosofia. Nei vari capitoli sono presenti molte citazioni dall'opera ''[[Così parlò Zarathustra]]''. Tuttavia Giorgio riconosce di essere uno "sterile", di non essere mai stato nella sua vita collegato a quei desideri filosofici a cui tanto va anelando.
 
== Dal [[decadentismo]] al [[Oltreuomo|superomismo]] dannunziano<ref name= Mondadori /> ==
L'ennesimo episodio tragico in quella terra ne danno la chiara conferma: un ragazzino di nemmeno dieci anni annega nel mare sotto il promontorio e Giorgio assiste ai lamenti della madre che, secondo l'usanza, si inginocchia e canta delle dolci ninna-nanne al cadavere; le donne del borgo pregano la Madonna affinché faccia un miracolo e faccia rivivere il bambino, mentre una megera scettica insulta la donna che si perde a compiangere il figlio, ormai morto e irrecuperabile. In questa parte dell'opera c'è anche un altro importante tema: quello della nascita di una certa ''Nemica''. Inizialmente D'Annunzio non ne dà una descrizione precisa, ma fa capire che è quell'essere impalpabile che è la causa dei mali di Giorgio Aurispa. Egli un giorno, passeggiando per il trabocco di [[Fossacesia]], ne ha la piena consapevolezza non appena subisce una mancanza di rispetto da parte della fidanzata Ippolita. Giorgio vorrebbe tuffarsi a nuotare tra gli scogli, ma Ippolita è riluttante. Giorgio cerca di aiutarla, ma lei scioccamente cade in acqua e rischia di far affogare sia lei che l'amante. Giorgio, rinunciando alla nuotata, incomincia a guardare con odio atroce la sua Ippolita e medita addirittura di ucciderla, riconoscendola come la ''Nemica''.
Il protagonista del romanzo, Giorgio Aurispa, è il tipico eroe decadente dannunziano: esteta, inetto, malato di una spiccata sensibilità emotiva che gli fa disprezzare e rifiutare la mediocrità della vita; un individuo debole e introspettivo, per il quale la realtà umana si rivela senza speranza, vuota e inutile. Egli diventa il simbolo della condizione negativa dell'uomo moderno, incapace di aderire vitalmente all'esistenza a causa di una imperterrita analisi intellettuale delle cose. Persino l'[[amore]] per Ippolita non è capace di dare alcuna consolazione e, anzi, nell'ultima parte del romanzo diventa l'ostacolo primario che impedisce al protagonista di elevarsi.
 
Nell'opera D'Annunzio riunisce nella prima sequenza di [[Guardiagrele]] i temi cari al [[decadentismo]], ossia il culto dell'arte antica, che nella città ha il suo simbolo nel [[Duomo]], e le tristi vicende di degrado della nobile famiglia del protagonista. Il tema della morte domina in tutto il romanzo, facendosi protagonista a seguito del colloquio col padre, episodio che spinge Giorgio Aurispa al primo tentativo di suicidio, poi fallito; è a partire da questo momento che, sentendo la minaccia della morte incombere e premere su di lui, il protagonista cerca di trovare di volta in volta un diverso metodo filosofico di risposta: la vitale passione per Ippolita (rivelatasi inutile e, anzi, dannosa), poi il ritorno alle origini e alla terra natìa, che lo portano a tentare di abbracciare uno stile di vita semplice e di identificarsi con la natura benigna ([[panismo]]), in cui il protagonista manifesta sensazioni di sublime contemplazione (infatti, secondo Giorgio-D'Annunzio, chi vive a stretto contatto con la natura, in perfetta armonia con essa, si allontana da quelle meditazioni intellettuali tipiche dell'uomo moderno che provocano un distacco dal vivere naturale, armonioso e semplice), infine il rifugio nel misticismo religioso dove, però, le miserie fisiche degli abitanti (evidenti nell'episodio del macabro pellegrinaggio di [[Casalbordino]] alla Madonna dei Miracoli) e la superstizione popolare (come l'episodio del bambino ucciso dalle streghe), caratterizzanti il mondo ancestrale e primordiale abruzzese (e in cui Giorgio confidava come possibile via d'uscita), alla fine non rivela possibile alcun riscatto e alcuna possibilità di salvezza. Anche Ippolita, nel cui vitale amore il protagonista confida come ennesimo tentativo di scampo, finisce col deluderlo a causa di una curiosità e attrazione verso le tradizioni abruzzesi che la rendono troppo vicina alla mediocrità popolare, contribuendo a portare alla rottura del rapporto amoroso. Tutti questi tentativi, quindi, si rivelano fallimentari e spingono il protagonista-[[Estetismo|esteta]] a cercare una nuova via di sopravvivenza per non soccombere al richiamo della morte e, quindi, alla sconfitta.
=== Libro Sesto ===
Dopo un viaggio a [[Vasto]], Giorgio e Ippolita si fanno recapitare da [[Roma]] a San Vito un pianoforte affinché possano passare i pomeriggi in allegria. I temi della prima parte del Libro Sesto sono quelli dell'amore sfrenato. Infatti Giorgio ricorda tutte le parti più erotiche del racconto di ''[[Tristano e Isotta]]'', dal loro incontro alla loro unione, dalle imprese guerresche compiute da Tristano per Re Marco di [[Cornovaglia]] al suicidio di entrambi. Nella seconda parte del Libro Sesto invece i temi riguardano soltanto la morte. Giorgio chiede insistentemente ad Ippolita cosa farebbe lei nel caso lui morisse e che cosa succederebbe se entrambi per caso si suicidassero o perissero per qualche disgrazia naturale. Ippolita ride e non comprende, pensando soltanto a scherzare. Per rafforzare il tema che predice la morte, D'Annunzio fa raccontare ad Ippolita alcune sventure accadutele quando era piccola. Inizialmente la donna parla di una cicatrice che le fece la mamma da piccola picchiandola selvaggiamente dopo un litigio e lo stesso avvenne per la sua sorella, quando si oppose alla madre riguardo al dover lasciare il suo fidanzato che era un crudele ragazzaccio.
 
Nella seconda sequenza del romanzo il protagonista si identifica pienamente con la teoria [[Oltreuomo|superomistica]] del filosofo tedesco [[Friedrich Nietzsche]] in un clima di apparente calma, come una sorta di nido protettivo, presso il [[Eremo dannunziano|promontorio sanvitese]] della [[costa dei Trabocchi]]. In quest'ultima fase Giorgio Aurispa diventa l'alter-ego di D'Annunzio, un personaggio che, come lui, può sopravvivere soltanto in un contesto culturale alto (è per questo che si trasferisce nella Roma artistica e intellettuale, dando un taglio netto con la vita di provincia della sua terra d'origine, priva di prospettive e raffinatezze intellettuali) e che, come lui, anela ad incarnarsi nella figura superomistica nietzschiana (seppure dandone un'interpretazione personale), vista come unica possibilità di riscatto dalla mediocrità umana. In sostanza, quello descritto nel ''Trionfo della morte'' diventa il tentativo letterario di D'Annunzio, seppur qui fallimentare (mentre sarà pienamente realizzato nel romanzo successivo ''[[Le vergini delle rocce]]'' attraverso il protagonista Claudio Cantelmo), di creare un personaggio che vive sì nel culto dell'arte e della bellezza come l'esteta decadente, ma a differenza di quest'ultimo, si manifesta energico, eroico e dominante, libero da ogni morale, e per questo in grado di raggiungere un'elevazione intellettuale altrimenti negata.
Giorgio a quei racconti di violenza inaudita prova molto interesse. Quella sera ad [[Ortona]], vicino a San Vito, ci sarebbe stata una festa e così nella casa sull'eremo, Ippolita inizia ad ammirare gli spari nel cielo. Giorgio per festeggiare prende due bottiglie di spumante ma le rompe accidentalmente su un canestro di pesche. Ippolita, sempre con il suo fare di bambina giocosa, finché non viene presa da attacchi epilettici. Giorgio allora riconosce prettamente in lei la ''Nemica''. Quando Ippolita si riprende Giorgio la porta fuori nella notte a prender un po' d'aria, ma non è affatto tranquillo. Un cane nero, simbolo della Morte, gli passa davanti. Giorgio prova paura, ma Ippolita tutt'altro e prende ad accarezzarlo e a canzonare Giorgio, che non vuole avvicinarsi. Questi allora s'infuria e trascina Ippolita verso il precipizio dell'eremo, gettandosi di sotto avvinghiato a lei.
 
== Note ==
<references/>
 
== Edizioni ==
* G. d'Annunzio, ''Trionfo della morte'', Mondadori, Milano, 2007. ISBN 9788804505461
 
== Voci correlate ==
* [[Estetismo]]
* [[Dandismo]]
* [[Panismo]]
* [[Verismo]]
* [[Decadentismo]]
* [[Oltreuomo]]
 
== Altri progetti ==
{{Interprogetto|etichetta=''Trionfo della morte''|q=Gabriele d'Annunzio#Trionfo della morte|q_preposizione=da}}
 
== Collegamenti esterni ==
* [http://bpfe.eclap.eu/eclap/axmedis/7/702/00000-7023915a-6eae-47c9-af75-b1bbf24848b5/2/~saved-on-db-7023915a-6eae-47c9-af75-b1bbf24848b5.pdf Trionfo della morte.pdf ([[Liber Liber#Progetto Manuzio|Progetto Manuzio]])]
 
{{Gabriele D'Annunzio}}