Manzoni letterato e comunicatore

Va a gran merito di Manzoni la sua scelta consapevole di evitare il ruolo "classico" del letterato italiano, poco attento alla realtà e alla storia, tutto preso nell'estasi della propria creazione, nelle dispute con i colleghi, assolutamente legato al rispetto di regole formali.[1] Il clima culturale della sua giovinezza, le vicende personali, l'esempio di artisti "impegnati", gli insegnamenti della madre e di Carlo Imbonati sulla virtù, intesa come impegno continuo di affinamento delle capacità e delle conoscenze, i contatti con gli autori francesi, tutto lo spinse ad uscire dal '700, in cui era nato, a servirsi della propria posizione di privilegio, per aderire ad una nuova poetica. Fin dai suoi scritti giovanili prese posizione ben chiaramente: per lui la ricerca della perfezione della forma letteraria non era un fine, ma un mezzo per comunicare al meglio i contenuti che gli sembravano importanti. Dopo la conversione rinnegò le idee giovanili radicali e giacobine, soprattutto riguardo alla fede, ma nella composizione delle sue opere rimase sempre aderente ai famosi versi dell'ode ????? "In morte di Carlo Imbonati" "Sentire.... e meditar: di poco esser contento: da la meta mai non torcer gli occhi, conservar la mano pura e la mente: de le umane cose tanto sperimentar, quanto ti basti per non curarle: non ti far mai servo: non far tregua coi vili: il santo Vero mai non tradir: né proferir mai verbo, che plauda il vizio o la virtù derida.

Come autore rivendicò la libertà espressiva e ricercò con accanimento un proprio linguaggio, libero e rinnovato, arrivando a porre questione della lingua, prima di tutto nella pratica di scrittura e in seguito nel dibattito teorico,[2] Al tempo stesso fu molto attento alla efficacia della comunicazione, consapevole che non esisteva più un solo pubblico, colto e aristocratico, si propose di destare nel lettore in genere curiosità e interesse, attraverso la verità storica e la conseguente verosimiglianza, rivolgendosi ad un pubblico più ampio. "Tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge, ci deve essere, di necessità, un linguaggio comune",[3] Lo scrittore ricrea e comunica i sentimenti degli uomini, non ai soli professionisti della parola, ma anche e soprattutto ai lettori comuni, facendosi portatore di un insegnamento morale di disgusto del male. Tutto ciò non era solo teoria, magari ben studiata. Egli ne fece la propria guida sia nella composizione delle opere, sia in generale nel mestiere di letterato. Infatti partecipò attivamente alla disputa sulla lingua italiana che negli anni precedenti l'unità coinvolse scrittori e poeti in un costruttivo dibattito. Fin dalla prima composizione del suo capolavoro si era posto il problema, tanto da decidere la famosa "risciacquatura in Arno", appoggiato e incoraggiato da ..... e da ...... arrivò a trasferirsi a Firenze insieme alla famiglia. Il soggiorno là durò poco, anche per la cattiva salute della moglie Enrichetta, ma continuò poi a casa il lavorio di perfezionamento della lingua attraverso numerosi corrispondenti e anche mediante contatti diretti con parlanti toscani istitutrice.... "Cos'è che costituisce una lingua?....Forse una quantità qualunque di vocaboli? No davvero, ma bensì .... un complesso di vocaboli adeguati alle cose di cui parla la società che possiede quella lingua. .... Ahimé non è un mezzo, sono molti; ....sono molte lingue: la lingua di Torino, quella di Genova, quella

  1. ^ Stefanelli- Sebastio, Letteratura e Comunicazione, Laterza, 2004 - pag 683 e segg..
  2. ^ Alessandro Manzoni Opere, a cura di Riccardo Bacchelli, Ricciardi Editore, 1953 - Introduzione.
  3. ^ Alessandro Manzoni, Lettre à Monsieur Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la Tragédie (1820).