Intorno al 1890 i miglioramenti della tecnica e le dimensioni più ridotte dei mezzi fotografici, come la Kodak N1, favorirono il diffondersi di nuove professioni legate alla fotografia come: il fotogiornalismo, la street photography e la fotografia di scena. Sono gli anni della Belle Époque[1] e la diffusione della fotografia rappresentò una vera rivoluzione culturale che cambiò il modo di fotografare il teatro contemporaneo. Nacque il ritratto d'attore[1] che rappresentava l'artista come un'icona della società borghese di questi anni. La figura della prima attrice [2] venne posta al centro dell'attenzione come punto di riferimento di bellezza e intraprendenza. Era ritratta nel costume di scena e le fotografie venivano utilizzate come materiale promozionale per le tournée. Questo tipo di fotografia mostrò per la prima volta i dettagli del volto degli interpreti che fin ora erano stati visti solo attraverso i binocoli da teatro.

Sono gli anni in cui vengono girati anche i primi film muti. Il primo in assoluto fu Roundhay Garden Scene. Vennero realizzate solo fotografie ottenute con il processo di cronofotografia. In un'unica immagine erano registrati diversi momenti di un movimento. Nel corso dei primi anni del ‘900 il cinema stava diventando uno spettacolo sempre più popolare e quindi aveva bisogno di promuoversi al grande pubblico. Questo avvenne attraverso il mezzo fotografico. Gli scatti delle scene principali e le locandine venivano pubblicizzate all’interno del tessuto sociale. La comunicazione visiva fu un’ottima strategia soprattutto dove erano presenti problemi di analfabetismo. Perciò la necessità promozionale del teatro e del cinema fece nascere la fotografia di scena che ha affiancato questi due mondi fino ai giorni nostri.

Nella società dei primi anni del Novecento il fotografo di scena era visto come un semplice operaio che svolgeva un lavoro di routine, specialmente in ambito teatrale. Per questo un certo numero di fotografi passarono alla realtà cinematografica considerata come la novità ed il futuro tecnologico. Questa scelta comportava tempi di lavoro più serrati, perché le prove e le scene girate si svolgevano il solito giorno. Inoltre le rigide regole stilistiche ed i limiti tecnici dell’epoca costringevano i fotografi a scattare dalla solita angolazione della macchina da presa, riproducendo una copia delle più emblematiche scene del film. Le immagini erano documentariste e prive di qualsiasi creatività. A volte era proprio il regista a dare indicazioni al fotografo. Questo era un chiaro segnale di una non ancora riconosciuta professionalità.

Nel cinema non esisteva ancora la possibilità di visionare immediatamente le scene girate, come accade oggi. Nel 1947 fu di grande aiuto l'invenzione delle istantanee Polaroid, che vennero usate sempre con parsimonia, visto l’alto costo. Insieme alla fotografia di scena furono inclusi anche questi scatti per rendere immediato il controllo delle scene principali e della loro sequenzialità.

Insieme alle fotografie di scena erano previsti anche degli scatti statici. Gli attori venivano richiamati sulla scena per riprodurre le pose del film. Questo tipo di fotografie vennero chiamate “posati”[3] e sarebbero servite per manifesti e locandine. Negli anni ’50 questa tendenza diminuì, perché comparirono sui set cinematografici nuove figure di fotografi[3] provenienti dalle agenzie di cronaca. Erano abituati a cogliere l’attimo, perciò non avrebbero avuto più bisogno dei “posati”[3]. Fotografavano a ritmi incalzanti, vendendo i loro servizi ai giornali. Fornivano quotidianamente il lavoro svolto anche al regista che decideva le immagini giuste da trasformare in locandine per la promozione del film.

Intorno agli anni ’60 la fotografia di scena aumentò il proprio valore sociale grazie anche all’introduzione del fotoromanzo (con nuove tecniche di stampa) e del cineromanzo (utilizzando le foto di scena, che scorrendo in successione, raccontavano la pellicola). Questo utilizzo delle fotografie determinò un aumento significativo del loro valore. Non erano più semplici scatti documentaristici, ma vere opere di creatività supportate da nuove tecnologie. La conseguenza fu un aumento della domanda di immagini da parte del cinema e del teatro.

Ai nostri giorni la figura del fotografo di scena è centrale. E' sempre meno propenso a mettersi al servizio della creatività altrui. Non intende rinunciare alla propria libertà, anche se rimane sempre un lavoro su commissione, pagato per saper trasmettere determinate emozioni. Il fotografo instaura rapporti sociali e di complicità con gli attori, ottenendo maggiore collaborazione al momento dello scatto. Si confronta con il regista, il quale spesso lascia carta bianca nell’utilizzo del mezzo fotografico. Oggi il fotografo di scena può arrivare a ricoprire anche il ruolo di direttore della fotografia[4] essendo ormai diventato un professionista del settore.

Metodologia di scatto

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Con l'evoluzione del digitale è diventato apparentemente più semplice scattare una fotografia di scena. La differenza è che dietro il lavoro di un professionista c’è sempre la conoscenza di un'opera, lo studio di un copione, il rapporto diretto con i tecnici, i registi e gli attori.

Il fotografo di scena deve sapersi muovere con abilità sia sul set cinematografico che in teatro. Non deve interferire con il lavoro della troupe e degli attori, tanto meno disturbare il pubblico. A volte le condizioni di lavoro non sono delle migliori. Può capitare di lavorare in posizioni scomode o avere a disposizione poco spazio per effettuare i propri scatti. Comunque sia deve riuscire a cogliere i momenti più emblematici facendosi notare il meno possibile.

In teatro le inquadrature vengono stabilite durante le prove, sul set cinematografico prima di girare una scena. In questo modo il fotografo ha la possibilità di studiare le giuste angolazioni, valutando le luci e le impostazioni del proprio strumento fotografico.

Fino a diversi anni fa la maggior parte dei fotografi utilizzava fotocamere blimpate[3], cioè rivestite, per evitare che la tendina dell’otturatore, abbassandosi, procurasse il classico rumore di scatto. Oggi la tecnologia ha trovato nuove soluzioni. Esistono infatti strumenti fotografici silenziati, sia nella linea reflex che mirrorless. Essi danno la possibilità di lavorare senza produrre alcun rumore. Durante una rappresentazione teatrale il silenzio è d'obbligo, perché qualsiasi rumore verrebbe avvertito sia sul palco che in platea. Ma anche durante le riprese di un film viene chiesto espressamente il silenzio prima di girare una scena, perché i rumori fuori campo verrebbero registrati.

L'utilizzo del flash non è consentito. Se pensiamo al buio del teatro, il bagliore di un flash provocherebbe fastidio e perdita di concentrazione agli attori ed al pubblico. Ovviamente questa regola vale anche per la scena di un film. Il lampo del flash rovinerebbe sicuramente le riprese e distoglierebbe gli attori dall'interpretazione. In entrambi i casi l’utilizzo del flash modificherebbe l’atmosfera studiata a priori. Solamente la giusta regolazione della fotocamera dovrà valorizzare gli elementi di scena, senza ricorrere ad illuminazioni integrate.

Il fotografo, attraverso il suo lavoro, deve saper comunicare l'anima di quello che sta scattando. Questo è possibile anche grazie all'utilizzo degli obiettivi giusti. Le ottiche con maggiore apertura di campo, come i grandangolari , consentiranno di comprendere più elementi nell'inquadratura, facendo rimanere lo spettatore più esterno alla scena. Al contrario, scegliendo un'ottica con minor ampiezza di campo, come i teleobiettivi, ci saranno meno elementi nell'inquadratura, ma sarà possibile andare più in profondità, trasmettendo un maggior coinvolgimento nella scena.

Un buon risultato finale è garantito dal rispetto di queste regole, ma non solo. Contribuiscono anche il tipo di inquadratura, la composizione, la profondità di campo e non per ultimo l’occhio attento del fotografo[5] capace di cogliere l'attimo. In questi casi la conoscenza della teoria è necessaria, ma sarà la pratica sul campo che costruirà la professionalità del fotografo di scena.

I posati
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La presenza del fotografo di scena è necessaria per scattare le fotografie che serviranno alla promozione della pellicola o della rappresentazione teatrale. Spesso però le immagini catturate sulla scena o durante il backstage non sono sufficienti a pubblicizzare il lavoro svolto. Altre volte è proprio la produzione a prevedere la presenza di ulteriori immagini statiche, cioè "i posati"[3]. In entrambi i casi è necessario richiamare gli artisti sulla scena. Sarà il fotografo a guidare gli attori nelle pose da tenere. Il direttore della fotografia imposterà le luci di scena per rimanere fedeli al tema.

Questo è il momento in cui il fotografo di scena è il protagonista indiscusso ed ha l'ultima parola sul servizio fotografico. Il vero professionista comunque coinvolgerà quanta più gente possibile: la produzione, il regista, l'ufficio marketing, perché il lavoro conclusivo dovrà essere la somma di tanti punti vista.

La fiducia ottenuta durante le tante ore di lavoro in scena, garantirà la piena disponibilità dell'attore nei confronti del fotografo. È importante che si crei una sintonia tra chi riprende e chi viene ripreso. Le due parti si impegneranno a trasmettere un'emozione in cui si dovranno riconoscere. In caso contrario, la mancanza di complicità potrà portare ad un risultato finale soddisfacente ma privo di coinvolgimento.

In ogni caso scattare "i posati"[3] consentirà di lavorare in un clima più rilassato. Gli attori non avranno battute da ricordare o tempi tecnici da rispettare. Le due parti, seppur seguendo le indicazioni della produzione, riusciranno anche ad improvvisare, lasciando uscire parte della loro personalità.

Il backstage
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La fotografia di backstage ha raggiunto l’apice negli anni ’60 e ’70, restando fino ai giorni nostri un tipo di scatto apprezzato e oggetto anche di mostre. Siamo circondati da migliaia di immagini stereotipate, perciò quando vediamo degli scatti spontanei, rimaniamo piacevolmente sorpresi ed interessati. Le foto di backstage vengono effettuate al di fuori delle riprese di un film o durante le prove in teatro. Sono gli scatti che catturano l'atmosfera di lavoro, le indicazione del regista, il momento del trucco, le risate tra gli attori.

Il backstage è la testimonianza di quello che non si dovrebbe vedere[6]. Un buon risultato è garantito anche grazie al tipo di relazione che si instaura tra il fotografo e gli addetti ai lavori. Il fotografo deve guadagnarsi la fiducia degli attori mostrando quotidianamente il lavoro svolto. Questo garantisce che al momento dello scatto fuori copione, possa instaurarsi un'ottima complicità tra chi riprende e chi viene ripreso[7]. L'attore deve sentirsi a suo agio, deve stare al gioco, magari improvvisando mimiche o gesticolazioni da regalare al fotografo. Anche tra una scena e l'altra o durante un cambio di costumi il fotografo deve essere attento a cogliere attimi preziosi. Può nascere un velo di malinconia sul volto dell'attrice[8] o un momento di nervosismo per un fatto accaduto. Il fotografo deve essere attento a documentare questi attimi come un segreto da rivelare attraverso il mezzo fotografico.

Fotografare il backstage non vuol dire solamente riprendere gli interpreti a luci spente. Esistono anche molti scatti che descrivono il faticoso lavoro dei tecnici, il lungo lavoro dei truccatori, l'attento lavoro della sartoria per creare i costumi di scena. In ogni caso il lavoro del fotografo è di documentare quei momenti irripetibili che entreranno a far parte della storia del cinema e del teatro.

Il fotografo può immortalare questi attimi mantenendo l'atmosfera del film o dando un taglio personale. Proporre una linea personale alle scene di backstage è un privilegio affidato ai fotografi più esperti. Alcuni registi prima di iniziare a lavorare vogliono essere affiancati da professionisti che garantiscono una certa linea da anni e che sanno dare la loro impronta anche nelle scene di backstage.

Oggi la fotografia di backstage è parte integrante della fotografia di scena. Le immagini selezionate per pubblicizzare una pellicola o un'opera teatrale vengono integrate con il racconto dei preparativi. Vengono pubblicati interi cataloghi sulla foto di backstage, tanto che sembra essere diventata una vera moda quella di mostrare il "work in progress" di un lavoro artistico.

La tecnica

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Il fotografo di scena deve unire la passione ed il talento alla tecnica fotografica. Alla base di tutto c'è l'utilizzo del diaframma, dei tempi di scatto e delle iso. La regolazione di questi elementi dipende dalla sensibilità e dall'esperienza del fotografo, ma anche dai vincoli contrattuali che determinano la linea da tenere.

Intervenire sul diaframma, vuol dire regolare la luce in entrata. Il fotografo può trovarsi in teatro in condizioni di scarsa illuminazione o su un set cinematografico con luci adatte alla scena ma difficili da gestire con il mezzo fotografico. Durante le prove è buona regola usare l'esposimetro esterno per misurare l'illuminazione della scena, specialmente quando non è omogenea. La rilevazione viene fatta per ogni cambio di luce, con particolare attenzione per le scene più importanti. In questo modo il fotografo decide con calma la giusta esposizione[9] di ogni momento. Sarà necessario saper intervenire anche sui tempi di scatto in uno stretto rapporto di reciprocità con il diaframma.

La regolazione dei tempi di scatto permette di congelare un movimento o creare l'effetto mosso. Un'esposizione[9] più lunga permette di far entrare la quantità di luce desiderata dal diaframma per poi essere regolata dalla tendina dell'otturatore attraverso valori più lenti. Questa tecnica simulerà il movimento presente nella scena rendendo la foto più dinamica. I tempi di scatto lunghi consentono anche di creare un effetto scenico particolare, congelando i soggetti immobili e rendendo mossi quelli in movimento. Altrettanto importante è l'utilizzo dei tempi più corti. La luce che passa dal diaframma, viene regolata dall'otturatore attraverso una scala di valori più veloci. In questo modo il fotografo riesce a congelare mimiche facciali e gesti che ritiene interessanti per la descrizione di un'opera. Il rapporto di reciprocità fra questi due elementi consiste nel saper calibrare l'apertura del diaframma e la durata dei tempi di scatto in un legame inversamente proporzionale. Questo è importante per non scattare fotografie sottoesposte o sovraesposte. Ovviamente quanto detto è da considerare se la fotocamera viene utilizzata in modalità manuale. Se ci sono cambi di luce veloci invece è consigliabile impostare lo strumento fotografico in "priorità di diaframma". L'apertura del diaframma sarà decisa dal fotografo, invece i tempi di scatto saranno calcolati automaticamente dalla macchina.

Se la scena da fotografare è poco illuminata, oltre a calibrare il diaframma, ed i tempi di scatto, è necessario valutare se intervenire anche sugli iso. Quest'ultimo strumento riesce ad aumentare la luminosità del sensore, ottenendo fotografie più chiare. Utilizzando valori troppo alti presenta un fastidioso effetto collaterale. Nelle parti più scure del fotogramma si creano perdite di nitidezza attraverso la presenza di puntini chiamati "rumore". Questo problema è risolvibile intervenendo in postproduzione o evitando valori troppo alti. Per evitare il "rumore" e garantire un'immagine abbastanza chiara è possibile iniziare ad impostare la macchina a 800 ISO, per poi salire a 1600 0 3200 in caso di necessità. Comunque le fotocamere di ultima generazione creano poco "rumore" anche ad iso elevati.

Per evitare perdite di nitidezza, utilizzando iso troppo alti, è sempre meglio lavorare con obiettivi luminosi. Più l'obiettivo è luminoso e più il diaframma potrà raggiungere aperture maggiori. Il fotografo di scena per affrontare al meglio qualsiasi situazione dovrebbe lavorare con ottiche che non hanno luminosità inferiore a f2.8. Perciò anche la scelta del giusto obiettivo è importante. Tra i più versatili teleobiettivi c'è il 70-200mm f/2.8, uno zoom luminoso, stabilizzato, che permette una buona escursione focale nel caso il fotografo non abbia molta libertà di movimento. In caso contrario è sempre bene diversificare le inquadrature per evitare un servizio fotografico monotono, anche utilizzando ottiche fisse come il 35mm f/1.8 o più spinte come l'85mm f/1.8. In caso di teatri più piccoli o situazioni più raccolte può essere sufficiente utilizzare anche l'obiettivo 24-70mm f/2.8.

Con gli strumenti descritti è possibile diversificare le inquadrature a seconda delle necessità, utilizzando anche la tecnica della profondità di campo. Se la scena prevende un gesto o la mimica facciale di un attore allora è quasi sempre necessario valorizzarla. Il diaframma verrà aperto e controbilanciato dai tempi di scatto per ottenere la giusta esposizione. In questo modo il particolare della scena verrà isolato dallo sfondo e quest'ultimo risulterà sfocato, mettendo in risalto l'elemento in primo piano. Il risultato sarà una ridotta profondità di campo che potrà ridursi ancora all'avvicinarsi del fotografo verso il soggetto. Di fronte ad una scena con più attori invece è necessario aumentare la profondità di campo. Il diaframma sarà più chiuso e la distanza del fotografo dagli interpreti sarà maggiore. In questo modo gli attori risulteranno tutti a fuoco.

Il genere di spettacolo e le linee contrattuali possono anche influenzare la scelta di fotografare a colori o in bianco e nero. Sarebbe un peccato perdere la cromaticità di una scenografia. Al contrario l'utilizzo del colore potrebbe distrarci dalla mimica di un attore durante un monologo. Saper utilizzare queste regole vuol dire anche avere una buona sensibilità con cui veicolare le emozione che un'opera o una pellicola vogliono trasmettere. Il lavoro del fotografo di scena non è semplice, ma la fatica è comunque ricompensata dal piacere di vedere le proprie fotografie apprezzate dagli addetti ai lavori e dal pubblico.

La postproduzione

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Il risultato finale del lavoro di un fotografo di scena è la somma di tanti punti di vista. La fase di postproduzione viene spesso sottovalutata dai non addetti ai lavori. Fare le giuste valutazioni attraverso l'utilizzo di un software di fotoritocco richiede del tempo. Prevede uno scambio di opinioni con il grafico, l'ufficio marketing, il regista, la produzione. Trovato l'accordo, il risultato di tanto lavoro sarà sotto gli occhi di tutti attraverso le locandine, le fotografie di scena, le fotografie di backstage e le varie pubblicazioni.

Fin dalla nascita della fotografia di scena, il fotoritocco è stato un passaggio importante. La fase di postproduzione prevedeva un intervento manuale in camera oscura durante la fase di sviluppo della pellicola di celluloide (rimasta in commercio fino al 2010). L'elaborazione degli scatti prevedeva l'utilizzo di agenti chimici che potessero, in caso di necessità, alterare l'esposizione, la luminosità o i contrasti delle fotografie di scena. La differenza con il fotoritocco dell'era digitale, definito camera chiara, sta nella fatica e nell'esperienza.

Oggi un giovane con abilità informatiche può riuscire comunque a sistemare uno scatto in maniera più che sufficiente. Il limite rimane per i fotografi nativi non digitali che hanno dovuto rivedere il proprio modo di lavorare. Con il fotoritocco digitale siamo al confine tra la fotografia e l'informatica. Spesso sono i ragazzi appassionati di computer ad insegnare alcuni aspetti tecnici a chi ha solamente competenze fotografiche. Negli ultimi anni la tecnologia ha fatto molti passi avanti, risolvendo problematiche anche in ambito fotografico. Viene insegnato che lo scatto deve essere ottimale già in fase di ripresa, ma alcune volte la difficile illuminazione o il movimento repentino di un attore non restituisce la fotografia desiderata. In questi casi vengono in aiuto i numerosi software di fotoritocco che nella maggior parte dei casi riescono a migliorare lo scatto, salvando il fotografo da una figuraccia.

Il fotoritocco deve sfruttare al massimo il potenziale di uno scatto, senza però far nascere la tentazione di modificare un'immagine oltre il limite accordato. Questo dipende anche da come è stata scattata una fotografia. Se il lavoro del fotografo prevede continue consegne di immagini, saranno scelti formati più leggeri adatti al trasferimento e con una risoluzione inferiore, come il jpeg. Questa scelta condizionerà anche l'intervento del fotoritocco che dovrà essere meno invasivo per non rischiare di rovinare l'immagine. In caso contrario potrà essere adottato un fotoritocco anche più elaborato, utilizzando formati con risoluzioni maggiori, come il raw.

Critica

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"Fotografo di scena" è un’espressione che probabilmente non rende del tutto merito a colui, che con tanta passione e pazienza, scatta le fotografie durante lo svolgimento di una scena cinematografica o teatrale. Questa espressione fa pensare ad un elemento di un archivio, rispolverato al momento di andare in scena o al battere di un ciak. Nell'immaginario comune il fotografo di scena è considerato una figura indipendente che cerca di districarsi tra i cavi elettrici e le macchine da presa. In realtà è un lavoro di squadra. Spesso nascono società di fotografi con profili differenti che insieme riescono ad abbracciare molti aspetti della fotografia di scena. In questi casi il risultato di ogni lavoro ha una qualità tecnica ed artistica maggiore. Per questo è stata proposta la definizione di “fotografo sulla scena”[6]. E' un modo per sottolineare l’abilità giornalistica, illustrativa e collaborativa di questa professione che è cambiata nel corso degli anni.

  1. ^ a b Marianna Zannoni, Il teatro in fotografia. L'immagine della prima attrice italiana fra Otto e Novecento, Verona, Titivillus, 2018, ISBN 8872184363.
  2. ^ Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  3. ^ a b c d e f Antonio Maraldi, Fotografi di scena del cinema italiano. Mario Tursi, Roma, Il ponte vecchio, 2005, ISBN 8883125088.
  4. ^ D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.
  5. ^ Claudio Capanna, Lampi. La fotografia vista dall'occhio dei grandi del cinema, Roma, Associazione Culturale Il Foglio, 2014, ISBN 9788876065309.
  6. ^ a b Alberto Barbera, Paolo Meneghetti e Stefano Boni, Magnum sul set. Il cinema visto dai grandi fotografi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011, ISBN 9788836620012.
  7. ^ Paolo Mereghetti, Alessandra Mauro, Franca De Bartolomeis e Alessia Tagliaventi, Movie: Box. Il grande cinema e la fotografia, Roma, Isabella Dothel, 2012, ISBN 9788869656064.
  8. ^ Lindsay Adler, La guida definitiva alla posa fotografica. Tecniche e trucchi per valorizzare ogni soggetto, Milano, Apogeo, 2018, ISBN 8850334362.
  9. ^ a b Bryan Peterson, Comprendere l'esposizione. Catturare immagini spettacolari con ogni fotocamera, Milano, Apogeo, 2017, ISBN 978-88-503-3413-1.

Bibliografia

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  • Alberto Barbera, Paolo Meneghetti e Stefano Boni, Magnum sul set. Il cinema visto dai grandi fotografi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011, ISBN 9788836620012.
  • Paolo Mereghetti, Alessandra Mauro, Franca De Bartolomeis e Alessia Tagliaventi, Movie: Box. Il grande cinema e la fotografia, Roma, Isabella Dothel, 2012, ISBN 9788869656064.
  • D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.
  • S. Palombi e M. Mori Rossi, Dal click al ciak. Introduzione alla fotografia cinematografica, Roma, Edup, 2009, ISBN 9788884212214.
  • Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  • Claudio Capanna, Lampi. La fotografia vista dall'occhio dei grandi del cinema, Roma, Associazione Culturale Il Foglio, 2014, ISBN 9788876065309.
  • Marianna Zannoni, Il teatro in fotografia. L'immagine della prima attrice italiana fra Otto e Novecento, Verona, Titivillus, 2018, ISBN 8872184363.
  • Antonio Maraldi, Fotografi di scena del cinema italiano. Mario Tursi, Roma, Il ponte vecchio, 2005, ISBN 8883125088.
  • Bryan Peterson, Comprendere l'esposizione. Catturare immagini spettacolari con ogni fotocamera, Milano, Apogeo, 2017, ISBN 978-88-503-3413-1.
  • Lindsay Adler, La guida definitiva alla posa fotografica. Tecniche e trucchi per valorizzare ogni soggetto, Milano, Apogeo, 2018, ISBN 8850334362.