Utente:DerfelDiCadarn87/Caccia alla balena in Giappone

La caccia alla balena in Giappone (日本の捕鯨?, Nihon no hogei) è una pratica diffusa sin dal XII secolo, secondo quanto riportato dalla Japan Whaling Association. L'attività su scala industriale, tuttavia, cominciò a partire dagli anni novanta dell'Ottocento, quando il Giappone entrò a far parte della moderna industria della caccia alla balena, a quel tempo fiorente attività che vedeva interessati numerosi paesi.

Durante il XX secolo il Giappone era pienamente coinvolto nella caccia alle balene a fini commerciali, fino a quando la Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC) non impose un veto ad ogni attività lucrosa a partire dal 1986. Il Giappone ha continuato comunque a cacciare balene a fini scientifici secondo le disposizioni previste dall'accordo, e qualsiasi attività è ora condotta dall'Istituto per la ricerca sui cetacei. L'istituto agisce sotto la direzione della IWC, benché la maggior parte dei membri della IWC sia contro. La carne ricavata dalla caccia alle balene per scopi di ricerca è venduta in negozi e ristoranti.

Le attività baleniere giapponesi, storicamente, si sono svolte anche al di fuori delle acque territoriali del Paese asiatico. Nel marzo 2014 la Corte internazionale di giustizia (ICJ) mise fine al programma di ricerca chiamato JARPA II, iniziato nel 2005 nelle acque dell'Oceano antartico, poiché condotto a fini non scientifici. In seguito a questo episodio il Giappone manifestò l'intenzione di presentare un programma rivisitato nel novembre 2014.

La legittimità della caccia alla balene è oggetto di dibattito tra fazioni e paesi pro e contro suddetta pratica. Vi sono nazioni, scienziati e organizzazioni ambientaliste fortemente contrarie al programma di ricerca giapponese, considerato inutile oltre che una subdola e mascherata operazione commerciale. Il Giappone sostiene che la caccia alle balene a cadenza annuale è sostenibile e necessaria per gli studi scientifici e la gestione del numero delle balene. Il Giappone sostiene inoltre che le obiezioni sollevate sull'attività in questione siano dovute alle differenze culturali e all'antropomorfismo diffuso di questi animali.

Storia modifica

Prove archeologiche in forma di resti di balena rinvenute tra i tumuli suggeriscono che la carne di questi mammiferi sia consumata in Giappone sin dal periodo Jōmon (12.000 a.C.). Senza i mezzi necessari per dedicarsi alla caccia attiva, tuttavia, è possibile che il consumo al tempo fosse limitato agli esemplari trovati spiaggiati[1]. Racconti e folclore della cultura ainu rivelano una lunga tradizione nella pratica della caccia alla balena in Giappone[1], oltre a un significato spirituale intrinseco associato a questi animali[2]. I primi documenti storici che parlano di caccia alle balene risalgono al XII secolo, quando i grandi cetacei venivano catturati grazie all'ausilio di arpioni a mano[3].

Caccia organizzata modifica

La caccia grossa in mare aperto prese piede a partire dagli anni settanta del Cinquecento, e continuò fino ai primi anni del XX secolo[4]. Varie tecniche di caccia si svilupparono intorno al XVII secolo in quel di Taiji, Wakayama. Nel 1606 il magnate Wada Yorimoto (和田 頼元?) istituì per la prima volta dei gruppi preposti alla caccia organizzata (鯨組?, kujira-gumi), implementando un servizio di vedetta lungo la costa e l'invio di flotte di navi veloci in direzione degli animali avvistati. Suo nipote, Wada Kakuemon (和田 角右衛門? in seguito noto come Taiji Kakuemon) introdusse il metodo noto come amitori-shiki (網取り式?), il quale consisteva nell'attirare le balene in acque poco profonde per poi catturarle grazie all'ausilio di reti, la cui popolarità contribuì alla rapida espansione della caccia alle balene anche nel resto del Giappone[3][5][6][7]. Tra le specie più cacciate vi erano balene franche, grigie, megattere e balenottere comuni[6].

 
Caccia alla balena presso la costa di Taiji, Wakayama, raffigurata su un maki-e del periodo Edo

Una volta a terra le balene venivano rapidamente scuoiate e divise in tranci destinati a differenti depositi per ulteriori lavorazioni. Benché l'obiettivo primario fosse la carne, l'intera carcassa veniva utilizzata per la produzione di olio per lampade, sapone, fertilizzanti, ventagli pieghevoli (dai fanoni) e altro. Questo metodo di caccia richiedeva un investimento finanziario significativo da parte dei privati più facoltosi per compensare la considerevole forza lavoro. La caccia alle balene, tuttavia, rimase a lungo legata ai rituali religiosi e per questo, a differenza delle loro controparti europee contemporanee, i primi balenieri giapponesi consideravano le balene una risorsa preziosa e cercavano di non intaccare più di tanto l'ecosistema locale[8].

Ciò nonostante il numero delle balene diminuì sensibilmente[9], tant'è che il contingente di cattura si ridusse drasticamente in un lasso di tempo relativamente breve[10]. In patria i giapponesi tentarono per centinaia di anni di spostare la responsabilità del calo del numero delle balene su altri paesi, sostenendo inoltre che la loro attività differisse completamente dalla caccia praticata dalle altre nazioni[11]. Nello specifico essi sostenevano che, a differenza delle maniere brutali utilizzate dagli stranieri, il loro metodo di caccia risultava essere più umile e sommesso, facendo notare inoltre come fossero soliti sfruttare tutte le parti dei corpi delle balene, piuttosto che cacciarle solo per ricavarne olio, pratica quest'ultima molto comune tra i balenieri stranieri. Infine affermavano di controllare strettamente i contingenti di cattura in modo da salvaguardare le varie specie, cercando inoltre di evitare di cacciare coppie di esemplari madre-figlio come segno di rispetto verso le balene. Dopo l'uccisione di una balena, era usanza tra i balenieri giapponesi pregare e raccomandarne l'anima a Buddha[11], tenere dei funerali e costruire cenotafi o tombe in suo onore. Pensiero comune era che il legame con questi animali fosse più forte rispetto a quello di qualsiasi altra nazione, sentimento strettamente legato al concetti di elitismo e nazionalismo[12].

Nonostante i buddhisti fossero contrari alla pratica della caccia alla balena e che questa fosse già conosciuta al tempo per essere un animale molto attento alla cura dei cuccioli, essa non fu inserita nella lista delle specie protette dallo Shorui awaremi no rei (生類憐みの令? editto per la salvaguardia di alcune specie di animali emanato da Tokugawa Tsunayoshi intorno alla fine del 1600), cosicché il numero di animali abbattuti non subì mutamenti. Come contromisura, buddhisti o altre figure di spicco dell'epoca iniziarono a far circolare voci su possibili maledizioni legate alla caccia alla balena, che finirono per entrare a far parte del folclore comune[13].

Gli effetti della caccia sul numero delle balene risultarono essere comunque decisamente più visibili rispetto a quelli delle altre nazioni, in particolare delle baleniere statunitensi[14], comportando non solo problemi finanziari ai grandi gruppi industriali ma anche diatribe tra i domini feudali del Giappone occidentale che richiesero l'intervento dello stesso shogunato per essere risolte[15]. L'incidente in cui più di cento balenieri di Taiji persero la vita durante un'escursione nel dicembre 1878 mise fine di fatto alla caccia tradizionale delle balene in Giappone[16].

Modernizzazione modifica

 
Jūrō Oka, considerato il "padre giapponese della moderna caccia alla balena"

Tecniche di caccia più moderne furono introdotte in Giappone durante il periodo Meiji, grazie soprattutto agli sforzi dell'imprenditore Jūrō Oka, considerato il "padre giapponese della moderna caccia alla balena". Dopo aver raccolto informazioni in giro per il mondo, egli implementò l'uso di ramponi nelle navi, ponendo le sue conoscenze al sevizio dell'innovazione del settore. Nel 1899 istituì la prima compagnia giapponese moderna sulla caccia alle balene, la Nihon En'yō Gyōgyō, la quale catturò la sua prima balena il 4 febbraio 1900 grazie al baleniere norvegese Morten Pedersen.

Nei primi anni del XX secolo Oka dominò il mercato della carne di balena affittando o acquistando le veloci navi norvegesi, potendo contare sulla competenza e sull'esperienza del loro equipaggio. Ulteriore impulso venne dato dalla cattura di una flotta russa e dalla successiva riorganizzazione della Nihon En'yō Gyōgyō in una compagnia più grande, la Toyo Gyōgyō. Come l'industria nipponica della caccia alla balena allargò il suo raggio d'azione nelle acque coreane, espandendo le sue attività alla costruzione di navi e la produzione di olio, la compagnia di Oka (ribattezzata Toyo Hogei) restituì profitti significativi ai suoi investitori portando a un aumento della concorrenza nel territorio giapponese. Oka successivamente divenne il primo presidente dell'Associazione giapponese della pesca e della caccia alla balena, istitutita nel 1908.

Note modifica

  1. ^ a b (EN) Takashi Matsuishi, Whale Strandings in Hokkaido, in ISANA, n. 34, Japan Whaling Association, dicembre 2007, p. 1. URL consultato il 30 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
  2. ^ Etter, 1949, pp. 164-171.
  3. ^ a b (EN) History of Whaling, su whaling.jp, Japan Whaling Association. URL consultato il 30 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 3 aprile 2015).
  4. ^ Kasuya, 2009, pp. 643-649.
  5. ^ (EN) Japanese Traditional Whaling (SWF), su Whalingmuseum.org, New Bedford Whaling Museum. URL consultato il 30 settembre 2015.
  6. ^ a b (EN) Human Relationships with Whales, su icrwhale.org, Istituto giapponese per la ricerca sui cetacei. URL consultato il 30 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 22 novembre 2002).
  7. ^ Ihara e Sargent, 1959, p. 175.
  8. ^ Ellis, 1999, pp. 83-88.
  9. ^ (EN) Phillip J. Chapman et al., Distribution of North Pacific right whales (Eubalaena japonica) as shown by 19th and 20th century whaling catch and sighting records (PDF), in J. Cetacean Res. Manage, vol. 6, n. 1, 1º gennaio 2004, 1-6. URL consultato il 1º ottobre 2015.
  10. ^ (JA) Hajime Ishikawa e Toshiteru Watanabe, A catalogue of whales and dolphins recorded in Yamaguchi Prefecture, Japan (PDF), in Shimonoseki kujirarui kenkyūshitsu hōkoku, n. 2, 2014. URL consultato il 1º ottobre 2015.
  11. ^ a b (JA) Tomoya Akimichi, 環太平洋地域の鯨文化, in Nature Interface, n. 2, 31 marzo 2001, 43-44, ISBN 4901581015. URL consultato il 1º ottobre 2015.
  12. ^ (JA) 紀州地方の捕鯨絵巻との比較から (PDF), in Seinan Gakuin Daigaku kokusai bunka ronshū, n. 2, marzo 2012, 117-155. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2013).
  13. ^ Miyawaki e Hosokawa, 2008.
  14. ^ (JA) Tomoki Matsuda, Kinsei Nihon ni okeru hogei ryōba no chiiki-teki shūchū no keisei katei - Saikai hogei-gyō chiiki no tokushu-sei no bunseki, in Okayama daigaku keizai gakkai zasshi, vol. 40, n. 4, 2009.
  15. ^ (JA) 捕鯨の先駆者 大村に豊かな生活をもたらし、大村地方の産業経済史上に さんぜんと輝いている, su Trakomnavi.com. URL consultato il 1º ottobre 2015.
  16. ^ (EN) Teruaki Ueno, Japan whaling town battles for survival, in Reuters, 13 giugno 2008. URL consultato il 3 maggio 2018.

Bibliografia modifica

  • (EN) Richard Ellis, Men and Whales, The Lyons Press, 1999, ISBN 978-1-55821-696-9.
  • (EN) Carl Etter, Ainu Folklore: Traditions and Culture of the Vanishing Aborigines of Japan, Kessinger Publishing, 1949, ISBN 978-1-4179-7697-3.
  • (EN) Saikaku Ihara e G. W. Sargent, The Japanese Family Storehouse; Or the Millionaires Gospel Modernised, Cambridge University Press, 1959, ISBN non esistente.
  • (EN) Arne Kalland e Brian Moeran, Japanese Whaling?: End of an Era, Taylor & Francis, 2010, ISBN 978-0-203-84397-0.
  • (EN) Toshio Kasuya, Japanese Whaling, in William F. Perrin, Bernd Wursig, J.G.M. "Hans" Thewissen (a cura di), Encyclopedia of Marine Mammals, 2ª ed., Academic Press, 2009, ISBN 978-0-08-091993-5.
  • (JA) Kazuto Miyawaki e Takao Hosokawa, Kujirazuka kara miete kuru nihonjin no kokoro ― Bungosuidō kaiiki no kujira no kioku o tadotte, Nōrintōkeishuppan, 2008, ISBN 978-4897321578.

Collegamenti esterni modifica