Utente:EmilioSir/Sandbox

ACHILLE CAPIZZANO (Rende /Cs, 11 Maggio 1907 – Roma, 28 Luglio 1951) è stato un pittore e decoratore italiano.

Roma è disseminata di opere pubbliche di Capizzano, schivo artista di origine calabrese approdato nella Capitale agli albori del Ventennio. E lui, mite rappresentante di una Calabria emigrante e subalterna è diventato, suo malgrado, alfiere di un’arte celebrativa e solenne, fiancheggiatrice dell’azione di propaganda del regime, espressione di quegli ideali di “ritorno all’ordine” sostenuti dalla cultura novecentista. Sue sono, infatti, le decorazioni della Casa G.I.L di Trastevere a Roma eseguite nel 1933, della Casa del Fascio a Monte Sacro, nel Padiglione dell'Opera Balilla (1935), della Piazza Imperiale dell'EUR, del Ministero degli Esteri (1938). Ma il suo segno più importante Capizzano lo ha lasciato al Foro Italico (ex Foro Mussolini) al quale ha lavorato fra il 1934 ed 1943, eseguendo cinque grandi mosaici pavimentali e diventandone l’ultimo direttore dei lavori. Era nato a Rende nel 1907, dove era stato avviato alla pittura dallo zio Giovanni Greco, decoratore di chiese e abile copista. Trasferitosi a Roma nel 1923 aveva studiato prima al Liceo Artistico e poi all’Accademia di Belle Arti, dove aveva avuto come maestri Paolo Paschetto e Ferruccio Ferrazzi. E’ proprio col piemontese Paschetto che apprende la tecnica dell’affresco collaborando con lui nell’esecuzione dei fregi nell’anticamera e nello studio del Ministero della Pubblica Istruzione. Ma l’incontro della sua vita è quello con l’architetto Luigi Moretti, apprezzato progettista del regime, esponete del razionalismo e del post-razionalismo, con il quale fonda nel 1931 a Roma il “Centro d'Arte” a Santa Prisca, spazio operativo aperto a diverse attività artistiche, dall’arredamento alla grafica, fino alla progettazione di esposizioni. Moretti, nominato direttore dell'Ufficio edilizio dell'Opera Balilla, lo chiama a decorare ripetutamente nel 1933 e nel 1937 la Casa G.I.L. di Piacenza e lo introduce nell’ambiente degli architetti e della committenza privata oltre che pubblica. Sono questi gli anni in cui Capizzano sente forte l’influsso della pittura preraffaellita di fine Ottocento, che gli ispira un elegante disegno di derivazione classicista. Il segno sinuoso, la sensualità delle forme trovano punti di incontro anche con il gusto Liberty, che propugna un’arte applicata alle strutture ed agli oggetti d’uso quotidiano. L’incontro con l’architettura influenza tutta la pittura di Capizzano, che è attratto dai grandi spazi, dall’impianto monumentale, dalle prospettive allungate, così come le ritrae anche la pittura metafisica. Una vicinanza ideale sembra stabilirsi con gli artisti di “Valori Plastici”, la rivista e il movimento di Carrà, De Chirico, Savinio e Broglio, che ribadisce il proprio attaccamento alla tradizione rinascimentale e l’impostazione volumetrica della pittura (1918-22). Capizzano in qualche modo riecheggia la pittura vascolare greca e il primitivismo “mediterraneo” incline all’arcaismo di una figurazione compatta e dai forti accenti plastici, delineando i termini di una pittura eroica, severa e maestosa. Gli anni Trenta sono gli anni del Manifesto della Pittura Murale (1933) in cui Sironi si lancia nella sfida per una nuova arte a destinazione pubblica e delle grandi decorazioni plastiche e pittoriche. Anche le opere pubbliche pavimentali risentono di questa concezione monumentale della “nuova” città, che deve rispecchiare gli ideali di “romanità” come si confà ad un nascente impero. Al Foro Italico questo intento trova la sua migliore applicazione nei grandi mosaici, che adornano il grande viale e la Fontana della Sfera. Capizzano realizza cinque dei grandi mosaici, quattro lungo il viale dell’Impero e uno attorno alla Fontana. Assieme a lui vengono chiamati altri importanti artisti del tempo come Gino Severini, Angelo Canevari e Giulio Rosso. Progettato da Moretti e messo in opera nel 1937, come collegamento tra la Fontana della Sfera e l’Obelisco, il viale è percorso per tutta la lunghezza da due fasce di mosaici a tessere bianche e nere. A Capizzano tocca raffigurare le fasi dell’Impero riprendendo la tradizione dei mosaicisti romani e servendosi del marmo bianco di Carrara e nero avorio con la parte grezza delle tessere a vista, alla maniera dei mosaici pavimentali romani. Il viale è inaugurato il 9 maggio 1937 con mosaici di 6 metri x 9, messi in opera da duecento mosaicisti di Spilimbergo. Ma per essere completato passano sei anni. A partire dal 1942 e fino al 1943 sono portati a compimento da Capizzano i riquadri musivi del pavimento, che hanno come temi la Nascita di Roma, l’Impero, la Battaglia e il Mediterraneo. Essi riprendono figure classiche, immagini mitologiche e simboliche, che mirano a stabilire una certa continuità storica con l’antica Roma. Il leone che tiene fra le zampe il globo terrestre o che azzanna il toro, Romolo e Remo, la personificazione del Tevere, la quadriga a forma di conchiglia guidata da Nettuno e tirata da cavalli-cavallucci marini, ancelle sedute, guerrieri a cavallo in battaglia, figure allegoriche varie alludono ad antichi miti e alla nuova “grandeur” ambita dal Mussolini, che si esprime nei giovani atleti, nel domatore di cavalli, nella stessa planimetria del Foro inglobata nelle immagini dei mosaici. Nell’anello attorno alla Fontana della Sfera Capizzano realizza, invece, una composizione allegorica in cui domina un’aquila con tre figure di antichi eroi greci, mentre un leone ghermisce un serpente. Al tema dell’Impero si sarebbe dovuto ispirare anche il mosaico murale destinato al Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi all’Esposizione Universale del 1942 (EUR), messo a concorso pubblico e vinto proprio da Capizzano assieme a Gentilini. Guerrini e Quaroni (1939). Il gruppo supera una prima selezione di 153 bozzetti e viene ammesso ad un giudizio di secondo grado al quale vengono invitati solo dieci artisti. Fra questi ci sono Funi, Pirandello, Campigli, Casorati, De Chirico. Alcuni come De Chirico e Funi rinunciano, altri come Campigli preferiscono un altro incarico. Il gruppo di Capizzano ha la meglio e l’artista calabrese si appresta ad eseguire il proprio murale, quando l’entrata in guerra dell’Italia e la successiva caduta del fascismo ne interrompono i lavori. Dell’enorme mosaico che avrebbe dovuto avere le dimensioni di circa 20 metri per 4 esistono solo due bozzetti (uno esposto nella Sala Vip del Palazzo dei Congressi a Roma, l’altro al Museo d’arte dell’Otto e Novecento di Rende) e i 51 cartoni dello spolvero (il disegno a grandezza naturale da riportare sul muro) conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma. Scrive di questa proposta Adalberto Libera su “Civiltà” del 1941: “Non sono ricorsi alla retorica, ma ai fatti, hanno creato un’atmosfera. Quaroni, Gentilini, Capizzano e Guerrini hanno voluto parlare al popolo, per sommi capi e per aneddoti; esprimendo i fatti della storia d’Italia, dai primordi di Roma alla Roma di Mussolini, attraverso i suoi re, imperatori, papi, santi, guerrieri, artisti e giuristi”. Ne “L’Impero” Capizzano colloca al centro l’imperatore Augusto con la dea Roma mentre ricevono il palladio (la statua di Minerva pegno di salvezza), sovrastati dall’aquila di Giove, con ai lati del gruppo scene di storia romana: la resa di Vercingetorige, la disfatta di Annibale, la battaglia di Anzio, Virgilio che legge l’Eneide ad Augusto, i ludi, le opere pubbliche, gli imperatori e i poeti. Nella parte bassa è collocata Roma imperiale cinta di mura come una Gerusalemme celeste, attorniata da soldati romani. La sintesi formale e l’assolutezza cromatica del bianconero, che domina nei mosaici realizzati da Capizzano al Foro Italico si evolve agli inizi degli anni Quaranta, in una pittura, che evoca i toni e le atmosfere di Giotto e di Piero della Francesca, nei colori terrosi e caldi, ma anche nella composizione ad episodi articolati, dove tutto accade simultaneamente. Qui Capizzano si avvicina alla pittura di Achille Funi e di Afro, con i quali avrebbe dovuto dividere l’onore delle grandi decorazioni parietali del palazzo. Egli utilizza uno stile pittorico che ricorda la pittura pompeiana e l’arte paleocristiana. Cita l’iconografia della pittura antica, traducendola in immagini immediate, dai modi popolari. Mentre il racconto assume i toni della quotidianità, con scene di gusto pastorale e di intento divulgativo. In quegli anni Capizzano lavora anche con Adalberto Libera, uno dei maggiori architetti italiani del Novecento. Ma è nella pittura da cavalletto che, libero da preoccupazioni propagandistiche, si rivela sotto una veste più intima e assume accenti più confidenziali. A dispetto dei toni retorici della sua arte pubblica Capizzano rimane in fondo un uomo semplice ed un artista che vuole farsi capire dalla gente. Nella sua opera più privata è ben distante dal titanismo dei mosaici e predilige il piccolo formato, in cui ritrova una dimensione riposta, intima e spirituale. Anche i modi della pittura si fanno veloci e si rivolgono alla sfera individuale. Le suggestioni sono tratte dalla vita giornaliera, dall'ambiente circostante, dalla memoria personale. I nudi, le vedute cittadine, le nature morte, il paesaggio, i soggetti religiosi, i ritratti della moglie e della figlia si aggiungono ai temi simbolici, mitologici e storici. Si collega in queste opere alle maniere della pittura novecentista e al clima della Scuola Romana. Alla caduta del fascismo prosegue la sua opera decorando palazzi privati e prestigiosi alberghi romani come l’Hotel Hassler a Trinità dei Monti l’Hotel Mediterraneo nei pressi di Stazione Termini. Esegue alcune opere anche nella natia Rende come la volta della cupola della chiesa di S. Maria di Costantinopoli o le decorazioni di Palazzo Principe (1944-45). Insegna dal 1939 al 1951 all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove muore nel 1951 per le complicazioni di un intervento chirurgico. Nel 1954, a pochi anni dalla sua morte, gli viene dedicata una sala personale alla XXVII Biennale Internazionale di Venezia.