Utente:Enricodicarlo/Sandbox

«A Ceppo [1] si faceva un presepino
co’ la su’ brava stella inargentata,
co’ Magi, co’ pastori, per benino,
e la campagna tutta infarinata.»
(Gabriele d’Annunzio, In memoriam – XIV, 1879)


Origini

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La tradizione assegna a Penne il primo presepe d’Abruzzo. In quella città ove, nel 1216, San Francesco aveva fondato il primo convento francescano della regione, il 25 dicembre 1225 il beato Agostino d’Assisi, che due anni prima aveva assistito al Natale di Greccio, desiderò rinnovarvi la sacra rappresentazione natalizia.[2]
Sempre a Penne, s’incontrava un tempo, nella chiesa di San Domenico, “un presepio di rilievo” che, nella seconda metà del Cinquecento, il domenicano Serafino Razzi descriveva come «il più bello che io abbia mai veduto, e per la moltitudine, e la bellezza delle figure e per la ricchezza loro: essendo tutte messe a oro».[3]
Il più antico presepe domestico è quello che si trovava presso la nobile famiglia Piccolomini di Celano. Secondo un inventario, redatto nel 1567, che enumera gli oggetti appartenenti alla duchessa Costanza Piccolomini, 116 erano le figurine del presepe, la cui descrizione rivela una cura alla ricerca della spettacolarità che ricorda sicuramente quella della scenografia partenopea. A darne notizia, in Italia, è il francescano Donatangelo Lupinetti il quale riferisce di una fonte tedesca alla quale si deve una straordinaria descrizione del presepe celanese.[4]
Altra importante collezione è quella della famiglia Antinori, della fine del Seicento, scoperta in una cassa conservata nel Convento di Sant’Angelo della Pace, a Lanciano, in tempi recenti, da Giacomo de Crecchio e dal figlio Gaetano, i quali hanno ritrovato oltre cento pastori di quel presepe, liberandoli dalla polvere, fotografandoli con pazienza e perizia, e compulsando le carte della famiglia Antinori dalla quale le sculture lignee sono giunte a noi seguendo – dalla città dell’Aquila – un intreccio infinito di parentele. Sono statue di altezza compresa tra i 50 e i 60 centimetri circa, deturpate dall’azione dei tarli, con arti snodabili e vestiti di stoffa, probabilmente da riferire a epoca tardo seicentesca oppure inizio del XVIII secolo, e che ancora oggi riescono a trasmettere una forte espressività. La regione ebbe numerose testimonianze anche di grandiose composizioni lignee. Damiano Venanzo Fucinese cita, tra queste, quella che la famiglia Valignani di Chieti commise per trecento ducati, come risulta da un contratto stipulato nel 1584, allo scultore spagnolo Giovanni Scimenes, abitante in Lanciano, da realizzare per la loro cappella gentilizia nel duomo teatino. «Non sappiamo se l’opera sia mai stata eseguita, tuttavia, l’interesse per il documento che ci rappresenta, almeno nelle intenzioni, uno dei presepi più grandi finora noti, non viene minimamente intaccato dal fatto che il lavoro non sia pervenuto fino a noi».[5]
Tracce di una attività fiorente, fino ai primi anni del Novecento, si raccolgono a Vasto dove nelle chiese e nelle famiglie importanti i presepi costituivano pure un interessante documento di vita locale. Tra gli artisti[6] che si dedicarono a modellare i pastori, risultano essere addirittura i fratelli Palizzi, Giuseppe, Filippo, Nicola e Francesco Paolo: «il che è particolarmente interessante perché permette di spiegare, specie in Filippo, un certo suo realismo minuto, che ha caratterizzato, in particolare, nei suoi lavori giovanili, la sua pittura».[7] In quella città, era conosciuto con l’appellativo di Monzù l’artista Domenico Miscione (1826-1905), autore di pupattelli.[8]
A Chieti, nella seconda metà dell’Ottocento, Costantino Barbella[9] scolpisce il presepe con gli arnesi propri del mestiere, al numero 10 della Calata Santa Lucia. Conseguito il diploma di Scuola tecnica, è messo dal padre Sebastiano a lavorare nel suo negozio di chincaglierie. Egli avrebbe invece preferito dedicarsi alla realizzazione di disegni o statuette verso cui mostrava una naturale inclinazione. E, quasi per gioco, iniziò a plasmare le figurine terrine e i pastori per presepe, tutti modellati con gusto finissimo, dal commercio dei quali cominciò a trarre i primi guadagni. Nel Natale del 1868, il barone De Virgiliis, direttore del Banco di Napoli, vedendogli vendere un gruppo di pastorelli di creta al solo prezzo di venti soldi rimproverò il genitore di non mandare il figlio a studiare scultura. Ma era ancora presto per il ragazzo uscire dalle costrizioni paterne. Non abbiamo traccia di quella giovanile attività artistica, però la produzione dell’età adulta ci consente di immaginare la finezza e il realismo di quei pastori.

Abruzzo presepe d’Italia

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È veramente l’Abruzzo presepe d’Italia, per riprendere una felice espressione di Donatangelo Lupinetti.[10]
Non appaia, allora, casuale, né tantomeno scontata, la sensazione che lo scrittore Mario Pomilio avverte nell’attraversare il Parco Nazionale d’Abruzzo, ai primordi della sua fondazione, quando, lungo la strada in direzione di Opi, ha l’impressione di “muoversi ai bordi di un presepe”.[11]
Nel presepe abruzzese i pastori con le loro greggi e i loro strumenti costruiti da mani nodose, non percorrono tratturi, ma strade polverose che conducono a Dio. Nel nostro presepe non si assiste allo sfarzo di quello napoletano: ben più sobria è la realtà rappresentata. Qui i personaggi non sono allegri e scanzonati perché da sempre rappresentano il mondo contadino e pastorale, dedito a una quotidianità meno variegata di quella partenopea. E assume valore altro se questa realtà viene espressa attraverso la statuaria anche modesta di un presepe domestico, dove la bellezza non è tanto in quello che si realizza, ma ancor più in quello che si esprime. Pure la poesia abruzzese riprende questo mistero e, attraverso la metrica, esprime i sentimenti più sinceri. Si rinnova l’incanto nella dimora del poeta ortonese Luigi Dommarco[12] che, con l’aiuto della moglie e dei figli, metteva su un vero e proprio cantiere dove, per almeno due mesi, risuonavano canti e allegria[13] : «Mi facce viecchie, ma stu core none: / pi lu Prisèppie arvè ‘lla cittilanze, / artorne spinzierète pe nu ccone».[14]
Torna, anzi artorne, l’immagine del proprio padre a fare da regista a un manipolo di figli, nella lirica del chietino Raffaele Fraticelli. Egli descrive la magìa di quella piccola umanità ove ognuno è impegnato in un ruolo prezioso: «[…] lu punticelle sopr’a lu laghette, / la grotte, li lumine culurate, / lu fiume, le montagne e le casette; / lu Bambenelle ‘entr’a la magnatore, / mentre la neve avè ngasciàte fore».[15]

È il 1912 quando Cesare De Titta[16] raccoglie le note delle «zampogne del Natale / di porta in porta nella dolce sera, […] come un leggero batter d’ali».[17] , e pensa «a uno stuolo di monelli // ch’ora fanno il presepe e son più buoni / e parlan anche a noi, spersi nel mondo, / del Bambino Gesù negli occhi belli».
Due anni dopo, nel "Natale del 1914"[18], il poeta non avverte più il suono delle zampogne, ma gran pianto fra gli uomini, mentre «nei luoghi della guerra / ardon case e presepi». Eppure, in quella notte di dicembre, il messaggio d’amore di De Titta è rivolto ai “bimbi d’Abruzzo” perché crescendo possano «divenire / uomini senza divenir feroci».[19]

Il presepe oggi

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La nostra regione, che ha sviluppato l’espressione artistica del presepe vivente (l’allestimento di Rivisondoli resta il più noto e suggestivo[20]), sta invece smarrendo la tradizione artigianale.
Resistono, queste piccole figure, nel borgo di Pacentro, grazie agli ultimi maestri, come Marco Angelilli[21], epigoni della scuola di Giuseppe Avolio (1883-1962) il quale aveva ereditato dal proprio genitore la passione per l’arte figulina, creando statuine (i pasquarielle) ispirate ai popolani della sua Valle Peligna[22]; resistono a Castelli dove padre e figlio, Vincenzo e Antonio Di Simone, modellano per diletto figurine, nella loro bottega i cui muri sono intrisi di quell’odore che sa di fatica secolare.[23] Resistono ancora per la ‘semplice passione’ di qualche collezionista e di qualche ‘artista d’occasione’ come il chietino Giuseppe Di Iorio[24] che crea in canna vegetale le sue fantasie, memore di un interesse per la manualità, trasmessogli sin da piccolo dal nonno e da uno zio pastore; e l’aquilano Piero Boschetti che trasforma i paesaggi abruzzesi in pietra, legno e sughero, in una sintesi superba della dedizione totale che si respirava in famiglia. A costoro, citati per memoria diretta, si aggiungono i tanti appassionati che artigianalmente riproducono scene antiche di vita dei loro paesi, all’interno delle quali ambientano la nascita di Gesù, come da oltre trent’anni Gino Di Benedetto e Fabrizia Di Girolamo, ripropongono a Torricella Sicura, nel museo etnografico dedicato alle “Genti della Laga”[25], attraverso una straordinaria esposizione di oggetti della civiltà contadina e pastorale; e come, sempre nel Teramano, Giovanni Gavioli, a Montorio al Vomano, nell’ex chiostro degli Zoccolanti, intaglia e intarsia scorci di una lontana novella, mosso da un profondo convincimento religioso.[26] Mentre ad Atessa, nel Chietino, c’è chi ricostruisce scorci caratteristici del centro storico cittadino con una suggestiva successione di ‘quadri’, «magistralmente realizzati in paesaggi ed ambienti appositamente costruiti».[27]

Presepe monumentale di Castelli

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Contemporaneo è il “Presepe monumentale” di Castelli, realizzato nel decennio 1965-1975, con mirabile intesa tra allievi e docenti del locale Istituto d’Arte “F.A. Grue”. In quegli anni furono prodotte 54 statue apprezzate in esposizioni in Italia e all’estero. Il "Presepe monumentale", come ormai viene comunemente chiamato questo complesso scultoreo entrato a buon diritto nella storia della ceramica castellana, è esposto ed è visitabile in appositi locali presso l’Istituto Statale d’Arte "F.A. Grue" di Castelli. Il "Presepe Monumentale" è opera dello stesso Istituto, che nel decennio 1965-1975 organizzò la sua attività didattica attorno al tema natalizio e produsse, con mirabile intesa di allievi e professori, le 54 statue a grandezza naturale offerte oggi alla suggestione del visitatore. Il primo gruppo, costituito dalla Sacra famiglia (la Madonna, S. Giuseppe, il Bambinello) fu realizzato insieme con lo zampognaro, la pastorella con brocca, il suonatore con flauto di Pan, la bimba con bambola. Successivamente la prosecuzione del lavoro ha registrato nel corso degli anni gli avvenimenti della contemporaneità sociale, mettendo in sintonia di volta in volta l’evento "presepe" con la conquista della luna, il Concilio Vaticano II, l’abolizione della pena di morte. Oltre che a Castelli, dove la prima esposizione avvenne sul sagrato della Chiesa Madre nel dicembre del 1965, il Presepe nel Natale del 1970 fu esposto ai Mercati di Traiano a Roma e qualche anno dopo, per circa tre mesi, a Gerusalemme, Betlemme e Tel Aviv. Il successo e l’apprezzamento furono enormi, ma purtroppo anche i danni subiti da alcune statue nei vari spostamenti furono grandi. Meritano sicuramente maggiore attenzione le figure del primo periodo ossia la Madonna, San Giuseppe e il Bambinello, in quanto stilisticamente condizionano anche le opere successive. Da una parte la semplicità della struttura, risolta con due elementi essenziali, un cilindro o colonna (il corpo) su cui poggi a una sfera (testa), dall’altra gli elementi descrittivi e decorativi applicati sopra. Le parti anatomiche del corpo, braccia, gambe, piedi, sono quasi completamente cancellate. I particolari descrittivi che troviamo soprattutto nelle teste, capelli, barba, i particolari anatomici dei visi sempre descritti con linguaggio infantile e simbolico, hanno la sola funzione di rendere riconoscibili i personaggi.[28]

  1. ^ «L’usanza del ceppo, cioè del grosso tronco che si poneva nel focolare e doveva bruciare lentamente fino all’Epifania, era largamente diffusa in più regioni d’Europa e d’Italia […]. Secondo la credenza popolare vorrebbe ricordare il fuoco acceso da S. Giuseppe per riscaldare Maria in attesa di partorire, e spetta al capofamiglia il compito della sua collocazione rituale»: cfr. Emiliano Giancristofaro, Totemájje. Viaggio nella cultura popolare abruzzese; Prefazione di Alfonso M. Di Nola, Rai, Sede Regionale d’Abruzzo, Lanciano, Rocco Carabba, 1978, p. 126.
  2. ^ Cfr. Mirella Pontuti, Il Presepe in terra d’Abruzzo, in “Colonnella frammenti”, a. 6, n. 4, dicembre 1999, p. 31. Si veda anche Candido Greco, Rievocazione del presepe di Greccio replicato in Penne il 25 Dicembre 1225 dal beato Agostino di Assisi. Copione, Penne, Tipografia Cantagallo, 1998. Scrive il Cappuccino Luigi Del Vecchio, in La “Lezione” di Greccio per una spiritualità del presepe, in Tradizioni e cultura contadina. Scenografie e miniature di Giuseppe Scarsella, a cura di Maddalena Piccari, L’Aquila, One Group, 2009, p. 86: «Basti notare che a Greccio il Natale fu celebrato senza statue o persone raffiguranti Maria e Giuseppe; non c’era, come alcuni sostengono, neanche l’immagine di Gesù Bambino, perché Gesù si sarebbe fatto presente, vivo e vero, nel segno sacramentale del pane e del vino, sull’altare-mangiatoia. Se di presepe si trattò a Greccio, quello fu un “presepe eucaristico”».
  3. ^ Cfr. Serafino Razzi, Viaggi in Abruzzo (Inedito del sec. XVI), a cura di Benedetto Carderi, L’Aquila, Japadre, 1968, p. 59
  4. ^ Donatangelo Lupinetti, La sanda Natale, cit., cita, riassumendone il contenuto, a pp. 121-122, Rudolf Berliner, Die Weihnachtskrippe, Munich, Prestel Verlag, 1955, pp. 62-63. A dare notizia del presepe celanese è anche Luigi M. Lombardi Satriani, in Madonne, pellegrini e santi. Itinerari antropologico-religiosi nella Calabria di fine millennio, Roma, Meltemi, 2000, p. 10: «A questa data può essere associata quella del 1567, anno in cui viene rilevato un ricco presepe nel Castello di Celano in Abruzzo posseduto dai Piccolomini; un inventario parla di 116 figure tra cui nani, una giraffa, un elefante, un centauro».
  5. ^ Cfr. Damiano Venanzio Fucinese, Il presepe Valignani della cattedrale di Chieti (1584). Documenti per la storia dell’arte in Abruzzo, in “Rivista Abruzzese”, cit., p. 37.
  6. ^ Tra gli artigiani vastesi ricordiamo anche Camillo Paolini, detto la Pichicca.
  7. ^ Cfr. Paolo Ricci, I fratelli Palizzi. Filippo, Giuseppe, Nicola, Francesco Paolo, Busto Arsizio, Bramante Editrice, 1960, p. 16.
  8. ^ Il 29 ottobre 2013, l’associazione Italia Nostra di Vasto ha dedicato all’artista una mostra dal titolo “I pupattelli di Monzù”, con una conversazione di Luigi Murolo su “Il presepe meridionale tra ‘festa dei morti’ e Natale”.
  9. ^ Costantino Barbella nacque a Chieti il 31 gennaio 1852 e morì a Roma il 5 dicembre 1925. Fu tra gli animatori del “cenacolo” di Francavilla al Mare, con Francesco Paolo Michetti, Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Tosti. Per le successive informazioni biografiche, cfr. Franco Di Tizio, Costantino Barbella, Chieti, Marino Solfanelli Editore, 1991.
  10. ^ Cfr. Donatangelo Lupinetti, in La sanda Natale. Canti e tradizioni abruzzesi del tempo natalizio, Lanciano, Cet, 1963, p. 127.
  11. ^ Cfr. Mario Pomilio, Viaggio nel Parco Nazionale d’Abruzzo, in Abruzzo. La terra dei santi poveri, vol. I, Teramo, Edigrafital, 1998, p. 108.
  12. ^ Luigi Dommarco nacque ad Ortona (Ch) il 23 dicembre 1876 e morì a Roma il 3 settembre 1969.
  13. ^ A raccontarlo è il figlio Alessandro, in Luigi Dommarco, Poesie scelte, a cura di Alessandro Dommarco; Saggi di Alberto Maria Cirese ed Emerico Giachery, Roma, Edizioni dell’Urbe, 1984, p. 372. Il testo citato è a commento della raccolta di Luigi Dommarco, La bbona Natele agli Amici del Presepio, Roma, Tipografica Editrice Romana, 1966.
  14. ^ Da Luigi Dommarco, La bbona Natele agli Amici del Presepio, cit., in Id., Poesie scelte, a cura di Alessandro Dommarco, p. 382. Riportiamo la traduzione: “Mi faccio vecchio, ma non [si fa vecchio] questo cuore: / per il Presepio ritorna la fanciullezza, / ritorno spensierato per un po’”.
  15. ^ Cfr. Raffaele Fraticelli, Lu pressepie de la bon’àneme, in Raffaele Fraticelli, Giorni di festa e dintorni. Poesia nel folclore sacro d’Abruzzo versi in dialetto abruzzese, Teramo, EGI, 1995, pp. 22-26. Riportiamo la traduzione: “il ponticello sopra al laghetto, / la grotta, le luci colorate, / i fiumi, le montagne e le casette; / il Bambinello entro la mangiatoia, / mentre la neve aveva attaccato fuori”. Per la bio-bibliografia del poeta (nato il 9 gennaio 1924), cfr. Enrico Di Carlo, Raffaele Fraticelli. Voce di popolo; Presentazione di Bruno Forte, Castelli, Verdone, 2009
  16. ^ Cesare De Titta nacque a Sant’Eusanio del Sangro (Ch) il 27 gennaio 1862, e vi morì il 14 febbraio 1933. Sacerdote e insegnante di latino e greco, tradusse di d’Annunzio, in latino, Elegie romane, e, in dialetto abruzzese, La figlia di Iorio.
  17. ^ Cfr. Cesare de Titta, Poesie, Volume secondo, Lanciano, Itinerari, 1987, p. 104. Anche per la citazione succesiva. La poesia, intitolata Le zampogne, è dedicata a Giuseppe Iavicoli, ed è datata «Lanciano, 19 dicembre 1912».
  18. ^ È il titolo della poesia: cfr. Cesare de Titta, Poesie, Volume secondo, cit., p. 270.
  19. ^ Ivi, p. 272.
  20. ^ Sul presepe vivente di Rivisondoli si veda la più recente pubblicazione: Cosimo Savastano, Rivisondoli. Il presepe vivente, Castelli, Verdone, 2011. Si consulti il sito http://www.presepeviventerivisondoli.it/#0.
  21. ^ Marco Angelilli è l’ultimo allievo di Giuseppe Avolio. Egli prosegue la tradizione realizzando figure proprie originali, in terracotta, i cui particolari esprimono non soltanto l’attività svolta dai suoi popolani, ma anche la tipicità dei costumi dipinti su ciascuno di loro. Su Marco Angelilli si veda Luca Del Monaco, Il presepe: piccole sculture per una grande passione. Le statuine in terracotta di Marco Angelilli, in “Abruzzo è Appennino”, n. 1, a. 2007.
  22. ^ Su Giuseppe Avolio cfr. Damiano Venanzio Fucinese, Betlemme d’Abruzzo. I presepi di Giuseppe Avolio, in “Centiscriptio. Studi demo-etno-antropologici offerti a Giuseppe Profeta”, cit., pp. 173-181. Dello stesso autore si segnala L’opera di Giuseppe Avolio e la tradizione del presepio peligno, in “Il presepio”, Roma, 1981, n. 8, pp. 22-23. Su Avolio si vedano pure: Manfredi Quatraro, Un artista d’Abruzzo: Peppino Avolio, in “Attraverso l’Abruzzo”, a. II (1954), n. 1, pp. 13-14; Raffaele Santini, Pacentro: aspetti storico-geografici, Pratola [Peligna], Arsgrafika Vivarelli, 1976; Franco Cercone, Pacentro e l’arte del presepe abruzzese, in “Abruzzosette”, 18 gennaio 1979; Augusto Di Cesare, I presepi, in “Un mese a Pacentro”, a. II, gennaio 1981, pp. 13-14.
  23. ^ A Castelli è l’unica fabbrica riconosciuta di “interesse culturale particolarmente importante”, e come tale notificata dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, e soggetta a vincolo ai sensi dell’art. 2 della legge 1089/1-6-’39.
  24. ^ Giuseppe Di Iorio è nato a Chieti nel 1944. Cfr. Mario D’Alessandro, Lo scettro di canna. Giuseppe Di Iorio artista del cuore; Con contributi critici di Ezio Sciarra, Mira Cancelli Falasca, Ilaria Palmisano, [Pescara], Tipolitografia Sigraf, 2013.
  25. ^ Cfr. <http://www.cmgransasso.it/centrodocumentale/beni_culturali/musei/ginodibenedetto/intro.htm>. Immagini del presepe di Gino Di Benedetto e Fabrizia di Girolamo sono pubblicate in Tradizioni e cultura contadina. Scenografie e miniature di Giuseppe Scarsella, cit., pp. 106-107.
  26. ^ Cfr. Giovanni Boccia, Achille Lococo, La tradizione del presepe teramano, in “Il Bollettino dell’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Teramo”, a. IV, n. 1, gennaio-febbraio 1997, pp. 16-17. L’articolo si occupa anche di altri presepi allestiti nel Teramano. Nella Biblioteca provinciale di Teramo ho trovato un opuscoletto dal titolo Presepe artistico di Giovanni Gavioli, senza il nome dell’autore, senza note tipografiche e senza anno di stampa. È suddiviso in due brevi capitoli, più la Prefazione: Brevi cenni storici sul presepio e Biografia. Immagini del presepe di Gavioli sono pubblicate in Tradizioni e cultura contadina. Scenografie e miniature di Giuseppe Scarsella, cit., pp. 104-105.
  27. ^ Da un articolo di Giuseppe Catania, apparso in Il giornale del Vastese, n. 6, marzo 2011. L’iniziativa è della locale associazione italiana Amici del Presepio.
  28. ^ Cfr. Antonio Planamente, Castelli. Il Presepe monumentale, Colledara, Andromeda, 2005, pp. 7-8.