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Vittorio Mondazzi (Pratola Peligna, 30 marzo 1913 – Lipik (Croazia), 6 maggio 1945) è stato un partigiano italiano.

Vittorio Mondazzi (Pratola Peligna, 30 marzo 1913 – Lipik (Croazia), 6 maggio 1945) è stato un partigiano italiano.

Radici Vittorio Mondazzi nacque a Pratola Peligna da Giovanni e da Assunta Di Bacco il 30 marzo 1913. Agli inizi degli anni Trenta visse a Roma, dove lavorò come decoratore. Dopo una prima esperienza bellica, maturata in un anno di leva prestato in Libia, nel corso del quale venne addestrato nell’uso dell’artiglieria pesante, nel 1942 Mondazzi si spostò a Milano, dove diresse una piccola fabbrica e dove gestì la Trattoria della Lepre in via Fratelli Bandiera 34.

La guerra Il giovane decoratore fu richiamato nel 1943 per essere impiegato sul fronte greco-albanese con il 43° gruppo artiglieria. Sbarcato a Rodi nell’agosto, partecipò alle convulse giornate seguite all’8 settembre sull’isola greca, dove l’esercito italiano, dopo quattro giorni di combattimenti alternati a trattative, finì per arrendersi al nemico. Mondazzi, con gli artiglieri del 43° gruppo, era dislocato nel settore Calato, particolarmente importante sul piano strategico per la presenza dell’aeroporto di Gadurrà e considerato anche dai tedeschi il settore dove la resistenza italiana si mostrò dal primo giorno più aggressiva e dove i combattimenti continuarono ininterrottamente sino al momento della resa. La giornata del 10 si era infatti conclusa, a Calato, con una serie di azioni che avevano messo in difficoltà i tedeschi ed evidenziato le capacità militari italiane. Nella giornata dell’11 la zona venne addirittura attaccata dagli Stukas tedeschi. Nel pomeriggio, dopo quattro giorni di combattimenti alternati a trattative, si diffuse la notizia che i comandi avevano firmato la resa. Il 12 settembre iniziò il disarmo dei militari italiani, ai quali fu da subito avanzata, con scarsi risultati, la proposta di inquadramento nell’esercito tedesco e di riconoscimento del nuovo regime fascista.

La prigionia Dapprima utilizzati nei lavori di fortificazione e reclusi in centri di raccolta, la loro condizione peggiorò drasticamente in seguito al rifiuto alla collaborazione. Nei primi mesi l’azione di proselitismo per il costituendo nuovo esercito di Mussolini fu affidata a ufficiali e sottufficiali italiani che avevano aderito alla Wehrmacht; ai prigionieri veniva consentito di scegliere fra il prestare giuramento a Hitler combattendo con l’esercito tedesco, prestare servizio ausiliario armati, prestare servizio ausiliario disarmati o dichiararsi prigionieri e accettare il campo di concentramento con tutte le conseguenze che ne derivavano. La situazione divenne ancora più insostenibile quando a responsabile dell’intero settore dell’Egeo Orientale venne inviato il generale Otto Wagener. Ai centri di raccolta si sostituirono veri e propri campi di concentramento, mentre le richieste di adesione al rinato fascismo ed al suo fedele alleato divenivano più pressanti e minacciose utilizzando a questo scopo la deportazione, le restrizioni alimentari, le minacce e le percosse specie verso coloro che propagandavano idee contrarie. Vittorio Mondazzi fu tra coloro che non cedettero alle minacce ed alle pressioni materiali e psicologiche, affrontando così la prigionia e i lavori forzati. Per questa ragione, il 2 giugno 2016 un apposito Comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha conferito anche alla memoria di Vittorio Mondazzi la Medaglia d’Onore concessa “cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti, e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra e ai familiari dei deceduti” (riconoscimento istituito con Legge 27 dicembre 2006, n. 296). La condizione dei prigionieri di Rodi era del tutto assimilabile a quella dei deportati nei lager in Germania. A guerra finita, gli atti della Commissione delle Nazioni Unite documentarono come i prigionieri italiani fossero sistematicamente maltrattati e torturati, e Wagener fu condannato quale criminale di guerra dal Tribunale Militare Alleato. Ai maltrattamenti e le esecuzioni sommarie andava poi ad aggiungersi quel triste periodo destinato a protrarsi per 14 mesi e ricordato a Rodi come “grande fame”, dovuto al blocco navale posto dalle navi inglesi che impedivano così ogni rifornimento, costituendo le isole dell’Egeo un’enclave dell’Asse all’interno di un Mediterraneo ormai controllato dagli alleati. I prigionieri di Rodi furono via via trasportati sul continente dai tedeschi in ritirata. Nell’ottobre 1944, Mondazzi risulta essere prigioniero in un campo di smistamento in Serbia.

La scelta partigiana L’arrivo dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPLJ) e dell’Armata Rossa, inviata da Stalin in appoggio ai partigiani di Tito, pose fine alla reclusione dei prigionieri. Per questi si spalancò l’opportunità del rimpatrio. Mondazzi, liberato dal campo di concentramento nazista, fu tra quanti anteposero al desiderato ritorno in patria la scelta dell’impegno per la liberazione definitiva del paese dal nazifascismo. Raggiunse così le posizioni dei battaglioni dei connazionali. Il giovane pratolano partecipò alla battaglia di Belgrado, decisiva per le sorti della guerra, con il battaglione d’assalto Garibaldi, formatosi a Spalato per iniziativa di alcuni carabinieri dopo l’armistizio ed inquadrato nella Prima Divisione Proletaria dell’EPLJ, insieme alla quale, dopo aver liberato il 19 ottobre 1944 la sede del Teatro Nazionale al termine di tre giorni di violenti combattimenti, sfilò due giorni dopo nella capitale serba liberata. Così il colonnello partigiano Jovan Vujosevic ha ricordato il ruolo degli italiani impegnati nella liberazione di Belgrado:

«Poco prima di giungere davanti a Belgrado osservavo la colonna in marcia: per le loro qualità morali e combattive, per armamento e ritmo nella marcia, per l’entusiasmo erano combattenti degni d’ammirazione. I battaglioni italiani si aprirono la strada combattendo dall’Avala all’Autocentro, dalla piazza Slavija alla via Kralj Milan, dalla via Cetinjeska alla Casa del Soldato. Il battaglione Garibaldi operò sul centro e il Matteotti verso la vecchia centrale elettrica. Dopo due giorni di battaglie di strada i compagni italiani avevano già strappato importanti posizioni ai tedeschi [...]. Via via che si occupavano le parti della città, altri volontari si univano ai due battaglioni: erano italiani che si liberavano dalla prigionia dei tedeschi e anche alcuni che, aiutati dai belgradesi, si erano per mesi nascosti in attesa di quel momento [...]. I compagni italiani tennero testa per giorni al violento fuoco nemico. Lo fecero nell’edificio del Teatro Nazionale e in tante altre posizioni respingendo ogni controffensiva» [in «il Manifesto», 27 aprile 2008].

Non tutti gli italiani liberati confluirono nella resistenza jugoslava. Alcuni per la scelta, ora possibile, di rimpatriare. Altri non furono accettati. Altri, infine, furono fucilati dall’esercito tedesco in ritirata. Mondazzi fu con i nuovi combattenti “selezionati attentamente”, addestrati per rimpiazzare le perdite e riforniti con l’equipaggiamento catturato al nemico. Per dar modo ai due battaglioni italiani – il Garibaldi ed il Matteotti – di riorganizzarsi, questi nuovi combattenti furono esclusi da ogni servizio e spostati a Mirijevo, periferia della città, come riserva con il compito di pattugliare il Danubio e i paesi vicini. Il mese di riposo fu sicuramente propizio per Mondazzi, che, definitivamente inquadrato nel battaglione Garibaldi, poté sottoporsi ad una visita medica al termine della quale gli venne riscontrata la presenza di un’ulcera duodenale che ne determinò la destinazione al servizio di sanità. Il 27 ottobre, i due battaglioni italiani parteciparono alla parata delle forze liberatrici di Belgrado alla presenza del maresciallo Tito. La parata si tenne, emblematicamente, proprio a Banjica, dove i tedeschi avevano organizzato un campo di concentramento, e i battaglioni Garibaldi e Matteotti sfilarono con le unità jugoslave, la Prima Divisione Proletaria, la 3° Krajina, e con i reparti corazzati sovietici del maresciallo Tolbuhin. Il giorno successivo le due formazioni, Garibaldi e Matteotti, con i battaglioni Mameli e Fratelli Bandiera, costituiti in gran parte da prigionieri italiani liberati, dettero corpo alla brigata Italia, successivamente denominata anche Divisione Italia. Il 23 novembre 1944 i combattenti italiani tornarono nel teatro delle operazioni spostandosi sul fronte della pianura dello Srem, con l’infermeria di brigata al seguito. Fu lì, dove il comando tedesco aveva organizzato solide linee difensive, che le formazioni partigiane, schierate tra i fiumi Sava e Danubio, stazionarono durante l’inverno e la primavera. Mondazzi, nella nuova qualifica di infermiere, aveva il compito, ad ogni avanzamento del fronte, di seguire, con la troupe medica, i combattenti, prestare le cure ai feriti, e trovare il posto per installare il reparto medico. Il 17 gennaio 1945, un pesante attacco tedesco causò alla brigata un alto numero di caduti, feriti e dispersi. Mondazzi fu trasferito a Bingula con l’infermeria di brigata. L’unità venne quindi spostata nella zona di Serengrad sul Danubio, a protezione del fianco destro della Prima Divisione Proletaria. Superata la fase di sbandamento la brigata riprese la risalita verso Zagabria, con una serie di combattimenti che portarono alla vittoriosa rottura del fronte. Alla fine di aprile l’offensiva jugoslava si era di fatto conclusa. I battaglioni raggiunsero quindi la Slavonia occidentale. Il I maggio 1945 il battaglione Garibaldi celebrò la Festa dei Lavoratori insieme alla Prima Armata Jugoslava e si accinse a partecipare alla fase finale delle operazioni nei Balcani. All’inizio di maggio, infatti, Berlino cadeva, l’avanzata dell’EPLJ era inarrestabile, la Quarta Armata Proletaria liberava Fiume, Trieste e Gorizia e lo Stato indipendente di Croazia era ormai in rovina. Il 3 maggio, mentre la Divisione Italia passava in prima linea dirigendosi verso Pavlovac, Mondazzi, acquartierato a Pakrac con la sua compagnia, ricevette l’ordine di partire a bordo di un camion con 20 uomini e alcune casse di medicine. Poche ore dopo i commilitoni appresero la notizia di un incidente occorso all’automezzo. Il bilancio fu di tre morti e di parecchi feriti. I primi soccorritori trovarono Vittorio Mondazzi già senza conoscenza, a causa di un forte colpo alla tempia sopra l’occhio destro. Fu trasportato presso l’ospedale da campo di Lipik, dove, assistito dai compagni, si spense il giorno 6 maggio 1945. Quali erano state le cause dell’incidente? Come registrato nel foglio matricolare, Vittorio Mondazzi era stato ferito nel corso di un combattimento sostenuto nei pressi di Lipik mentre era alla guida di un automezzo che trasportava altri italiani appena liberati dalla prigionia nazifascista. Il giorno successivo al decesso, dopo aver sepolto il trentaduenne pratolano nel cimitero di Pakrac, la Divisione Italia riprese la sua marcia verso nord, per entrare vittoriosa, l’8 maggio 1945, a Zagabria, accolta festosamente dalla popolazione. La Divisione Italia arrivò ad inquadrare complessivamente circa 5.000 uomini. Gli ultimi caduti della Divisione Italia riposano nel cimitero di Zagabria, dove sorge un monumento su cui si legge:

«Compagno, quando vedrai mia madre dille di non piangere. Non sono solo. Giace al mio fianco un compagno jugoslavo. Che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune. Trovammo qui fede, madre, pane, fucile. I morti lo sanno. I vivi non lo dimenticheranno. Fiumi di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni migliori».


Riconoscimenti Nel dicembre 1945, in un turbinio di bandiere rosse la popolazione di Pratola Peligna tributò solenni onoranze funebri al suo giovane figlio sepolto in una terra lontana per la cui libertà aveva sacrificato la vita. Sul finire degli anni Quaranta, a Vittorio Mondazzi è stata riconosciuta la qualifica di partigiano per aver «fatto parte della formazione partigiana E.P.L.J. in località Jugoslavia». Il 24 aprile 2019, il Ministero della Difesa ha consegnato al Comune di Pratola Peligna la Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria di Vittorio Mondazzi.


Fonti Riccardo Lolli, Edoardo Puglielli, Vittorio Mondazzi. Partigiano abruzzese caduto per «la libertà senza confini», Mondo Nuovo, Pescara 2020