Utente:Filomena Villani/Sandbox

Neuroetica

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Le neuroscienze hanno avuto importanti ricadute sul piano etico. Come osserva Laura Boella “il fenomeno decisivo del campo specifico delle neuroscienze è infatti l’inserzione ormai diretta degli studi sul cervello nella vita e nei comportamenti delle persone”[1].

La studiosa affrontando i temi che riguardano i correlativi neuronali della personalità, indaga criticamente questo tipo di conoscenza ripercorrendo i temi etici del libero arbitrio e della responsabilità, poiché le neuroscienze cognitive quotidianamente affrontano sempre con più frequenza i fenomeni che riguardano l’ambito sociale e morale. Nel riconoscere un grande valore allo sviluppo delle neuroscienze, Boella, come altri studiosi, si dichiara contraria all’idea di un percorso che possa ridurre la complessità dell’esperienza morale a dei meccanismi cerebrali.

La neuroetica, però, è considerata una possibilità di analisi che, partendo da una valutazione di risultati sperimentali si interroga sui più discussi problemi etici. Così essa apre nuove strade all’analisi del sé, iniziando proprio dallo studio delle precondizioni neurobiologiche del fatto morale. Boella si interroga circa l’esistenza di un “cervello morale”[2] e analizza le implicazioni etiche delle neuroscienze. A tal proposito si cerca di comprendere la possibile corrispondenza tra aree celebrali e concezioni morali, facendo riferimento alla ricerca delle neuroscienze in ambito morale. Questa si articola in diverse procedure, abbinando le tecniche di neuroimaging a esperimenti morali e analizzando l’effetto di lesioni celebrali o di patologie psichiche sulla condotta morale. Le procedure di neuroimaging sembrano mostrare la fragilità dei meccanismi neuronali che sono alla base delle relazioni morali spontanee. È possibile inoltre rintracciare una stretta correlazione tra gli stati psichici e l’attivazione di specifiche aree del cervello così da definire tale relazione come “causale”. Questo aspetto deriva dal fatto che la neuroetica è interessata alla morale prima della morale. Per questo il punto centrale di tali riflessioni riguarda la rivalutazione dell’aspetto emotivo all’interno del fatto morale, ossia una rivalutazione dell’emozione nella dimensione morale possibile grazie alle evidenze del neuroimaging: “lo studio del cervello rende ormai evidente che nell’attività di ponderazione delle scelte, di espressione del futuro, di discernimento e valutazione nelle opportunità di agire, fondamentale è il ruolo delle emozioni rispetto alle funzioni cognitive"[3].

Il neuroimaging permette di capire che nel momento in cui è fondamentale sviluppare un comportamento morale contribuiscono a questa scelta sistemi neurali emotivi e sistemi neurali cognitivi. In particolare questi ultimi possiedono una dimensione utilitaristica (nella valutazione della relazione costi/benefici di un’azione) e una dimensione emotiva (che riguarda la relazione di reciproca dipendenza tra esseri umani). La partecipazione di entrambe alla valutazione morale consente di comprendere la varietà di risposte di carattere morale che l’uomo può dare in una medesima circostanza. Ma è proprio la dimensione emotiva che apre l’uomo al mondo, alle interazioni di carattere sociale, culturale ed economico. I dati sperimentali ci permettono di indagare alcuni aspetti del processo decisionale e portano a ridimensionare il ruolo della volontà e del controllo cosciente nell’agire.

Il soggetto è responsabile fin dove arriva la sua capacità di attirare nella sfera della propria esperienza l’insieme di progetti, significati, desideri e legami intersoggettivi su cui edificare la propria esistenza. In questo senso la neuroscienza non sconvolge l’etica, in quanto aggiunge semplicemente un nuovo elemento all’interno dell’esperienza umana. Essa non vuole rendere l’uomo una macchina né vuole chiudersi in una prospettiva spirituale dell’essere umano che lo sottrae alla sua dimensione naturale. Proprio in questa direzione si dirigono anche le valutazioni sulla scoperta dei neuroni specchio, una nuova concezione del sistema motorio che riguarda l’applicazione del meccanismo specchio al riconoscimento delle emozioni provenienti da soggetti esterni, tramite un circuito che codifica le emozioni degli altri come se fossero proprie. Questi guardano alla possibilità di pensare l’empatia come l’elemento fondamentale per l’uomo: “l’empatia è un modello di esperienza complesso che nasce da una relazionalità e da un’interdipendenza originaria e inconsapevole, sulle quali si fonda, e che matura attraverso attività che coinvolgono la percezione, la memoria, l’affettività e le operazioni cognitive”[4]. Le neuroscienze non riescono a condurre il funzionamento oggettivo del cervello umano ad un riduzionismo morale, bensì permettono di dirigersi verso una morale pienamente consapevole della delicatezza dei meccanismi vitali, attenta alla variabilità e fallibilità delle scelte e in particolare all’importanza dei rapporti con gli altri.

  1. ^ Laura Boella, Neuroetica : la morale prima della morale, Cortina, 2008, ISBN 978-88-6030-158-1, OCLC 800030702. URL consultato il 12 dicembre 2022.
  2. ^ Andrea Lavazza e Giuseppe Sartori, Neuroetica : scienze del cervello, filosofia e libero arbitrio, Il mulino, 2011, ISBN 978-88-15-14651-9, OCLC 800451823. URL consultato il 12 dicembre 2022.
  3. ^ Laura Boella, Neuroetica : la morale prima della morale, Cortina, 2008, ISBN 978-88-6030-158-1, OCLC 800030702. URL consultato il 12 dicembre 2022.
  4. ^ Laura Boella, Neuroetica : la morale prima della morale, Cortina, 2008, ISBN 978-88-6030-158-1, OCLC 800030702. URL consultato il 12 dicembre 2022.