Utente:Guido Barbera/Luigi Barbera

Luigi Bàrbera: appunti per una biografia

Luigi Ismaele Bàrbera nacque a Minervino Murge il 12 ottobre 1829 da Vincenzo e Nunzia Di Tria.

La biografia intellettuale

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In realtà Bàrbera, dopo la formazione in seminario ad Andria e il successivo passaggio a Foggia, nella seconda metà degli anni ’50 dell'Ottocento è attivo tra Pisa e Napoli. Docente privato nella regia Università di Napoli nel 1861, nel 1863 è a Pisa dove insegna nel Liceo. La permanenza in Toscana si interrompe sul finire degli anni ’60. Il Bàrbera è a Napoli nel 1871 come docente nel Liceo Umberto I e titolare dell’insegnamento di Filosofia Naturale presso quella Università. Dal 1872 al 1874 sarà docente di Filosofia Teoretica a Roma. Dopo il 1874 sino alla data della sua morte ricoprirà l’incarico di docente di Filosofia Morale nella Regia Università di Bologna.

Senza dubbio Le Lezioni di logica inventiva fu l’opera centrale della sua ricerca filosofica di quegli anni, quella che forniva una sistemazione organica al metodo di analisi della natura.

Il Bàrbera a Napoli  pronuncia il Discorso sul metodo delle scienze positive nel 1872..  A Roma sistema l’altra opera caposaldo, insieme alla Logica, scritta a Pisa, del suo sistema filosofico: Saggi di filosofia naturale del 1873. A questa seguì Della legge universale di Rotazione e dell’Unità del sistema del Mondo, un’opera neo galileiana che, come sostenne G. Tarozzi, successore del Bàrbera alla cattedra di filosofia morale di Bologna, tentò di difendere il ruolo di una filosofia scientifica dall’assalto delle scienze specialistiche al fine di individuare un metodo di analisi e di conoscenza della natura forte e basato sul linguaggio matematico.

Tutte le opere di taglio scientifico matematico furono, comunque, pesantemente criticate dai suoi contemporanei. Egli scrisse, ormai stabilmente a Bologna:

Teorica del calcolo delle funzioni nel 1876;

Nuovo metodo dei massimi e dei minimi del 1877;

Introduzione allo studio del calcolo  del 1880;

I semplici contemporanei: critica al calcolo infinitesimale del 1883;

Teorica dell’integrabilità delle funzioni del 1890;

Teorica delle equazioni differenziali duple del 1895,

Critica al newtonismo ovvero delle cause dei moti planetari del 1900.

Di queste, se l’ultima riprende temi e problemi già sollecitati nel Della legge universale di rotazione  del lontano 1867, le altre intessono un complesso dialogo con i matematici a lui contemporanei. Un confronto che raggiunge una notevole vis polemica ne I semplici contemporanei e nella premessa alla Teorica delle equazioni differenziali.

Il nucleo centrale di queste opere è la riflessione che il  Bàrbera opera sul calcolo infinitesimale: una questione fondamentale nel dibattito tra i matematici del XIX sec. che tentavano di risolvere alcune aporie logiche emerse nella sistemazione della materia operata dal Lagrange. La posta in gioco, dal punto di vista degli statuti logici della matematica era notevole. Non solo si trattava di rettificare alcune teorie elaborate da illustri nomi del passato, dal Leibniz all’Eulero al Lagrange, ma di dare alla Meccanica, ossia alla Fisica Applicata, uno statuto simbolico matematico che proprio nelle teorie del calcolo infinitesimale e delle equazioni differenziali trovava un status di legittimità gnoseologica.

Il Bàrbera affrontò la questione senza risparmiarsi. E se questo gli valse una certa notorietà presso i matematici tedeschi ed austriaci, finì per scatenare una veemente polemica in Italia, proprio con Casorati e Beltrami, ovvero con il vertice dell’accademia matematica italiana.

La vicenda di Bàrbera fu un vero caso intellettuale per l’epoca. Noto all’estero, apprezzato in Italia in alcuni settori umanistici ( S.Spaventa e  G. Carducci, tra gli altri ), subì l’ostracismo dei matematici accademici ( i semplici, così da lui definiti).

Ormai vecchio e stanco scriverà nell’ultima sia opera edita:

Or che sono diventato vecchio e tutte le forze mi abbandonano, mi resta però vivacissima la memoria de’ sogni della mia giovinezza. Siamo oggi in Italia assai lontani da quel primato intellettuale che il Gioberti aveva fatto balenare alla fantasia dei giovani studiosi 60 anni fa; onde e’ quasi tutti affronatarono ogni sorta di pericolo per conquistare la libertà di pensiero che una cieca tirannide voleva soffocare. Ma 50 anni  dietro non avrei mai preveduto che quella libertà di pensiero che i’ sognava per gli altri sarebbe stata a me contrastata .

Dirà sempre il Tarozzi:

Se il pensiero matematico e fisico del Bàrbera si mette in relazione col resto dell’opera sua a me pare che non si possa escludere a priori che in essa si possa trovare qualche germe fecondo; e se anche ciò dovesse essere negato, la negazione dovrebbe essere accompagnata dal riconoscimento dell’arduo tentativo da Lui compiuto e della vita così devotamente spesa alla ricerca della verità.

Parole, queste, che se riconoscono al Bàrbera, dopo al sua morte, la statura di filosofo della scienza, indicano, nel contempo, quel repentino oscuramento che da subito interessò la sua opera .

Infatti gli interventi celebrativi che si successero in occasione del ventennale della morte, nel 1924, l’unico momento di riflessione fino ad oggi sull’opera del filosofo, promossi da esponenti pugliesi contigui al fascismo, elusero del tutto la natura epistemologica della riflessione del Bàrbera per riprendere, invece, il filone politico della produzione culturale del nostro che dal già citato Della istruzione classica e scientifica del 1864 giungeva ai due scritti editi tra il 1891 - 92 - La morale nella democrazia e La libertà nelle scuole secondarie ( per l’apertura dell’anno accademico della regia università di Bologna ) - e all’inedito Dittatura o Governo Parlamentare, opera di cui soltanto oggi nel 2004, si darà divulgazione.

          Sia Cotugno sia Morselli sottolinearono la battaglia etico politica del Bàrbera per il rinnovamento dello Stato post unitario. Landisi annoverò il Nostro tra i seguaci di Minghetti. Ma sarà Croce, che pur partecipando alle celebrazioni del ’24, con una comunicazione puramente di cortesia, indicherà con precisione la fisionomia politica del Bàrbera, annoverandolo tra quelli che invocavano, negli anni difficili di fine secolo, un ritorno allo Statuto “ cioè l’abolizione del regime parlamentare… ripristinando il carattere dei ministri come ministri del principe, col conseguente rafforzamento del potere esecutivo”.

Era questa una tendenza che trovò una corposa cassa di risonanza nella rivista Nuova Antologia, sulla quale scrissero i migliori interlocutori del Bàrbera: Morselli, Minghetti, Bonghi, Sonnino.

Ebbe così, apparentemente,  buon gioco Cotugno a tirare il Bàrbera, vent’anni dopo la sua morte, dalla parte dei fascisti.

Ma Croce, d’altro canto, con il suo illuminante magistero, chiarì come la linea del Bàrbera, favorevole ad un’involuzione reazionaria dello Stato, fosse battuta, dopo i gravissimi episodi del biennio 1898 – 1900, da una più moderata  politica liberale, che trovò in Giolitti il suo alfiere.

Fu, dunque, il tentativo di Cotugno una evidente lettura astorica dell’esperienza filosofica e politica del Nostro. In realtà fu proprio l’età giolittiana, con la nascita di nuove sensibilità intellettuali che si aprivano non solo nel campo umanistico ma anche in quello tecnico - scientifico, a contribuire all’oscuramento definitivo dell’esperienza filosofica del Bàrbera.

Luigi Bàrbera si spense a Minervino Murge il 17 gennaio 1904, stroncato da uno scompenso cardio circolatorio. Trovò pace  fuori le mura del cimitero cattolico perché scomunicato. Solo in seguito fu ammesso nella comunità dei defunti. Lasciò alla Municipalità di Minervino Murge una vasta biblioteca e ed alcune opere d’arte in seguito confluite presso la Pinacoteca Provinciale di Bari.

Le ricostruzioni postume

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Come riporta in necrologio a firma di M. Barletta  ne La Voce del Popolo – organo della federazione repubblicano radicale -  del 21.10.1904,  egli “ fu educato nel seminario di Andria, perché la famiglia lo voleva prete; ma ben presto egli, annoiato dal messale, appena celebrate tre messe, dimise l’abito telare e si diede agli studi e alla libera scienza: il dogma non faceva al suo cervello.”

Nella ricostruzione della sua vicenda biografica la rottura con gli ambienti clericali rimase un punto fermo, in varia guisa sottolineato da amici e colleghi. Pasquale Bàrbera, che pronunciò l’elogio funebre in una cerimonia civile, ne ricordava il suo anticlericalismo. Ne Il resto del Carlino del 20 gennaio 1904,  A. Valdanini lo annovera tra i teisti, pur creando un certo disappunto nel lettore allorquando aggiunge che il Bàrbera fosse in filosofia insieme un razionalista e un sincero spiritualista.

         L’anticlericalismo, comunque, è una caratteristica che passa in secondo piano  nelle celebrazioni del ventennale della morte, nel 1924, lì dove l’accento viene piuttosto messo sull’opera politica e civile del Bàrbera. Raffaele Cotugno lo  annoverava” tra i più autorevoli precussori di quel movimento di pensiero che è sfociato nel fascismo”.

Il Landisi, sul Corriere delle Puglie del 21.01.1904, propone un profilo più equilibrato, soffermandosi sulla fase di formazione a Pisa e sulla nomina a professore ordinario di Filosofia Morale a Bologna, lì dove esercitò per trent’anni. Su Il Giornale d’Italia del 19.01.1904, in una nota, si sostiene che il Bàrbera fosse docente di filosofia Teoretica prima a Napoli e a Roma e dopo, a seguito di brillante concorso, tenne la cattedra di filosofia Morale a Pisa e a Bologna.

Guido Oldrini e Eugenio Garin citano un discorso ( Sopra l’indole della filosofia italiana ) tenuto a Napoli il 6 novembre del 1861. A Pisa Il discorso della istruzione classica e scientifica viene pronunciato il 2 giugno del 1864. Ancora a Pisa il Bàrbera terrà nei primi mesi del 1863 un ciclo di lezioni nel Liceo che raccoglierà nel volume Elementi della Metafisica del Bene del 1864. Landisi sostiene che l’opera Lezioni di Logica inventiva, fosse scritta ancora a Pisa nel 1866.