la comunicazione facilitata in Italia

La CF fu portata in Italia negli anni '90 da Patrizia Cadei, madre di Alberto, affetto da autismo. Dopo aver incontrato Biklen negli Stati Uniti ed aver iniziato ad impiegare il metodo con suo figlio, Patrizia Cadei, come membro dell'Italian Autism Society, iniziò a diffondere la tecnica viaggiando in tutta la Nazione, sempre accompagnata dal figlio che appariva compiere progressi verso la scrittura indipendente.[1][2]

Nel 1996 L'ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) Lazio (oggi AGSA Lazio), organizzò a Roma un "Convegno Internazionale sulla Comunicazione Facilitata" cui presero parte, tra gli altri, Patrizia Cadei e Douglas Biklen.[2]

In seguito, nel 1997, fu organizzato a Roma il primo "Corso di Formazione Pratico per Insegnanti sulla Comunicazione Facilitata con il Bambino Autistico", riconosciuto dalla Regione Lazio.[3]

Nel 2011 sono stati pubblicati due importanti pronunciamenti istituzionali sulla CF. Il primo è la risposta del sottosegretario Elena Ugolini a seguito di un'interrogazione parlamentare sulla possibilità che fosse valido il conseguimento di un diploma utilizzando la CF. [4][5] Il testo della risposta si concludeva così: "si ritiene che non possano essere considerate valide le prove equipollenti, svolte in corso d’anno e al termine del secondo ciclo, con l’aiuto di un facilitatore; ciò in quanto la presenza di questi durante le prove potrebbe far emergere dubbi in merito alla loro validità ed autenticità, non consentendo alla commissione di valutare le reali abilità, conoscenze e competenze acquisite dagli studenti al termine del percorso di istruzione".[4] Nei fatti ciò non ha impedito a livello legale che studenti che impiegassero potessero conseguire un titolo valido poiché è possibile, a livello legislativo, considerare il facilitatore come un "assistente alla comunicazione", figura prevista dalla legge 104/92 all'articolo 16, comma 3: "Nell'ambito della scuola secondaria di secondo  grado,  per  gli alunni handicappati sono consentite prove equipollenti e  tempi  più lunghi per l'effettuazione  delle  prove  scritte  o  grafiche  e  la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione".[6][5]

In risposta alle critiche sulla validità del metodo, Patrizia Cadei si è pronunciata nel 2007 sull'impiego della tecnica senza un'adeguata formazione e supervisione. Secondo lei il modo corretto di intendere il metodo sarebbe quello di applicarlo come una sorta di "training" che deve avere come obiettivo prioritario l’autonomia della comunicazione lungo un percorso evolutivo che deve vedere l'aiuto fornito ridursi progressivamente.[5]

A partire da questi principi si è pertanto sviluppato il protocollo W.O.C.E. (Written Output Communication Enhancement, marchio registrato presso il Ministero per le Attività Produttive)[7], che avrebbe sostituito la precedente tecnica della Comunicazione Facilitata.[5] Il protocollo si basa essenzialmente su quattro assunti basilari:

  1. La persona con disabilità della comunicazione è l’attore principale dell’intervento: intorno ad essa si tesse una trama di interventi calibrati sulle potenzialità e per minimizzare le difficoltà.
  2. Si stabilisce il concetto “da facilitazioni a facilitazioni minime o nulle”.
  3. l monitoraggio del progetto non è un’opzione ma un diritto/dovere di chi intraprende il percorso.
  4. L’applicazione della strategia è monitorata  a livello universitario (Dipartimento di Sanità pubblica, laboratorio di Epidemiologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”).[5][7]

Va comunque chiarito che questo cambiamento di prospettiva riguarda solamente una parte di coloro che utilizzano la CF in Italia e che hanno posizioni teoriche non omogenee tra loro.[5][8]

Un altro filone di ricerca diverso dal precedente si è sviluppato con il nome di "CFA Comunicazione Facilitata Alfabetica – Tecnica Alternativa del Linguaggio®” (marchio registrato a Gorizia il 22/02/2013 dall’Associazione di promozione sociale “VI COMUNICO CHE PENSO”)[9] e si basa comunque su assunti molto simili per quanto riguarda l'aspetto "evolutivo" (l'imprescindibilità del ridurre progressivamente il sostegno alla mano) e quello della necessità di un continuo monitoraggio e supervisione dell'intervento.[10] L'approccio, sviluppato dall'associazione "Vi comunico che penso", si distingue per considerare la Comunicazione Facilitata come una tecnica di comunicazione alfabetica utile per "persone disabili affette da varie patologie, le quali compromettano in modo determinante la capacità di comunicare vocalmente".[10]

  1. ^ Patrizia Cadei, The Italian Experience, in Facilitated Communication Digest, vol. 6, n. 3, 1998.
  2. ^ a b Patrizia Cadei, Comunicazione Facilitata, in Convegno Internazionale Sulla Comunicazione Facilitata, Roma, 25-26 maggio 1996.
  3. ^ Igor Cenciarelli, Arturo Mona, Excursus storico sulla Comunicazione Facilitata, su http://www.gli-argonauti.org, 1999.
  4. ^ a b Sull'uso di facilitatori della comunicazione per gli studenti con disabilità presso le istituzioni scolastiche autonome, su camera.it.
  5. ^ a b c d e f Flavio Fogarolo, Sulla Comunicazione Facilitata a Scuola, su http://www.flaviofogarolo.it/.
  6. ^ Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, su gazzettaufficiale.it, 5 febbraio 1992.
  7. ^ a b W.O.C.E. in breve, su http://www.cnapp.it.
  8. ^ Patrizia Cadei, Da Comunicazione Facilitata a WOCE, su http://www.agsalazio.it/, 29 luglio 2008.
  9. ^ La CFA, su http://www.comunicazionefacilitata-associazione.it.
  10. ^ a b Fabio Sesti, A proposito di Comunicazione Facilitata e scuola, su http://www.superando.it.