"Io non ho mani che mi accarezzino il viso"

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Raccolta fotografica di Mario Giacomelli, fotografo Senigalliese.

Le immagini inserite dall’artista nella raccolta rappresentano momenti della ricreazione in seminario. Mario Giacomelli entra in contatto con l’ambiente del seminario vescovile di Senigallia, motivato dalla sua intima ricerca e dalla poesia di padre David Turoldo “Io non ho mani che mi accarezzino il volto”, da cui la raccolte prende il nome.

“Queste sono le fotografie più briose e spiritose di Giacomelli e che più facilmente si trattengono nella memoria grazie alla loro grafica basata sulla predominanza dello sfondo bianco che controlla e sottolinea il contorno delle figure scure”. (Antonella Russo)

Mario Giacomelli trascorse un anno presso il Seminario Vescovile di Senigallia, cercando di immergersi il più integralmente possibile con lo scenario che lo circondava.

Dopo il primo anno di ambientazione e di contatto con i seminaristi, servitogli per elaborare idee e pensieri e per abituare questi giovani pretini alla ripresa fotografica, in una giornata di neve Giacomelli sente che era arrivato il momento dello scatto che avrebbe finalmente dato forma ed immagine alle sue idee e al suo pensiero interiore.

“L’idea è sempre di Renè Clair tra Entr’acte e Le Million, l’idea è quella di ricostruire attraverso la riduzione dei grigi e delle forme a contorno, un blocco di forme ritagliate che non ha parentele all’interno della tradizione fotografica se non nel punto in cui questa si congiunge alla tradizione settecentesca delle silhouettes, e dunque al momento dei primissimi talbotipi ottenuti per contatto. Ancora una volta Giacomelli invera nella storia il senso delle immagini che viene costruendo” disse il fotografo.

Composizione

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Preti di giorno sui prati che corrono in tutte le direzioni costruendo una specie di intricato reticolo di percorsi, foto quindi organizzate con vero e proprio montaggio di macchina, pensato per suggerire il movimento; preti che corrono, preti giocano a pallone, preti che fumano, uno si intravede ancora nonostante Giacomelli abbia dovuto consegnare i negativi incriminati (Giacomelli fu allontanato dal seminario, dopo aver dato dei sigari ad alcuni preti per scattare delle fotografie e averle utilizzate per un concorso pubblicitario per i sigari), preti che giocano con la neve, preti che, tra le tracce filanti dei fiocchi, allargano i loro mantelli, il bianco che è uguale a quello del cielo, sospesi come uccelli, assurdi, strani.

E poi, in primo piano a destra il prete che legge il breviario, quelli che giocano, il moto veloce di uno al centro che diventa sagoma, si fa illeggibile nel dettaglio, ed ancora il prete che si leva il cappello che sfuoca e slabbra come il braccio, e quindi la serie delle immagini notissime, pubblicate a suo tempo da l’Espresso, immagini che rammentano certe altre de Il Mondo ma senza la cadenza neo-realistica di regola in quel giornale, preti che fanno il girotondo, preti che fan volare un compagno dentro la coperta, neri su bianco, sospesi sul vuoto del foglio.

Fotografa con bassa velocità per ottenere immagini sfuocate e rallentate, usando il lampeggiatore per costruire i bianchi ed annullare ogni impedimento all’impianto estetico della composizione.

I neri delle tonache sono aperti per lasciare gli ultimi spazi all’immaginazione e la deformazione della lunga posa unita alla particolare angolazione della ripresa, colloca i pretini in uno spazio irreale, senza limiti e riferimenti, come fragili palloncini sospesi.

In alcuni scatti della serie, sceglie come fondale il pergolato o il muro senza intonaco della casa vicina e tra i soggetti inserisce elementi come il gatto, il pallone, la bicicletta per mettere a fuoco la loro età giovanile e riprenderli nei momenti liberatori del gioco, di intimità terrena, di gaia spensieratezza come quando di nascosto si accendono una sigaretta o “fanno gli spiritosi per le ragazze della colonia”, come annotava Giacomelli.

Attraverso l’essenziale impianto grafico delle immagini addolcite dalla pregnanza ludica, Giacomelli esprime un profondo sentimento di solitudine e di raccontare per l’adolescenza segnata che il tempo del ricordo per un attimo esaspera e trasforma nell’incanto delle forme.

Tecniche

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Fotografa con bassa velocità per ottenere immagini sfuocate e rallentate, usando il lampeggiatore per costruire i bianchi ed annullare ogni impedimento all’impianto estetico della composizione.

Riconoscimenti

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Le fotografie dei pretini in circolo lo porteranno alla notorietà del grosso pubblico internazionale.

Collegamenti esterni

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Bibliografia

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  • Io non ho mani che mi accarezzino il volto - D. Faccioli
  • Mario Giacomelli: la figura nera aspetta il bianco - M. Giacomelli