Utente:Picchioni Maurizio/Sandbox

C’era una volta un bambino, che oggi ha dieci anni. Chiamiamolo Alessio. Lo potete vedere ora. E’ là, nella sua stanza. Sta davanti al computer, digita e clicca, clicca e digita. Gioca a “Fortnite”, un videogame molto in voga in questo periodo. Non si stacca un momento da lì, non esce mai. Se gli andate a parlare, dovrete richiamare due o tre volte la sua attenzione prima che vi risponda. E’ il suo modo per estraniarsi, oggi. Sì, è vero, è sovrappeso. Parecchio. Non è un bene per la sua salute, prima ancora che per l’estetica. Ed è un peccato perché Alessio fino a non molto tempo fa giocava a calcio, e pure bene. Non di rado andava anche a cavallo. Avreste dovuto vedere che figurino. Ah, Alessio era anche tutto sommato un bambino vivace, allegro, solare, pieno di amici. Ora no. Ora è immusonito, malinconico, sempre solo in casa, assorto in pensieri difficili da intuire. O che forse è meglio non intuire. Per lo meno è meglio che li intuisca la psicologa da cui gli tocca andare una volta a settimana. Perché Alessio è ridotto così, alla sua età? Cosa gli è accaduto? Ha avuto un incidente. E’ stato investito dal “supremo interesse del minore”. A guidare il tir che l’ha travolto c’erano alcuni soggetti ben precisi, che dopo averlo centrato in pieno hanno frenato e gli sono passati sopra in retromarcia. Poi ancora in avanti e ancora in retromarcia, più e più volte, per anni. Alessio ha visto, senza riconoscerla coscientemente, la targa “supremo interesse del minore” sovrastarlo a più riprese, fino ad annullare poco a poco la sua personalità, la sua innocenza e la sua persona tutta intera. Questo è il motivo generale per cui ora si rifugia dove può, nascondendo quello che gli resta di sé dentro un videogioco, mangiando compulsivamente e ritraendosi nell’isolamento. Alessio è stato svuotato con la stessa minuzia con cui gli egizi espiantavano gli organi ai morti prima di imbalsamarli. I sacerdoti del suo annientamento si conoscono per nome e cognome. Qualcuno, chiamiamolo Mauro, il papà di Alessio, ha raccolto maniacalmente ogni prova possibile di ogni stazione del calvario a cui suo figlio è stato condotto nel corso di otto anni, e ha voluto condividere con me la via crucis di cui è stato testimone, nella maggior parte dei casi impotente e disarmato. L’ho incontrato e si è presentato con una station wagon occupata interamente nella parte posteriore da enormi contenitori di plastica. Dentro i contenitori, pratiche, documenti, carteggi, memorie, denunce, querele. “Questo che vedi”, mi ha detto, “è un 5% di quello che ho. Il resto ce l’ho a casa”. Quella che mi ha raccontato è, non esito a dirlo, una delle storie più assurde e inquietanti tra quelle che mi sono state consegnate in questi anni. E vi assicuro che sono tantissime, nell’ordine dei gigabyte ormai. Per questo motivo ho deciso di raccontarla. Ma è talmente lunga e articolata ...Sarà il primo passo verso il racconto reale delle vicende di uomini-padri e bambini o bambine finiti in un tritacarne implacabile, che macina vite talvolta a norma di legge, talvolta anche no. .Gli obiettivi sono due. Il primo è dare un contributo a integrare la narrazione dominante. Uso il termine “integrare” perché puntare a smentirla alla radice sarebbe troppo ambizioso. Ciò che oggi si sa e si dice sulle vicende familiari, separative o inerenti ai minori è talmente radicato da essere quasi proverbiale. Senza contare che, assommando le vite di tutti gli uomini-padri e di tutte le donne-madri, verrebbe fuori sicuramente che la verità sta nel mezzo. Proprio la posizione dove in genere si trovano i bambini, i figli. Dunque nessun intento sovversivo o rivoluzionario in questa iniziativa. Semplicemente un contributo perché il racconto sociale su questi temi possa guadagnare in equilibrio.

 Il secondo obiettivo è più audace: mostrare come, al di là delle volontà malevole o benevole di chi si separa, il male è nel sistema. E’ un virus complesso, che ha tante articolazioni e sotto-tipi, ma analizzandolo al microscopio si nota come alcuni elementi siano comuni in tutte le storie, mentre altri abbiano una presenza discontinua. La storia di Alessio addita in modo incontrovertibile la testa del mostro che, come si è già iniziato a riflettere su queste pagine, è il sistema giudiziario. Vero, i servizi sociali, gli specialisti privati, gli avvocati e tutto il mondo che per interesse circuita attorno a queste vicende spesso ci mettono del loro. Ma spesso, non sempre. La magistratura invece è il filo rosso che unisce in un’unico male tutte le storie più anomale, distorte, atroci, devastanti. Certo non mancano i giudici coscienziosi ma, dopo anni di rilievi sul campo, non si può che classificarli come la classica eccezione che conferma la regola. Là, tra i togati, sgorga il fiume del Male che ha annegato Alessio e tanti altri come lui. Un fiume che, più in alto, ha la sua sorgente nelle leggi fatte dalla politica, ma anche in questo caso non sempre. La storia di Alessio è un atto d’accusa contro quella realtà, lanciato a nome di tutti i minori il cui “supremo interesse” è stato usato come una clava per massacrarli.

La sua vicenda si svolge in centro Italia. Nel raccontarla non farò mai nomi veri né di persone né di luoghi, per tutela essenzialmente di Alessio, perché la sua vicenda ancora non è chiusa, per assurdo che possa sembrare. E non si pensi che, tra le tante ricevute, in gran parte accompagnate da comprensibile divieto di diffusione, racconti questa per un qualche tipo di preferenza. Lo faccio perché è davvero una delle più rappresentative delle anomalie più comuni e dello strapotere discrezionale e tossico della magistratura. Detto questo, dunque, andiamo a incominciare, ritessendo il filo degli eventi che hanno ridotto Alessio come l’abbiamo incontrato all’inizio di questo articolo. Tutto comincia nel 2010, quando Mauro, il papà di Alessio, riceve una telefonata. “Buon giorno, qui è il Tribunale dei Minori”. Mauro stava cucinando quando ricevette la telefonata. Gianna, sua moglie, sarebbe dovuta tornare a momenti. Stavano insieme da poco più di un anno, durante il quale avevano costruito una relazione profonda, fatta di amore, ovviamente, ma anche di stima, lealtà e rispetto reciproco. Entrambi avevano vissuto storie difficili, talvolta traumatiche, in passato. Incontrandosi avevano trovato una forma di pace da regalarsi reciprocamente. Quella telefonata, con quella presentazione, presagiva però qualcosa di indesiderabile. Per questo Mauro deglutì con fatica quando sentì la voce stentorea dire “Tribunale dei minori”.

“Buon giorno, dica...”. Niente gli fu svelato sul momento. Era una convocazione. Doveva presentarsi il giorno dopo per comunicazioni. Raccontò la cosa a Gianna, quella sera, e insieme provarono a ipotizzare cosa potesse mai volere il Tribunale dei minori da lui. Segnalazioni non potevano essercene: la loro famiglia era serena, benestante, socialmente affermata. Entrambi erano professionisti conosciuti e stimati nel comprensorio e soprattutto non avevano figli. Dunque?Il funzionario, il giorno dopo, pensò fosse meglio andare subito al sodo. Su certe cose non ci si deve girare troppo attorno. “Lei ha un figlio”, disse. Mauro, seduto trepidante davanti a lui, restò un po’ imbambolato perché non capì subito se quella fosse una domanda o un’affermazione. Optò per la prima. “No”, rispose, “non ho figli... perché?”. Il funzionario spese cinque secondi prima di comprendere il quiproquo. Fece un sorriso di metallo, più che di circostanza, e con un sottile velo di sadismo chiarì: “sì, ce l’ha, si chiama Alessio, ha due anni, e la madre è la signora Gaia ****”.

Mauro barcollò sulla sedia. Le prime due frasi l’avevano colpito come il sinistro di un pugile che prende le misure prima di scaricare il destro del KO. E Mauro era a tutti gli effetti KO. Ricordava benissimo Gaia. L’aveva incontrata in un locale della zona, l’aveva approcciata. Ai tempi era così. Dopo l’ennesima lunga storia finita male, Mauro si era dato alle storie disimpegnate, e quella sera ne conteggiò una in più.Lei incontrata in discoteca ,alla fine della serata erano finiti a letto. Il mattino dopo lui si era risvegliato per primo, complice il fatto che Gaia l’aveva superato di molte lunghezze nella quota d’alcol ingurgitata. Stralunato, si era guardato attorno abbastanza da capire di non essere in casa propria. Si era allora rivestito e se n’era andato. Si erano rivisti poi ancora un paio di volte, tutte repliche della prima, poi Mauro aveva troncato, infastidito dal fatto che la bottiglia pareva per Gaia un’abitudine più che una componente di divertimenti saltuari. E di una cosa era certo: ogni volta aveva avuto rapporti protetti. Non credo che possa essere mio”, disse, dopo aver rapidamente ripercorso tutta la sua storia con Gaia. “C’è l’esame del DNA, se vuole”, cantilenò il burocrate scribacchiando su un foglio senza guardarlo. “Sì, voglio farlo”. “Compili questo”. Gli allungò un modulo, che Mauro riempì con mano incerta. Un foro nel profilattico? Uno strappo non percepito ? Una manovra sottobanco di Gaia? Non poteva saperlo, ogni ipotesi era possibile, inclusa quella che il piccolo Alessio non fosse figlio suo. Perché, però, tra i tanti uomini con cui Gaia sicuramente era stata, aveva indicato proprio lui come possibile padre?Poi due anni dopo? Il DNA gli diede la risposta: Alessio era a tutti gli effetti il prodotto del suo seme. Con il referto in mano, ne parlò a Gianna, temendo che la notizia deflagrasse come una bomba all’interno di un rapporto che, finalmente, sembrava funzionare. Sua moglie però, alla notizia, restò impassibile e assorta. “E’ tuo figlio”, gli disse poi con un sorriso blando ma sincero. “Fai il tuo dovere verso di lui e io sarò con te”. Mauro si commosse. La generosità di Gianna profumava di donna, moglie e madre. Questo lo confortò rispetto pensiero sgradevole di dover rientrare in contatto con Gaia, nella necessità di gestire assieme il piccolo Alessio. Un mistero lungo due anni che gli piombava come una meteora nella vita. Due anni persi e da recuperare per accreditarsi come padre e imparare ad amarlo: a pensarci Mauro non sapeva immaginare da dove avrebbe dovuto cominciare.Ci pensò il tribunale a schiarire i suoi dubbi. Grazie al fatto che lui e Gaia vivevano nella stessa città, a una distanza non improponibile, il giudice deliberò che due anni di vita e di paternità si potessero recuperare con una dose di frequentazione pari a tre ore tutti i giorni, dalle 17 alle 20. Per il resto del tempo Alessio sarebbe rimasto con la madre. Una disposizione tutto sommato generosa rispetto alla media, dissero a Mauro diversi amici separati. E fu anche questo a fargli digerire i 300 euro mensili che avrebbe dovuto versare a Gaia per il mantenimento di Alessio. La frequentazione tra figlio e padre cominciò un mese esatto dopo la deliberazione del giudice. L’emozione di tenere in braccio Alessio per la prima volta lo distolse dalla visione di Gaia, scarmigliata e instabile sulle gambe. E per il piccolo Alessio quel primo abbraccio fu l’inizio di un percorso disorientante. Un susseguirsi ininterrotto di luce e buio, luce e buio, luce e buio.Da quel momento il piccolo Alessio vive in una sorta di altalena quotidiana. Ogni giorno quel signore grande e grosso che si fa chiamare “papà”, lo va a prendere e lo porta con sé, insieme a una signora che si chiama Gianna. Sono tutti e due pieni di attenzioni verso di lui, lo portano ai giardini, gli leggono un sacco di storie, gli fanno cose buone da mangiare. E poi ha già una stanza tutta per sé. Non se ne accorge subito, è troppo piccolo. Servono due o tre anni per rendersi conto che a casa di papà si sta benone. Grande, pulita, con tanto di piscina dove poter giocare d’estate. Certo non mancano momenti di severità, specie quando papà e Gianna cercano di insegnargli già a riconoscere le lettere e le cifre. Ma tutto è compensato di tanto in tanto dalla presenza dei nonni. Alessio è raggiante in quelle tre ore giornaliere che un giudice, con un decreto esecutivo, ha deciso deve passare con papà e Gianna. Poi c’è lo sbalzo, il rientro a casa di mamma. Ed è come passare ogni volta dalla luce al buio e viceversa. Non è un caso che Alessio pianga disperatamente ogni volta che deve lasciare papà e corra come un fulmine quando deve raggiungerlo per le sue tre ore di ossigeno. In senso letterale, perché a casa della mamma, dove vive anche la nonna, l’aria è davvero irrespirabile. Ha un che di acido che Alessio non sa definire. Forse è il fatto che nonna è malata: dorme sempre. E quando non dorme è sempre attaccata a una medicina che non smette mai di bere, talvolta dal bicchiere, talvolta dalla bottiglia. E dev’essere una medicina abbastanza cattiva, perché ogni volta che la nonna si avvicina ha il fiato che sa di disinfettante, come l’alcol che si usa quando ci si sbuccia le ginocchia. Dopo aver bevuto un sacco di quella roba, nonna barcolla, parla ma non si capisce, poi va sul divano o sul letto e dorme.Anche mamma ha la stessa malattia. Non così grave, lei la medicina la prende meno della nonna. Però anche lei spesso ha quel cattivo odore acido, cammina male e molte volte non Alessio non capisce cosa dice. Vivendo le due realtà Alessio non riesce a non vedere le differenze. Gianna pulisce spesso casa e cucina cose buone, mentre mamma o esce o, se sta a casa, guarda la TV, beve la sua medicina, gioca col cellulare. Sarà anche per questo che a casa di mamma c’è un cattivo odore e ogni volta che Alessio cammina a piedi nudi si ritrova le piante tutte nere. Non di rado anche marroni. Sì, perché a casa di mamma c’è anche un cane. Mamma e nonna tengono la sua cuccia in cucina, spesso si dimenticano di portarlo fuori e capita spesso che Alessio, zampettando per casa, schiacci una delle sue cacche. Potrebbe essere tutto sopportabile, alla fine, se non fosse che a casa di mamma non si fa niente. Lei e nonna non gli parlano tanto e se lo fanno è per sgridarlo o dirgli di star zitto o per dirgli di andare a guardare la TV. Baci, carezze, coccole, manco a parlarne. Alessio si ritrova così sballottato da due anni in poi in queste due realtà parallele e contrastanti, che non contribuiscono sicuramente a plasmare il suo essere in un modo equilibrato. A un certo punto le cose però cambiano. In peggio. Alessio non ne capisce il motivo e in realtà nemmeno Mauro, suo papà. Un giorno, arrivato davanti a casa della mamma, puntuale alle 17.00 come ogni giorno, Gaia non si presenta con Alessio. Mauro la chiama al cellulare, ma lei non risponde. Alle 17.30, preoccupato, suona al campanello. Risponde la nonna. “Chi è?”. “Sono Mauro, mi portate Alessio per favore? Abbiamo perso già mezz’ora...”. Mauro deve ascoltare il ronzio del citofono per una decina di secondi prima di sentire una risposta che lo lascia secco: “no”. “Cosa no? Come sarebbe no?” dice al microfono, ma la nonna ha già chiuso la comunicazione. O forse è caduta in coma etilico, non si sa. Mauro non sa che fare. D’istinto si farebbe aprire il portone da qualcuno, andrebbe su e si prenderebbe Alessio con la forza, ma sa che cose del genere lo potrebbero mettere in grossi guai. .............“Ho un decreto esecutivo del Tribunale”, pensa tra sé, ritrovando la calma. Subito dopo digita il numero dei Carabinieri. Che arrivano, dopo un po’. Salgono e parlamentano con Gaia e la nonna. Dalla strada si sente anche qualche urlo delle due. Mauro immagina cosa Alessio stia provando a sentire quel vociare, a vedere quelle uniformi. Sarà spaventatissimo, si dice. I Carabinieri scendono poco dopo, da soli. Abbiamo fatto il possibile, dicono. Non possiamo prelevare il minore di forza, dicono. Si rivolta al Tribunale, dicono. Poi se ne vanno. Sebbene sia cosa grave, anzi un vero e proprio reato non consegnare un minore al padre nel rispetto delle decisioni di un Tribunale, ci si potrebbe anche passar sopra. Gaia magari era mal disposta, le era presa l’ubriacatura cattiva, vai a sapere. Il fatto è però che da quel momento i suoi rifiuti diventano sistematici e smette di lasciare che Alessio raggiunga il papà, senza addurre alcuna ragione al diniego. Ogni volta Mauro chiama i Carabinieri, che correttamente arrivano, parlamentano, poi se ne vanno allargando le braccia. Una storia che si ripete giorno dopo giorno, per mesi, finché i Carabinieri non arrivano più. In quegli stessi mesi Mauro deposita trentotto denunce per il mancato rispetto da parte di Gaia del decreto esecutivo del Tribunale. Trentotto... trentotto prima che il Tribunale si decida ad esaminare il caso e convochi entrambi per cercare di dirimere il contendere. Non agisce di forza, come forse sarebbe accaduto se a non consegnare il bambino fosse stato un uomo, ma convoca le parti. E la prima domanda che fa è indirizzata a Gaia: “signora, perché non consegna il minore al padre, come da decreto esecutivo”? Gaia guarda nel vuoto per un bel po’ prima di rispondere. Lancia un’occhiata rapida a Mauro, prende un respiro e dice: “non è un genitore idoneo”. A Mauro scappa una risatina. Ma si accorgerà in breve che c’è poco da ridere. Tra poco entrerà in campo di tutto: droga, violenza e soprattutto, per cominciare, nientemeno che la magia. “Io non idoneo”? Così pensa insistentemente Mauro quando legge l’atto di accusa con cui Gaia giustifica il fatto di negargli ormai da settimane l’accesso ad Alessio. “Lei è sempre mezza ubriaca e quello non idoneo sono io?”. Non crede ai suoi occhi, dunque prosegue la lettura. Qualche ragione sensata deve pur esserci perché lei lo possa definire così in una denuncia che non è stata archiviata. Gli occhi scorrono rapidi tra le righe scritte in avvocatese, finché l’attenzione non viene attirata dalla formula “coltivazione di marijuana”. La donna lo accusa di far crescere lo stupefacente in casa, di farne uso e smercio. Mauro si volta e guarda con pietà il ficus sempre lì lì per morire, nell’angolo della stanza. E’ l’unica pianta che ha in casa. Presto arriveranno i Carabinieri a controllare e magari chiederà a loro se sanno come accudirlo visto che pare sempre sul punto di seccare. Se le accuse sono queste, ci vorrà ben poco per smontare tutto e anzi rivoltarle la cosa contro, con qualche bella denuncia per calunnia, pensa Mauro. Prosegue nella lettura e a un certo punto deve rallentare. Non perché non sia chiaro, ma perché fatica a credere a ciò che sta scritto. C’è ....Estratto dalla reale denuncia. No dai non può essere vero, pensa Mauro. Gaia lo stava accusando di essere l’apprendista stregone di Walt Disney. E la polizia giudiziaria non aveva archiviato la denuncia. Incredulo, Mauro chiama il proprio avvocato. “Non so che dire... è folle, ma non l’hanno archiviata, l’hanno mandata avanti”, gli conferma. Il giorno dopo insieme stendono un’altra denuncia per calunnia, che sarà la prima di un totale di trentasei. Quanto dichiarato da Gaia per giustificare la mancata consegna di Alessio in violazione del decreto esecutivo del Tribunale dei Minori, è una vera miniera di falsità. Mauro intende fargliele ingoiare una ad una. Non per vendetta, ma perché non intende tollerare barriere alla frequentazione di suo figlio. La cui madre, è evidente, si sta appigliando a tutto, in special modo all’iper-protezione che l’intero sistema riserva alle donne, pur di tenerlo lontano dal bambino. Ma perché lo fa? La domanda tormenta Mauro a lungo. Soldi, vuole sicuramente soldi. Ma c’è anche dell’altro. Per arrivare ad accusarlo di stregoneria, c’è dietro un disagio, forse una forma di invidia ossessiva. Alessio sta bene con lui, molto più di quando sta con lei. E non lo nasconde. Soprattutto questo deve aver scatenato l’invidia distruttiva di Gaia. Accuse o no, Mauro non demorde, e ogni giorno alle 17.00 in punto si presenta davanti a casa sua, sperando di vederne uscire Alessio. Dal momento della denuncia cerca di non presentarsi mai da solo a quegli appuntamenti. Amici, colleghi, parenti, coinvolge un po’ tutti a tenergli compagnia, mentre aspetta inutilmente. Ogni volta chiama i Carabinieri, che rispondono “appena riusciamo veniamo”, ma poi non vengono mai. Quando proprio non ce la fa più, chiama Gaia, che il più delle volte non risponde. Solo una volta apre la comunicazione, il 24 dicembre. Forse per fargli il regalo di Natale, si degna di rispondere. Mauro si impone la massima calma.

“Gaia, sono tre mesi che Alessio non mi vede, c’è un decreto esecutivo, stai commettendo un rea...”. “Alessio è malato, sta molto male, ha la febbre a 39”, lo interrompe lei. “Non può assolutamente uscire di casa”. Lei gli Sventola un certificato medico. Mauro lo guarda, tace per qualche secondo, poi: “va bene, fammici parlare...”. Ne nasce subito un battibecco, che capitombola in breve nel tut-tut della telefonata interrotta. Mauro rientra in auto, ringhia, bestemmia, esasperato. Pensa ad Alessio, in quella casa oscura, puzzolente, sporca, senza amore e si sente male. Resiste a stento all’impulso di andare, sfondare l’uscio e portarselo via. Sa che sarebbe un errore fatale, quindi sgomma e si dirige verso il centro, riascoltando l’incontro è la telefonata. Perché già da tempo registra in audio e video tutto quanto. Non si fida e fa bene. In breve capirà che tutte le sue registrazioni gli verranno molto utili. Ha ancora alcuni regali da acquistare per i suoi parenti, dunque parcheggia ed entra in un negozio di roba tecnologica. Mentre guarda la vetrina vede passare lentamente l’auto di Gaia. La riconosce alla guida. Si sporge oltre l’accesso del negozio mentre piano piano transita alla ricerca di un parcheggio. Sul sedile dietro c’è Alessio che gioca tranquillamente. Per Mauro è un attimo, non c’è riflessione nella sua reazione, che è pienamente spontanea. Scende in strada e grida: “ehi!”. Gaia lo vede, accelera all’istante e si allontana. Mauro raggiunge la sua auto, mette in modo e la segue. “Sono tre mesi Alessio non mi vede”. “E rispondi!”, dice in ansia mentre digita sul vivavoce cercando di chiamare la madre di suo figlio alla guida dell’auto che ha davanti. Che pare scappare più che viaggiare. Mauro vorrebbe chiederle dove stia andando col bambino, se davvero è febbricitante e quasi in fin di vita, come gli ha detto al telefono. O molto più probabilmente era una scusa per negarglielo per l’ennesima volta. Ma niente, Gaia non risponde, anzi accelera. Mauro la segue per qualche chilometro, poi lascia perdere. Sempre mezza bevuta com’è, vedendosi seguita potrebbe prendere velocità e uscire di strada con Alessio dietro. Rallenta allora, con una mano che gli arpiona lo stomaco. Fa inversione a U e se ne torna a casa, dove Gianna l’aspetta, intristita e paziente come sempre. E’ il 27 dicembre quando il cellulare lo avverte di una chiamata anonima in arrivo. “Pronto?”. “Buon giorno, polizia giudiziaria”, risponde una voce spiccia e perentoria. Deve presentarsi il giorno dopo in Procura per comunicazioni. Mauro riattacca immaginando che Gaia se ne sia inventata un’altra delle sue, e non sbaglia. Il brigadiere gli sventolerà sotto il naso cinque pagine pinzate ai lati. E’ una denuncia di Gaia per atti persecutori, il cosiddetto “stalking”. Nelle pagine in fondo c’è la dichiarazione di un’amica di Gaia secondo cui Mauro aveva inseguito la madre di Alessio mettendole ansia e paura. “Con ‘sta roba”, gli dice il brigadiere in tono severo, “il rinvio a giudizio è sicuro”. Lo tratta già da criminale, in barba alla presunzione d’innocenza. Un altro processo da affrontare. Per non sbagliare, con il suo avvocato stende e deposita la trentaseiesima querela per calunnia. Quando accade, non vede Alessio ormai da quattro mesi. Il gioco si è fatto duro. Ed è solo all’inizio. Poteva essere un’incomprensione componibile con un confronto tra persone adulte, magari anche una discussione animata, ma comunque qualcosa di riparabile. Se solo lei non fosse stata dedita al bere, se solo lui non fosse stato di sesso maschile (dunque visto di mal occhio a prescindere da un po’ tutte le istituzioni) e un bravo padre, probabilmente tutto si sarebbe aggiustato parlandosi con franchezza. Invece no: l’uno e l’altra hanno deciso di tirare in mezzo le autorità ad ogni livello. I Carabinieri, il Tribunale dei Minori, il tribunale civile e quello penale. Che non sono fatti per dirimere le controversie. Sono impostati per renderle ancora più aspre, perché il loro compito è decidere chi ha ragione e chi ha torto. E quando le cose sono impostate così, anche il contrasto più banale si trasforma in una guerra. Mauro a questo punto ha depositato un numero spropositato di querele contro la madre di Alessio, per denunciare il suo rifiuto a ottemperare al decreto esecutivo del giudice, e dunque di permettere ad Alessio di frequentarlo. Non solo: innumerevoli sono anche le contro-denunce per calunnia contro la donna, che a sua volta ha querelato Mauro per una serie di altre questioni, alcune fuori dal mondo, come il fatto di fare riti magici indossando un mantello, altre comunque pesanti, come l’uso di droghe o gli atti persecutori. Nella “terra di nessuno”, sopra la quale volano i proiettili e i missili che i due si lanciano reciprocamente, sta il piccolo Alessio, e con lui il suo supremo interesse.A quel punto il Tribunale Civile e il Tribunale dei Minori cominciano a parlarsi. La situazione viene vista come complicata, sebbene le posizioni siano piuttosto chiare. Come sempre in questi casi la conclusione è scontata: è in atto un conflitto genitoriale che ricade sul bambino. Non c’è una madre alcolizzata che offre un ricetto inadeguato a un minore e un padre che invece garantisce ciò che un bambino deve avere, c’è un conflitto genitoriale. E bisogna capire presso quale delle due parti Alessio avrebbe trovato migliore collocazione per il suo equilibrio e la sua crescita. Dopo lunga riflessione, durante la quale Alessio continua a subire il divieto di Gaia a vedere Mauro, il Tribunale dei Minori prende la sua decisione. “Lei deve seguire un percorso di verifica della capacità genitoriale”, dice il funzionario a Mauro. Che strabuzza gli occhi, incredulo: “Prego?”. Il funzionario sospira, paziente. “Sì, deve fare una serie di test e verifiche per capire se lei è adatto nel ruolo di genitore e poi...”. Mauro si fa un po’ indietro con la sedia. E’ pronto a scattare e a urlare in faccia al burocrate tutta l’insensatezza della cosa. Questi però è abituato e alza una mano per fermare l’impeto dell’uomo dall’altra parte della scrivania: “... e poi anche la madre del minore dovrà seguirlo, è una cosa che vale per entrambi”. Mauro, si risiede, già più calmo. Aveva subodorato l’ingiustizia, la discriminazione, ma no, pare di no. Anche Gaia dovrà dimostrare di essere un buon genitore. E Mauro sa che su quel versante non ci sarà competizione.Cosa può succedere dopo il percorso?”, chiede. “A seconda dei risultati, il minore potrebbe tornare a frequentare entrambi, oppure uno solo dei due, dipende...”. Un mezzo sorriso rompe l’espressione corrucciata di Mauro: “quindi potrei averlo io in affido...”, ipotizza. Per istinto e abitudine il funzionario gli risponde con un’espressione come a dire: ma non dica sciocchezze, un figlio affidato a un padre, quando mai? “In ogni caso a monitorare il tutto saranno i servizi sociali, che d’ora in poi seguiranno la vicenda e collaboreranno per capire meglio la situazione”. Ahia, i servizi sociali, pensa Mauro. Non ne ha mai sentito parlare un gran bene, anzi. Però non si fa condizionare né dalla situazione né dai pregiudizi. Si sottoporrà a qualunque percorso di verifica, e lo farà con gioia e ottimismo. Nel corso del tempo, fin tanto che Gaia ha acconsentito ad Alessio di frequentarlo, ha visto, ha sentito l’amore e l’intesa crescere e consolidarsi con il bambino. Mauro sa di essere un buon padre, dunque non teme nulla. Firma ciò che deve firmare e attende di essere chiamato per l’inizio del suo percorso. Anzi non vede l’ora che lo convochino. Il tempo passa, i servizi sociali si fanno vivi, conoscono Alessio, lui e Gaia, monitorano davvero la situazione, e non sembrano così impreparati o superficiali come Mauro pensava. Finché un giorno squilla il telefono: è il suo avvocato. Certo che si tratti del primo appuntamento per la verifica della capacità genitoriale, risponde con voce allegra: “avvocato! Allora che mi dici?”. Preso alla sprovvista il legale deve schiarirsi la voce più volte prima di rispondere.Senti Mauro... eh-eehhhmmm... hai presente quella denuncia per la questione delle magie, il mantello?”. Mauro si irrigidisce. Su quella cretinata c’è stata la chiusura indagini, lui e il suo legale erano in attesa dell’archiviazione. “E allora?”. “Ecco”, risponde l’avvocato, “mi hanno avvisato che... c’è stato il rinvio a giudizio... dovrai subire il processo...”. Mauro non sa se scoppiare a ridere o accartocciare il telefono con la sola forza della mano. Dunque dovrà andare davanti a un giudice a dire che no, lui non indossa mantelli, non fa magie, il Mago Zurlì gli è sempre stato antipatico... cosa dovrà mai dire per discolparsi da un’accusa tanto folle? Mauro non è tipo che demorde, però, né si lascia abbattere. E’ pronto a tirar fuori da subito i molti megabyte di telefonate e colloqui registrati, che da tempo colleziona e archivia insieme a carte, documenti e pratiche che nel frattempo si accumulano. E’ con piglio sicuro dunque che si presenta davanti al giudice. Gaia non c’è, non si presenta, ne delega i suoi avvocati. Ne ha più d’uno, sebbene non navighi nell’oro, ma con la denuncia che gli ha fatto per stalking ha il patrocinio gratuito, quindi che le importa, può tranquillamente largheggiare. In udienza Mauro ripete quanto già detto in interrogatorio: mai fatto magie, mai volato con il mantello. Il giudice pare dubbioso comunque poi non potendo ascoltare Gaia per le anomale accuse e per questo convoca i servizi sociali. “Seguite il caso già da mesi, giusto?”, chiede il PM. “Sì, esatto”, risponde la responsabile. “Come avete inquadrato la situazione finora?”. La risposta cade come un macigno sull’aula, sia per la sua brevità sia per come viene detta: “il padre rappresenta per il figlio una figura di guida e di riferimento”. Estratto reale delle psicologhe dalla relazione sugli incontri protetti padre-figlio. Il giudice viene quasi schiacciato sulla sua poltrona. Nessuna forma dubitativa, nessun distinguo. Per i servizi sociali è così e basta. Mai sentita una roba del genere, tanto meno a favore di un genitore maschio. Il martelletto colpisce il suo supporto: non luogo a procedere, storia chiusa e tanti saluti.il tutto senza ascoltare Gaia!!!! Scuse a Mauro no, quelle non sono previste. Sì, ma intanto, deciso questo, con Alessio come si fa? Ora può ricominciare a frequentare il padre? E il percorso di verifica delle capacità genitoriali? In un mondo ideale tutto finirebbe lì e Gaia verrebbe costretta a rispettare l’ormai già datato decreto esecutivo. Ma si tratta di Italia e soprattutto si tratta di riconoscere a un bambino il diritto di frequentare il proprio padre, quindi il prosieguo sarà tutt’altro che ideale.Non luogo a procedere. Basta un’udienza per togliere a Mauro il mantello da mago, le levitazioni e per cancellare in un colpo tutte le bugie e le fantasie congegnate da Gaia per allontanarlo da Alessio. Con la relazione dei servizi sociali depositata durante il procedimento, l’attesa era quella di veder ripristinato il sistema di visite e affidi stabilito tempo prima da un decreto esecutivo del tribunale civile che però decide di non decidere. Tutto rinviato ...Tribunale Civile intanto comunica a Quello dei Minori delle anomalie . Nel farlo, ritiene utile allegare una riflessione molto netta: Questo Tribunale ritiene che maggior ostacolo al rispetto della regolamentazione già dettata sia rappresentato proprio dalla pervicacia con la quale la signora continui ad opporsi all’attuazione della regolamentazione dettata, dunque a cercare di rendere estremamente difficoltosi i rapporti padre-figlio, benché i Servizi Sociali avessero indicato un percorso idoneo a rendere, sia pure in modalità graduate, possibile l’attuazione del regolamento dettato dal tribunale. Tale condotta potrebbe assumere rilevanza anche ai fini di una diversa collocazione del minore e forse anche di una sottrazione dell’affidamento del medesimo alla madre.Le “modalità graduate” sono il percorso di verifica dell’idoneità genitoriale a cui Mauro si sta sottoponendo e a cui invece Gaia, dopo un paio di incontri, si è del tutto sottratta. I servizi sociali, gli psicologi e le psicologhe non hanno mancato di registrare i suoi problemi: a ogni incontro si presenta poco lucida e con alito vinoso. Anche per questo il tribunale civile, nel comunicare la situazione al Tribunale dei Minori, scrive qualcosa che suona come eccezionale: Alessio potrebbe essere tolto alla madre e affidato al padre. Con altrettanta sincerità sottolinea anche la “pervicacia” di Gaia. Una parola difficile per indicare un comportamento ben preciso. Mano a mano che le cose procedono, infatti, Gaia aumenta la sua aggressività e la sua sfrontatezza. E’ conscia di essere in vantaggio sempre e a prescindere, essendo donna, essendo madre. Se non lo è di suo, qualcuno vicino a lei la rassicura. “Me ne sbatto di quello che dicono i giudici”, scrive via messaggio a Mauro che la supplica di permettere ad Alessio di frequentarlo, “tanto nessuno mi fa niente, puoi chiamare anche gli alieni...”. E in effetti è così. Le condizioni con cui raramente si presenta agli incontri spingono i servizi sociali a richiedere una perizia di valutazione della personalità a cui lei però non si sottopone. E nessuno le fa niente, in effetti.Un mese dopo dell’accusa sui riti magici, però, accade qualcosa che cambia, anche se di poco, lo scenario. Ad Alessio viene finalmente permesso di incontrare Mauro, che nel vestirlo vede sul polso un segno perfettamente circolare. Lo fotografa, lo analizza, anche con l’aiuto di un medico. Non ci sono molti dubbi: è una bruciatura di sigaretta. Per averne la massima certezza, chiede a un amico fumatore il mozzicone acceso e se lo spegne sul polso. Tempo poco appare lo stesso segno circolare che aveva visto su Alessio.I Non c’è da girarci troppo attorno: sia Gaia che sua mamma, la nonna di Alessio, fumano molto. Anzi la cosa era stata motivo di aspre polemiche. Il bambino da un certo punto in poi aveva iniziato a soffrire di frequenti nausee. Gaia ne aveva incolpato l’alimentazione, a suo dire cattiva, durante i periodi col padre, ma un medico aveva fugato i dubbi: è la gran quantità di fumo passivo respirato dal bambino durante i lunghi periodi con la mamma e la nonna. Oltre al vomito era già tanto che non avesse sviluppato una bronchite cronica. Quando è troppo è troppo. Mauro chiama subito i servizi sociali, mostra loro le foto e i referti medici. Il nome della cosa è noto: maltrattamenti su minore, ed ecco che una nuova denuncia viene depositata. I servizi sociali e l’ufficio minori della Questura vengono così inviati a ispezionare a sorpresa la casa di Gaia. La trovano in stato semi-confusionale, con l’alito vinoso. La nonna è collassata sul divano, ubriaca fradicia. Alessio circola per casa spaesato, con una tutina sbrindellata e sporca, come sporco è tutto l’appartamento. In cucina trovano due deiezioni del cane, che in quella stanza ha la propria cuccia. Alessio non ha una stanza sua, dorme nel lettone con la mamma. Non ci sono molti dubbi: è una bruciatura di sigaretta. Agenti e servizi sociali portano il bambino in ospedale, dove la bruciatura non viene riconosciuta. Ma agli agenti non sfugge che Alessio ai medici ha recitato una parte che gli è stata accuratamente insegnata dalla madre. Mauro fa notare che in tutti gli anni precedenti lui non l’aveva mai notata, Gaia irrompe nel dialogo e innesca la solita lite sui turni di visita. E’ tutta roba che Mauro denuncia da tempo immemorabile, restando però inascoltato. Stavolta però non si scappa: quello non è l’ambiente per un bambino, né dal lato igienico-abitativo né da quello educativo. Dovrebbe essere automatico, dunque: via Alessio da lì, subito affidato al padre e tanti saluti. Ma no, da quel lato l’arroganza e l’aggressività di Gaia ha un fondamento culturale tanto forte quanto infame. L’esito dunque è modesto: l’affido viene non tolto alla madre ma solo preso in carico dai Servizi Sociali come affido direttivo. Gaia dovrà seguire un percorso di disintossicazione dall’alcol, pena l’affido esclusivo del bambino al padre. E’ poco, non è quasi niente perché in quell’inferno Alessio dovrà continuare a stare. Ma è comunque un passo intermedio che lo avvicina al suo papà e a una condizione di vita più sana, equilibrata e attenta dal lato affettivo ed educativo. Mauro intanto termina con pieno successo il suo percorso di verifica dell’idoneità genitoriale e insomma ha tutti i motivi, nonostante le lentezza del procedimento, per essere ottimista. L’intoccabilità di Gaia in quando donna e madre sembra vacillare, i vari tribunali coinvolti sembrano piano piano, anche grazie all’azione oculata dei servizi sociali, convincersi che l’interesse del minore è allontanarsi dalla figura materna. Che debba avvicinarsi a quella paterna ancora no, non arrivano a concepirlo, deviati come sono da un imprinting obsoleto e discriminatorio. Che poco dopo, proprio nel momento in cui le mani di Mauro e Alessio stanno per stringersi, mostrerà appieno tutti i suoi effetti devastanti.....Il primo inciampo per Mauro è la richiesta di seguire un altro percorso di verifica dell’idoneità genitoriale. “Un altro?”, protesta al tribunale, assieme all’avvocato. In effetti ne ha già passati due con pieno successo, che bisogno c’è di fargliene fare un terzo? “Le condizioni sono cambiate, il bambino intanto è cresciuto”, si giustificano. Mauro non perde né ottimismo né determinazione e accetta di sottoporsi a test, prove e colloqui. Sa il fatto suo, sa quanto bene Alessio ormai gli voglia. L’unico timore è che, stante la situazione di sostanziale vantaggio, si debba attendere ancora prima che gli venga affidato, togliendolo a una madre che ormai numerose carte descrivono come inadeguata. Ad aggiungere peso al dato di fatto ci si mettono prima l’asilo poi anche la scuola. Guardando la pagella di Alessio, Mauro si accorge dell’alto numero di assenze. Vorrebbe chiedere a Gaia il motivo, visto che è lei a gestirlo al mattino tre o quattro volte a settimana e che proprio in quei giorni il bambino si assenta, ma evita. Ne sortirebbe l’ennesima lite improduttiva. Visto che l’affido direttivo è in capo ai servizi sociali, non può far altro che segnalare il problema a loro. E anche loro cadono dalle nuvole: tante assenze così denotano o frequenti problemi di salute o qualche altro tipo di problema, che va scoperto. Come prima cosa vanno dalle maestre di Alessio per chiedere un parere. Lo fanno con scetticismo: le insegnanti non si impicciano quasi mai con i servizi sociali, non vogliono problemi, preferiscono starne fuori. “Le insegnanti non si impicciano quasi mai. Stavolta invece no, parlano.” Parlano eccome. E come se non bastasse, mettono pure per iscritto. Alessio, quando torna dopo le assenze, dice che è la mamma che non si sveglia al mattino.Non solo: più volte la scuola chiama a casa per sapere come mai il bambino non è in classe e la voce che risponde dall’altra parte raramente è lucida e consapevole. Quando lo è, passa repentinamente da scuse piagnucolate a risate isteriche, passando per toni aggressivi improvvisi all’indirizzo delle insegnanti. Impossibile ragionare con quella donna. E intanto le assenze non giovano al rendimento di Alessio che, pur se dotato di un’intelligenza viva, comincia ad avere numerose difficoltà.Mauro è preoccupatissimo da un lato, ma dall’altro non nasconde che questo potrebbe essere il “colpo di grazia” capace di salvare suo figlio da una gestione scellerata, che lo sta danneggiando nell’equilibrio emotivo così come nella costruzione del suo futuro. Con questa spinta termina nuovamente con pieno successo il suo secondo percorso di verifica delle capacità genitoriali e pieno di ottimismo si predispone a tutti i passi successivi. Le carte in regola ci sono, non dovrebbero più esserci ostacoli. Ingenuamente Mauro dimentica di essere un uomo e un padre, e di essere in Italia. Le assenze non giovano al rendimento. Poco dopo viene infatti informato che l’avvocato di Gaia ha chiesto formalmente che l’affido direttivo venga tolto ai servizi sociali, forse troppo rigorosi e scomodi nel riportare la situazione per quella che è, conferendolo nuovamente alla madre. Una faccia tosta, indubbiamente, ma fa il suo gioco, pensa Mauro. Ci sta. Ha pochissime carte in mano ed è normale che provi il tutto per tutto. Una donna ha sempre motivo di provarci, sa di essere sempre in vantaggio. Gaia stessa ne aveva, visto che l’ultima volta, pur certificando la sua inadeguatezza, il tribunale aveva decretato (in un’udienza sola e senza contraddittorio, cosa che non poteva fare) che Alessio doveva restare con lei. Per prepararsi alla battaglia, Mauro va allora al Tribunale dei Minori e chiede l’accesso agli atti relativi al suo caso, in special modo a riguardo del percorso di disintossicazione alcolica cui Gaia doveva sottoporsi, e a cui si è ovviamente sottratta. Adducendo motivi di privacy, il Tribunale non gli concede l’accesso agli atti. Parte da quel momento un altro giro di carte che, di nuovo, mette tutto in discussione: pochi giorni dopo Mauro viene a sapere per caso che c’è un procedimento a suo carico. Un altro, l’ennesimo. Partito da “dichiarazioni spontanee” di Gaia che in luglio lamentava la sua paura di non poter contattare Alessio durante le vacanze d’agosto, quando sarebbe stato con il padre. “Ho il fondato timore che lo sottragga portandolo all’estero” dichiara alla Polizia. La Procura, senza chiedere nulla a nessuno (servizi sociali, avvocato di Mauro), fa partire il procedimento tre giorni dopo. Un procedimento preventivo, visto che agosto deve ancora arrivare. “Mai vista una cosa simile”, dice il legale di Mauro. Ma non c’è strada, bisogna sottostare, salvo presentare l’ennesima denuncia per calunnia. Il faldone fondamentale ovviamente non si trova L’udienza è fissata per il 18 agosto. Mauro vorrebbe depositare tutta la memoria e i documenti a suo tempo usati per la denuncia dei “riti magici”. Due faldoni di roba che spiegano bene bene che tipo è Gaia, con prove e certificati. Ne fa richiesta, attende a lungo, poi arriva la risposta: uno dei due faldoni, ovviamente quello fondamentale, non si trova, è andato smarrito. Quel faldone contiene prove che non si tratta di “conflittualità tra genitori”, ma di una madre inadeguata che attacca continuamente un padre, il quale viene continuamente assolto e continuamente tormentato e impedito nella relazione col figlio. Le proteste davanti alla giudice minorile non servono a nulla: “questo tanto non c’entra niente”, dice. Lei già sa, senza aver letto i documenti del faldone che non c’è, che si tratta di conflittualità tra genitori, il suo pregiudizio è solido, quindi chissenefrega del faldone. Mauro, come sempre, registra tutto.

Mauro capisce che non serve lamentarsi e arrabbiarsi. Serve darsi da fare, serve solo del lavoro in più, e Mauro lo fa, insieme al suo legale. Scrivono di notte, raccolgono documenti, e depositano in tempo una memoria difensiva che quasi per sfizio Mauro decide di consegnare sigillata. Uno sfizio utile, alla fine. Il giorno dell’udienza e della sentenza, la memoria giace sul tavolo del giudice, a pochi centimetri da Mauro e dal suo avvocato. Il sigillo è intatto, il magistrato non l’ha nemmeno aperta. Ma è rapido nell’aprire il formulario dove scriverà la sentenza: Mauro, come richiesto dall’avvocato di Gaia, deve seguire un altro percorso di verifica della capacità genitoriale, il terzo. Sarebbe da ridere se non fosse tragico, ma per la terza volta Mauro dovrà dimostrare davanti a strizzacervelli vari di essere un buon padre. Ne ha già fatti due, con pieno successo, ma non basta per togliere un bambino a una donna alcolista e darlo a un padre amorevole. Gaia invece no, non dovrà fare nulla. Il sigillo è intatto, il magistrato non l’ha nemmeno aperta. Sembra folle, ma di fatto le richieste di Gaia vengono tutte accolte dal giudice. Che, cosa del tutto irrituale, indica anche esplicitamente il nome della psicologa che dovrà verificare la capacità genitoriale di Mauro. A lui quel nome non suona nuovo, ma non riesce a mettere a fuoco. Al primo incontro capirà: nella dottoressa che lo attende riconosce una conoscente di Gaia. Più che una verifica dell’idoneità genitoriale è un’imboscata, e il sospetto è che sia stato tutto preparato fin dalla sentenza del giudice. Per questo gira i tacchi e se ne va, chiedendo al suo avvocato di ricusare la psicologa e chiedere l’assegnazione di un’altra specialista. Ma tutte queste coincidenze, lo smarrimento dei documenti, le procedure irrituali, puzzano di bruciato.

E di cose bruciate ce ne saranno molte, a partire dal benessere di Alessio.....

Mauro supera di slancio anche il terzo percorso di verifica delle capacità genitoriali. Capirai, ormai è uno scherzo, è diventato un veterano e sa come fare. Senza contare che è ormai palese quanto egli sia idoneo a fare il genitore. Un’idoneità che però Gaia, la sua ex compagna e madre di Alessio, non vuole verificare, nonostante le insistenze dei servizi sociali. Si sottrae a qualunque tipo di percorso, incluso quello che dovrebbe aiutarla a uscire dalla dipendenza dall’alcol. Nessuno le dice niente, nessuno la obbliga o prende provvedimenti, considerato che il piccolo sta con lei, e questo alimenta il suo senso di impunità e la forza con cui evita di farsi mettere in discussione. Ma Gaia, supportata dai suoi avvocati e da un intero sistema, non si limita alla difesa. Va anche all’attacco, e ci va a modo suo. E’ così che Mauro scopre per puro caso, un venerdì, che il lunedì Alessio sarà ascoltato dai magistrati del Tribunale dei Minori. Corre agli uffici per chiedere spiegazioni. D’altra parte non è che si può fare un’audizione a un minore così, da un giorno all’altro e senza avvisarne i genitori o i servizi sociali. E invece sì, gli dice una cancelliera: “il magistrato può decidere se sentire il minore oppure no”. Non solo: non è necessaria la presenza di nessuno. “Tanto voi non potete entrare”, dice l’arcigna cancelliera del tribunale. Il bambino lo porterà il genitore con cui sta in quel momento (Gaia) e all’audizione saranno presenti soltanto il giudice titolare e un giudice onorario. Il tutto verrà solo verbalizzato e non registrato. “Ma la legge prevede la registrazione”, protesta Mauro. No no, non si fa dice la cancelliera: sono trent’anni che lavora lì e mai i colloqui giudice-bambini sono stati registrati. Tutto regolare, quindi? No, per Mauro non lo è per niente. Non a caso registra la discussione con la cancelliera: Le voci sono state alterate per renderle irriconoscibili Un’audizione che appare sicuramente anomala, forse anche del tutto irregolare. Resta il problema del preavviso così breve. Mauro scopre che i servizi sociali, in quel momento titolari dell’affido direttivo, non erano stati avvisati. O meglio: un’email era partita, ma al venerdì pomeriggio oltre l’orario di chiusura del servizio. Non fosse stato per la buona volontà di una di loro che, avvisata da Mauro, è corsa a riaprire l’ufficio per leggere l’email, avrebbero avuto la notifica fuori tempo utile. “Però con così poco preavviso non è regolare”, dicono parlando con Mauro. “Anche perché dobbiamo organizzarci, lunedì non abbiamo l’auto per spostarci, non possiamo esserci”. Mauro non ci sta, chiama il proprio legale e insieme organizzano la presenza loro e dei servizi sociali, in un’audizione che appare sicuramente anomala, forse anche del tutto irregolare. Eppure la cancelliera lo ribadisce in modo netto: il bambino viene sentito da solo, senza nemmeno la presenza dei servizi sociali che ne hanno l’affido direttivo. Ti piace questo articolo? Sostieni il blog con una donazione. Grazie Le voci sono state alterate per renderle irriconoscibili Troppe cose non tornano, così, il lunedì prestissimo di mattina il legale di Mauro fa pervenire al Tribunale una PEC segnalando le varie irregolarità: ci sono protocolli specifici per audire un minorenne, ancor più se di sei anni, ancor meno nei locali del tribunale, in assenza di assistenza psicologica. Con ciò chiede l’annullamento dell’audizione, prevista per le 11. La PEC non riceve risposta. Per essere certo che la diffida arrivi a segno, il legale di Mauro corre in tribunale in grande anticipo e ne deposita una seconda cartacea. Poco dopo viene raggiunto da Mauro e dai servizi sociali, che presidiano il piano dove dovrebbe avvenire l’audizione, pronti a impedirla con ogni mezzo. Ma alle 11.30 non si è visto ancora nessuno: né il giudice incaricato, né Gaia, né Alessio. Chiedono in giro e una gola profonda del tribunale gli svela che madre e bambino sono stati fatti entrare da un ingresso secondario. Sembra Kafka, ma è realtà: il gruppo si divide per sbirciare nelle stanze e cercare di capire dove abbiano portato il piccolo. E’ il legale di Mauro a scoprirlo: Alessio è seduto tutto imbarazzato davanti a una giudice. A fianco del magistrato, seduta al computer, sta la stessa cancelliera arcigna con cui Mauro aveva parlato tre giorni prima e che per procedura non avrebbe dovuto trovarsi lì (lei stessa aveva detto a Mauro che ci sarebbero stati un giudice togato, più uno onorario e basta). Mauro, il suo legale e due rappresentanti dei servizi sociali fanno a quel punto irruzione. La cancelliera salta su intimando che non possono interrompere l’audizione e cerca di mandare via tutti, compresi i servizi sociali, sebbene detentori dell’affido direttivo. Alla fine, di fronte agli articoli di legge citati dall’avvocato di Mauro, il magistrato cede e li fa accomodare, dopo aver chiesto a Gaia di portare via Alessio.I servizi sociali chiedono e ottengono l’immediata interruzione dell’audizione. Rimasti soli con i magistrati, i servizi sociali e l’avvocato di Mauro cominciano a riscontrare tutte le anomalie, chiedendo che vengano messe a verbale. Tanto per cominciare nessuno ha letto i due ricorsi depositati in mattinata dall’avvocato di Mauro, sebbene il giudice togato subito avesse risposto di averlo visto. A una verifica approfondita, poi, lo stesso togato che presiede l’audizione non ha i requisiti per condurre l’audizione con un minore. Un disastro davanti al quale nessuno, nemmeno l’accanita cancelliera, può nulla. I servizi sociali chiedono e ottengono l’immediata interruzione dell’audizione.a verbalizzazione Gaia, nel frattempo, stizzita si prende Alessio e sparisce con il suo avvocato nei corridoi del tribunale. Mauro è incredulo per ciò che ha visto. Il suo legale e i servizi sociali, pur abituati un po’ a tutto, non sono da meno. Escono insieme dal tribunale, in silenzio. Probabilmente pensando a quello che sta passando il piccolo, sballottato così tra estranei e situazioni che non sa gestire psicologicamente. “Guardate un po’ là...”, sbotta Mauro appena usciti dal palazzo. Indica un gruppo di persone che sta salendo su un’auto. Sono Gaia e il suo avvocato, insieme ad Alessio e a un altro uomo. “Porca miseria”, sbotta l’avvocato di Mauro, che lo guarda interrogativo. “Che c’è?”. “Sai chi è quell’uomo?”. “No, chi è?”. “Un cancelliere del tribunale. Un superiore della cancelliera che c’era oggi con Alessio e la giudice. E quella è la sua auto”. Mauro e le operatrici dei servizi sociali rimangono a bocca aperta, mentre l’auto si allontana.

In breve si è passati da Kafka a un romanzo giallo.

Tutto anomalo, tutto al limite dell’incredibile e del mai visto. Che ci facevano Gaia e il suo legale in macchina con un boss dei cancellieri? Perché ha provato il “colpo di mano” dell’audizione di Alessio in quel modo irregolare e il tribunale dei minori le è andato dietro? In breve si è passati da Kafka a un romanzo giallo che, se non fosse per la montagna di documenti e registrazioni audio e video di Mauro, sembrerebbe frutto di una fervida fantasia. Che però diventa realtà nei giorni successivi all’udienza irregolare di Alessio, fortunatamente sventata. Il piccolo va da papà, pochi giorni dopo, per passare le solite quattro ore scarse assieme. E mentre sono assieme parla, racconta. E con le sue parole apre uno spiraglio verso una verità allucinante... Alessio parla. E non è un grande evento, ha cominciato a parlare già da un pezzo e a sette anni si esprime già come un ometto. E questo comincia a essere un problema aggiuntivo per chi, nel suo “superiore interesse”, vuole usarlo come arma. “Io credevo che erano tutti uomini”, dice la prima volta che si ritrova con papà Mauro. “Chi, puzzettone di papà?”. “I giudici!” risponde Alessio, stupito che babbo non lo capisca alla prima. Mauro sorride: “è vero, anch’io alla tua età credevo che erano solo uomini, invece sono anche donne, hai visto?”. “Sì sì... gli ho detto quello che mi ha detto mamma...”. Mauro ha un tremito e subito spera che Alessio non l’abbia sentito, visto che stanno passeggiando mano nella mano al parco. “Ah sì? In che senso, puzzettone?”, chiede al piccolo, cercando di mantenere il controllo. Alessio parla. E dice a chiare lettere che quando papà è entrato nella stanza insieme a quegli altri due adulti (l’avvocato e l’assistente sociale), stava recitando a quelle signore giudici le cose che la mamma gli aveva insegnato a dire. Tutte, una ad una. Mauro gli chiede con gentilezza se gli va di ripeterle anche a lui. “No, la mamma ha detto che devo dirle solo ai giudici”, risponde il piccolo, serio serio. Mauro non insiste. D’altra parte è un dettaglio minimo, ci vuole poco a immaginare cosa Gaia abbia ammaestrato Alessio a dire. Il difficile sarebbe stato utilizzare questa condotta alienante nell’ambito del procedimento di lite tra lui e la madre di Alessio, per garantire a quest’ultimo di non stare più nelle grinfie di lei. Difficile quello, ma difficile anche tutto il resto. Qualche giorno Mauro dopo riceve una telefonata dal suo avvocato: “riesci a passare un attimo? E’ arrivata copia del verbale di quella specie di audizione di Alessio”. Mauro si aspetta di tutto, compreso che abbiano verbalizzato qualche falsità. Dopo la sparizione del faldone è tutto possibile. “Guarda un po’”, gli chiede poi il legale, mettendogli sotto il naso la copia del verbale di quel giorno e un altro verbale precedente. Entrambi firmati dalla stessa giudice, quella che avrebbe chiesto di punto in bianco l’audizione del piccolo. “Noti niente?”. Mauro legge e rilegge ma non trova nulla di anomalo. Anche se in “avvocatese”, il verbale è corretto, non ci sono stranezze. “Guarda bene”, lo esorta l’avvocato, indicandogli nello specifico le firme dei due documenti. “Ma sono diverse!”, si illumina Mauro, dopo averle esaminate con attenzione. “Sì, pare anche a me. Ce li hai i soldi per pagare un esperto grafologo? Costa un botto però”. Mauro pensa un po’: “no, non li ho ma li trovo se serve”. “Tutto serve, in queste situazioni”, gli dice il legale. La mazzata arriva: millecinquecento euro per un documento che certifica che sì, le due firme sono state vergate da mano diversa. E’ dunque molto probabile che la giudice che ha ordinato l’audizione di Alessio non sia la stessa che ha firmato il verbale di quella stessa audizione. Qualcun altro l’ha fatto per lei.Guardando il referto del grafologo, l’avvocato conferma: “ho un po’ chiesto ad alcune conoscenze in tribunale... nel periodo dell’audizione di Alessio, quella giudice era in ferie, in Cina”. Ormai la sensazione che qualcosa di poco chiaro stia avvenendo in tribunale sta diventando reale e angoscioso. Che succede in quegli uffici? Che c’entrano Alessio, Mauro, Gaia e la loro vicenda assurda? Non è difficile: da un lato c’è un’alcolizzata che aliena il figlio dal padre e non gli garantisce una vita serena e dignitosa, dall’altro c’è un uomo che si è reinventato padre, e l’ha fatto alla grande, con tutte le capacità, asseverate da ben due percorsi di verifica della capacità genitoriale, più un terzo in corso, di garantire al bambino una crescita equilibrata. Alle spalle fior di assoluzioni per le accuse farlocche presentate da Gaia, e di contro percorsi di disintossicazione da cui lei si è sottratta. Cosa osta all’affido e al collocamento del minore presso Mauro? Qualcosa di grosso, gli confida una delle assistenti sociali che fino a quel momento hanno seguito la vicenda. Qualcosa di molto grosso. Si profila un vero e proprio conflitto. “Resti fra noi”, gli dice un giorno una di loro, “ma il cancelliere del tribunale, quello che avete visto andare via con la sua ex compagna in auto, ha preso di petto la nostra coordinatrice e...”. La donna esita, ha paura. Mauro la prega gentilmente di continuare, di non dimenticarsi che in ballo c’è il benessere di un bambino. “Ecco...”, riprende la donna, “il cancelliere ha detto testualmente alla nostra coordinatrice: non doveva interrompere l’audizione del minore, ora con lei apro una guerra“. Mauro è affranto. Si è sempre detto peste e corna dei servizi sociali. Lui fino a quel momento ha trovato professionisti attenti, saggi, misurati, seri. Una guerra tra tribunale e servizi sociali è l’ultima cosa che serve a lui e soprattutto ad Alessio. A parti invertite un uomo sarebbe stato crocefisso. Anche perché non ci vuole molto perché la guerra si ampli. E per qualche motivo lui stesso viene coinvolto. Sì perché il tribunale ancora aveva da evadere ben 38 querele che Mauro aveva depositato ex articolo 388 del Codice Penale: mancato rispetto del diritto di visita. Tutte a carico di Gaia: 38 querele che rappresentano un 5% delle volte che gli ha negato Alessio. A parti invertite un uomo sarebbe stato crocefisso dalla magistratura. Invece... Poco dopo la confessione dell’assistente sociale arriva una comunicazione all’avvocato di Mauro: tutte le querele sono state archiviate in blocco. Un colpo solo e zac! non esistono più. Motivo? Dice: “l’accordo tra le parti non è stato recepito dal Tribunale dei Minori”.Ma quale “accordo tra le parti”? Si trattava di un decreto esecutivo del tribunale civile! Come può un decreto esecutivo non essere recepito? L’avvocato di Mauro allarga le braccia. “Questa cosa è gigantesca per la sua irregolarità... non so che pesci prendere”. Fare opposizione all’archiviazione a che servirebbe? Se il decreto non è stato recepito, non è stato recepito, punto. Verrebbe archiviato tutto di nuovo. Anomalo, distorto, assurdo, ma è così. E se qualcosa si può fare, e a questo punto si deve fare, Mauro la farà. Così chiede appuntamento nientemeno che al Presidente del Tribunale dei Minori. Dopo di che attende. E mentre attende, Alessio parla ancora, svelando il probabile motivo per cui la guerra del cancelliere contro i servizi sociali ha finito per coinvolgere Mauro stesso. “Ieri siamo andati a prendere un gelato con mamma e Luigi”, dice il piccolo. Mauro sgrana gli occhi, respira profondo. “E chi è Luigi?”. La scoperta è sconvolgente e spiega molte molte cose.Lo dice con lo stomaco stretto. Non perché sia geloso, non gli importa nulla con chi si vede Gaia. Gli importa un po’ che uomo eventualmente Alessio è costretto a frequentare, quello sì. Ma a farlo tremare è un’altra cosa. Quel signor Luigi ha lo stesso nome di battesimo di una persona che conosce. Che conosce fin troppo bene. Ma non può essere, dai, è una coincidenza. Però, giusto per verificare, decide di fare qualcosa che non pensava avrebbe mai fatto. Si apposta davanti alla casa di Gaia per qualche sera. Alla terza vede finalmente il sig. Luigi, e ha la prova che quando si apre l’inferno le coincidenze non esistono mai. Questo pensa mentre vede salire le scale dell’appartamento di Gaia proprio lui, il cancelliere del tribunale, che di nome fa Luigi. La scoperta è sconvolgente e spiega molte molte cose. Resta da capire se anche quella vada raccontata al Presidente del tribunale, che finalmente gli dà appuntamento. Una volta sedutogli di fronte, Mauro vuota il sacco. Tutto in una volta, dall’inizio alla fine, compresa la tresca che il cancelliere attualmente ha con la sua ex compagna, nonché madre di suo figlio. Confida nella sensibilità del Presidente e anche nel suo desiderio di evitare uno scandalo. Ma, fidandosi fino a un certo punto, ovviamente registra il colloquio. Le voci sono state alterate per renderle irriconoscibili C’è tanta umanità nello sfogo di Mauro. Un’umanità paterna profonda e frustrata. Il Presidente ascolta tutto con pazienza, senza scomporsi nemmeno di fronte alla questione della relazione del suo cancelliere con Gaia, ma nemmeno per il problema dell’alcolismo e della dipendenza da psicofarmaci della donna. Sembra impermeabile a qualunque bruttura, se si tratta di mettere in discussione la madre. Mauro negli ultimi cinque anni ha passato di tutto, sempre sotto attacco, privato spessissimo di Alessio. Il presidente, davanti all’ipotesi che Gaia sia davvero alcolista (ancora nutre dei dubbi, nonostante le ripetute relazioni dei servizi sociali???), non dice: le togliamo il bambino e lo diamo al padre. No, al massimo si manda la signora al SERT. Durante la registrazione si sente anche il presidente trasformarsi in Ponzio Pilato e dire “io non entro nel dettaglio”. E dove altro mai dovrebbe entrare un presidente di tribunale?

Mauro non nasconde nemmeno le diverse anomalie procedurali, nate probabilmente da un’azione non del tutto limpida messa in pratica dal cancelliere, il famoso Luigi. Il presidente qui vacilla. Lo si sente accennare a una difesa piuttosto inerme (“eh, ma noi...”, “guardi eeeehhh...”). Resta senza parole però di fronte all’evidenza che tutti quegli errori formali sono stati (che caso!) a senso unico, contro Mauro e basta, ma soprattutto contro Alessio, alla faccia dell’interesse del minore. Le voci sono state alterate per renderle irriconoscibili Il pregiudizio è chiaro, così come la tattica usuale. Nella realtà c’è una madre indegna e alienante che attacca il padre in ogni modo possibile e priva il figlio del suo diritto a frequentarlo. Nella lettura del presidente del tribunale, però, si tratta di “conflittualità genitoriale”, come se Mauro avesse qualche volta attaccato Gaia e non si fosse solo difeso. Anzi, allude, forse il problema è Mauro, che non tollera di sentirsi messo in discussione da denunce prive di fondamento! Poi il presidente apparentemente lo tranquillizza: si occuperà della questione. Ha un tono pacato e sembra davvero mirare a diminuire la tensione nella coppia. Ma il sottotesto è un altro e sulle prime Mauro non lo capisce. Dietro il violoncello della voce del presidente ci sono unghie che stridono su una lavagna: se i genitori non la smettono di litigare il tribunale dovrà trovare soluzioni per il bene del bambino. Ovvero: casa-famiglia e business correlato. In altre parole: Mauro si metta quieto e accetti la maternal preference del tribunale, rafforzata ora dalla relazione di un cancelliere con la sua ex, altrimenti il bambino non lo vede più nessuno dei due. Le voci sono state alterate per renderle irriconoscibili A Mauro il Presidente sembra sincero, non capisce subito il messaggio sottinteso alle sue parole. Il tutto viene verbalizzato in modo molto blando, con un testo inutilizzabile e poco fedele, ma Mauro non si stupisce: così si fa in quell’ambiente. Resta fermo sugli impegni che ha ascoltato, dunque affronta sollevato l’ultimo passaggio previsto dal suo terzo percorso di verifica dell’idoneità genitoriale: la visita in casa di servizi sociali e psicologhe, alla presenza del piccolo Alessio. E’ la terza volta che accade, appunto. In passato Alessio era più piccolo e in ogni caso è sempre andata bene. Ma stavolta, a sette anni, c’è un elemento in più, sempre lo stesso: Alessio parla. Parla alla grande. Mentre Mauro gironzola attorno a casa per non inquinare il colloquio del bambino con le specialiste, anche Alessio vuota il sacco, come forse non aveva mai fatto prima. Il primo inciampo per Mauro è la richiesta di seguire un altro percorso di verifica dell’idoneità genitoriale. “Un altro?”, protesta al tribunale, assieme all’avvocato. In effetti ne ha già passati due con pieno successo, che bisogno c’è di fargliene fare un terzo? “Le condizioni sono cambiate, il bambino intanto è cresciuto”, si giustificano. Mauro non perde né ottimismo né determinazione e accetta di sottoporsi a test, prove e colloqui. Sa il fatto suo, sa quanto bene Alessio ormai gli voglia. L’unico timore è che, stante la situazione di sostanziale vantaggio, si debba attendere ancora prima che gli venga affidato, togliendolo a una madre che ormai numerose carte descrivono come inadeguata. Ad aggiungere peso al dato di fatto ci si mettono prima l’asilo poi anche la scuola. Guardando la pagella di Alessio, Mauro si accorge dell’alto numero di assenze. Vorrebbe chiedere a Gaia il motivo, visto che è lei a gestirlo al mattino tre o quattro volte a settimana e che proprio in quei giorni il bambino si assenta, ma evita. Ne sortirebbe l’ennesima lite improduttiva. Visto che l’affido direttivo è in capo ai servizi sociali, non può far altro che segnalare il problema a loro. E anche loro cadono dalle nuvole: tante assenze così denotano o frequenti problemi di salute o qualche altro tipo di problema, che va scoperto. Come prima cosa vanno dalle maestre di Alessio per chiedere un parere. Lo fanno con scetticismo: le insegnanti non si impicciano quasi mai con i servizi sociali, non vogliono problemi, preferiscono starne fuori. Le insegnanti non si impicciano quasi mai. Stavolta invece no, parlano. Parlano eccome. E come se non bastasse, mettono pure per iscritto. Alessio, quando torna dopo le assenze, dice che è la mamma che non si sveglia al mattino. Non solo: più volte la scuola chiama a casa per sapere come mai il bambino non è in classe e la voce che risponde dall’altra parte raramente è lucida e consapevole. Quando lo è, passa repentinamente da scuse piagnucolate a risate isteriche, passando per toni aggressivi improvvisi all’indirizzo delle insegnanti. Impossibile ragionare con quella donna. E intanto le assenze non giovano al rendimento di Alessio che, pur se dotato di un’intelligenza viva, comincia ad avere numerose difficoltà .Mauro è preoccupatissimo da un lato, ma dall’altro non nasconde che questo potrebbe essere il “colpo di grazia” capace di salvare suo figlio da una gestione scellerata, che lo sta danneggiando nell’equilibrio emotivo così come nella costruzione del suo futuro. Con questa spinta termina nuovamente con pieno successo il suo secondo percorso di verifica delle capacità genitoriali e pieno di ottimismo si predispone a tutti i passi successivi. Le carte in regola ci sono, non dovrebbero più esserci ostacoli. Ingenuamente Mauro dimentica di essere un uomo e un padre, e di essere in Italia. Le assenze non giovano al rendimento. Poco dopo viene infatti informato che l’avvocato di Gaia ha chiesto formalmente che l’affido direttivo venga tolto ai servizi sociali, forse troppo rigorosi e scomodi nel riportare la situazione per quella che è, conferendolo nuovamente alla madre. Una faccia tosta, indubbiamente, ma fa il suo gioco, pensa Mauro. Ci sta. Ha pochissime carte in mano ed è normale che provi il tutto per tutto. Una donna ha sempre motivo di provarci, sa di essere sempre in vantaggio. Gaia stessa ne aveva, visto che l’ultima volta, pur certificando la sua inadeguatezza, il tribunale aveva decretato (in un’udienza sola e senza contraddittorio, cosa che non poteva fare) che Alessio doveva restare con lei. Per prepararsi alla battaglia, Mauro va allora al Tribunale dei Minori e chiede l’accesso agli atti relativi al suo caso, in special modo a riguardo del percorso di disintossicazione alcolica cui Gaia doveva sottoporsi, e a cui si è ovviamente sottratta. Adducendo motivi di privacy, il Tribunale non gli concede l’accesso agli atti. Foto originale scattata al momento del deposito. Quello sotto, con copertina nera, è il faldone che poi verrà smarrito. Parte da quel momento un altro giro di carte che, di nuovo, mette tutto in discussione: pochi giorni dopo Mauro viene a sapere per caso che c’è un procedimento a suo carico. Un altro, l’ennesimo. Partito da “dichiarazioni spontanee” di Gaia che in luglio lamentava la sua paura di non poter contattare Alessio durante le vacanze d’agosto, quando sarebbe stato con il padre. “Ho il fondato timore che lo sottragga dichiara alla Polizia. La Procura, senza chiedere nulla a nessuno (servizi sociali, avvocato di Mauro), fa partire il procedimento tre giorni dopo. Un procedimento preventivo, visto che agosto deve ancora arrivare. “Mai vista una cosa simile”, dice il legale di Mauro. Ma non c’è strada, bisogna sottostare, salvo presentare l’ennesima denuncia per calunnia. Il faldone fondamentale ovviamente non si trova L’udienza è fissata per il 18 agosto. Mauro vorrebbe depositare tutta la memoria e i documenti a suo tempo usati per la denuncia dei “riti magici”. Due faldoni di roba che spiegano bene bene che tipo è Gaia, con prove e certificati. Ne fa richiesta, attende a lungo, poi arriva la risposta: uno dei due faldoni, ovviamente quello fondamentale, non si trova, è andato smarrito. Quel faldone contiene prove che non si tratta di “conflittualità tra genitori”, ma di una madre inadeguata che attacca continuamente un padre, il quale viene continuamente assolto e continuamente tormentato e impedito nella relazione col figlio. Le proteste davanti alla giudice minorile non servono a nulla: “questo tanto non c’entra niente”, dice. Lei già sa, senza aver letto i documenti del faldone che non c’è, che si tratta di conflittualità tra genitori, il suo pregiudizio è solido, quindi chissenefrega del faldone. Mauro, come sempre, registra tutto. Mauro capisce che non serve lamentarsi e arrabbiarsi. Serve darsi da fare, serve solo del lavoro in più, e Mauro lo fa, insieme al suo legale. Scrivono di notte, raccolgono documenti, e depositano in tempo una memoria difensiva che quasi per sfizio Mauro decide di consegnare sigillata. Uno sfizio utile, alla fine. Il giorno dell’udienza e della sentenza, la memoria giace sul tavolo del giudice, a pochi centimetri da Mauro e dal suo avvocato. Il sigillo è intatto, il magistrato non l’ha nemmeno aperta. Ma è rapido nell’aprire il formulario dove scriverà la sentenza: Mauro, come richiesto dall’avvocato di Gaia, deve seguire un altro percorso di verifica della capacità genitoriale, il terzo. Sarebbe da ridere se non fosse tragico, ma per la terza volta Mauro dovrà dimostrare davanti a strizzacervelli vari di essere un buon padre. Ne ha già fatti due, con pieno successo, ma non basta per togliere un bambino a una donna alcolista e darlo a un padre amorevole. Gaia invece no, non dovrà fare nulla. Il sigillo è intatto, il magistrato non l’ha nemmeno aperta. Sembra folle, ma di fatto le richieste di Gaia vengono tutte accolte dal giudice. Che, cosa del tutto irrituale, indica anche esplicitamente il nome della psicologa che dovrà verificare la capacità genitoriale di Mauro. A lui quel nome non suona nuovo, ma non riesce a mettere a fuoco. Al primo incontro capirà: nella dottoressa che lo attende riconosce una conoscente di Gaia. Più che una verifica dell’idoneità genitoriale è un’imboscata, e il sospetto è che sia stato tutto preparato fin dalla sentenza del giudice. Per questo gira i tacchi e se ne va, chiedendo al suo avvocato di ricusare la psicologa e chiedere l’assegnazione di un’altra specialista. Ma tutte queste coincidenze, lo smarrimento dei documenti, le procedure irrituali, puzzano di bruciato. E di cose bruciate ce ne saranno molte, a partire dal benessere di Alessio....Mauro supera di slancio anche il terzo percorso di verifica delle capacità genitoriali. Capirai, ormai è uno scherzo, è diventato un veterano e sa come fare. Senza contare che è ormai palese quanto egli sia idoneo a fare il genitore. Un’idoneità che però Gaia, la sua ex compagna e madre di Alessio, non vuole verificare, nonostante le insistenze dei servizi sociali. Si sottrae a qualunque tipo di percorso, incluso quello che dovrebbe aiutarla a uscire dalla dipendenza dall’alcol. Nessuno le dice niente, nessuno la obbliga o prende provvedimenti, considerato che il piccolo sta con lei, e questo alimenta il suo senso di impunità e la forza con cui evita di farsi mettere in discussione. Ma Gaia, supportata dai suoi avvocati e da un intero sistema, non si limita alla difesa. Va anche all’attacco, e ci va a modo suo. E’ così che Mauro scopre per puro caso, un venerdì, che il lunedì Alessio sarà ascoltato dai magistrati del Tribunale dei Minori. Corre agli uffici per chiedere spiegazioni. D’altra parte non è che si può fare un’audizione a un minore così, da un giorno all’altro e senza avvisarne i genitori o i servizi sociali. E invece sì, gli dice una cancelliera: “il magistrato può decidere se sentire il minore oppure no”. Non solo: non è necessaria la presenza di nessuno. “Tanto voi non potete entrare”, dice l’arcigna cancelliera del tribunale. Il bambino lo porterà il genitore con cui sta in quel momento (Gaia) e all’audizione saranno presenti soltanto il giudice titolare e un giudice onorario. Il tutto verrà solo verbalizzato e non registrato. “Ma la legge prevede la registrazione”, protesta Mauro. No no, non si fa dice la cancelliera: sono trent’anni che lavora lì e mai i colloqui giudice-bambini sono stati registrati. Tutto regolare, quindi? No, per Mauro non lo è per niente. Non a caso registra la discussione con la cancelliera:(!) Un’audizione che appare sicuramente anomala, forse anche del tutto irregolare. Resta il problema del preavviso così breve. Mauro scopre che i servizi sociali, in quel momento titolari dell’affido direttivo, non erano stati avvisati. O meglio: un’email era partita, ma al venerdì pomeriggio oltre l’orario di chiusura del servizio. Non fosse stato per la buona volontà di una di loro che, avvisata da Mauro, è corsa a riaprire l’ufficio per leggere l’email, avrebbero avuto la notifica fuori tempo utile. “Però con così poco preavviso non è regolare”, dicono parlando con Mauro. “Anche perché dobbiamo organizzarci, lunedì non abbiamo l’auto per spostarci, non possiamo esserci”. Mauro non ci sta, chiama il proprio legale e insieme organizzano la presenza loro e dei servizi sociali, in un’audizione che appare sicuramente anomala, forse anche del tutto irregolare. Eppure la cancelliera lo ribadisce in modo netto: il bambino viene sentito da solo, senza nemmeno la presenza dei servizi sociali che ne hanno l’affido direttivo. Troppe cose non tornano, così, il lunedì prestissimo di mattina il legale di Mauro fa pervenire al Tribunale una PEC segnalando le varie irregolarità: ci sono protocolli specifici per audire un minorenne, ancor più se di sei anni, ancor meno nei locali del tribunale, in assenza di assistenza psicologica. Con ciò chiede l’annullamento dell’audizione, prevista per le 11. La PEC non riceve risposta. Per essere certo che la diffida arrivi a segno, il legale di Mauro corre in tribunale in grande anticipo e ne deposita Una seconda cartacea. Poco dopo viene raggiunto da Mauro e dai servizi sociali, che presidiano il piano dove dovrebbe avvenire l’audizione, pronti a impedirla con ogni mezzo. Ma alle 11.30 non si è visto ancora nessuno: né il giudice incaricato, né Gaia, né Alessio. Chiedono in giro e una gola profonda del tribunale gli svela che madre e bambino sono stati fatti entrare da un ingresso secondario. Sembra Kafka, ma è realtà: il gruppo si divide per sbirciare nelle stanze e cercare di capire dove abbiano portato il piccolo. E’ il legale di Mauro a scoprirlo: Alessio è seduto tutto imbarazzato davanti a una giudice. A fianco del magistrato, seduta al computer, sta la stessa cancelliera arcigna con cui Mauro aveva parlato tre giorni prima e che per procedura non avrebbe dovuto trovarsi lì (lei stessa aveva detto a Mauro che ci sarebbero stati un giudice togato, più uno onorario e basta). Mauro, il suo legale e due rappresentanti dei servizi sociali fanno a quel punto irruzione. La cancelliera salta su intimando che non possono interrompere l’audizione e cerca di mandare via tutti, compresi i servizi sociali, sebbene detentori dell’affido direttivo. Alla fine, di fronte agli articoli di legge citati dall’avvocato di Mauro, il magistrato cede e li fa accomodare, dopo aver chiesto a Gaia di portare via Alessio. I servizi sociali chiedono e ottengono l’immediata interruzione dell’audizione. Rimasti soli con i magistrati, i servizi sociali e l’avvocato di Mauro cominciano a riscontrare tutte le anomalie, chiedendo che vengano messe a verbale. Tanto per cominciare nessuno ha letto i due ricorsi depositati in mattinata dall’avvocato di Mauro, sebbene il giudice togato subito avesse risposto di averlo visto. A una verifica approfondita, poi, lo stesso togato che presiede l’audizione non ha i requisiti per condurre l’audizione con un minore. Un disastro davanti al quale nessuno, nemmeno l’accanita cancelliera, può nulla. I servizi sociali chiedono e ottengono l’immediata interruzione dell’audizione. La verbalizzazione dellʼopposizione dei Servizi Sociali allʼaudizione (estratto dal verbale originale) Gaia, nel frattempo, stizzita si prende Alessio e sparisce con il suo avvocato nei corridoi del tribunale. Mauro è incredulo per ciò che ha visto. Il suo legale e i servizi sociali, pur abituati un po’ a tutto, non sono da meno. Escono insieme dal tribunale, in silenzio. Probabilmente pensando a quello che sta passando il piccolo, sballottato così tra estranei e situazioni che non sa gestire psicologicamente. “Guardate un po’ là...”, sbotta Mauro appena usciti dal palazzo. Indica un gruppo di persone che sta salendo su un’auto. Sono Gaia e il suo avvocato, insieme ad Alessio e a un altro uomo. “Porca miseria”, sbotta l’avvocato di Mauro, che lo guarda interrogativo. “Che c’è?”. “Sai chi è quell’uomo?”. “No, chi è?”. “Un cancelliere del tribunale. Un superiore della cancelliera che c’era oggi con Alessio e la giudice. E quella è la sua auto”. Mauro e le operatrici dei servizi sociali rimangono a bocca aperta, mentre l’auto si allontana.

 In breve si è passati da Kafka a un romanzo giallo.

Tutto anomalo, tutto al limite dell’incredibile e del mai visto. Che ci facevano Gaia e il suo legale in macchina con un boss dei cancellieri? Perché ha provato il “colpo di mano” dell’audizione di Alessio in quel modo irregolare e il tribunale dei minori le è andato dietro? In breve si è passati da Kafka a un romanzo giallo che, se non fosse per la montagna di documenti e registrazioni audio e video di Mauro, sembrerebbe frutto di una fervida fantasia. Che però diventa realtà nei giorni successivi all’udienza irregolare di Alessio, fortunatamente sventata. Il piccolo va da papà, pochi giorni dopo, per passare le solite quattro ore scarse assieme. E mentre sono assieme parla, racconta. E con le sue parole apre uno spiraglio verso una verità allucinante... Alessio parla. E non è un grande evento, ha cominciato a parlare già da un pezzo e a sette anni si esprime già come un ometto. E questo comincia a essere un problema aggiuntivo per chi, nel suo “superiore interesse”, vuole usarlo come arma. “Io credevo che erano tutti uomini”, dice la prima volta che si ritrova con papà Mauro. “Chi, puzzettone di papà?”. “I giudici!” risponde Alessio, stupito che babbo non lo capisca alla prima. Mauro sorride: “è vero, anch’io alla tua età credevo che erano solo uomini, invece sono anche donne, hai visto?”. “Sì sì... gli ho detto quello che mi ha detto mamma...”. Mauro ha un tremito e subito spera che Alessio non l’abbia sentito, visto che stanno passeggiando mano nella mano al parco. “Ah sì? In che senso, puzzettone?”, chiede al piccolo, cercando di mantenere il controllo. Alessio parla. E dice a chiare lettere che quando papà è entrato nella stanza insieme a quegli altri due adulti (l’avvocato e l’assistente sociale), stava recitando a quelle signore giudici le cose che la mamma gli aveva insegnato a dire. Tutte, una ad una. Mauro gli chiede con gentilezza se gli va di ripeterle anche a lui. “No, la mamma ha detto che devo dirle solo ai giudici”, risponde il piccolo, serio serio. Mauro non insiste. D’altra parte è un dettaglio minimo, ci vuole poco a immaginare cosa Gaia abbia ammaestrato Alessio a dire. Il difficile sarebbe stato utilizzare questa condotta alienante nell’ambito del procedimento di lite tra lui e la madre di Alessio, per garantire a quest’ultimo di non stare più nelle grinfie di lei. Dopo la sparizione del faldone è tutto possibile. Difficile quello, ma difficile anche tutto il resto. Qualche giorno Mauro dopo riceve una telefonata dal suo avvocato: “riesci a passare un attimo? E’ arrivata copia del verbale di quella specie di audizione di Alessio”. Mauro si aspetta di tutto, compreso che abbiano verbalizzato qualche falsità. Dopo la sparizione del faldone è tutto possibile. “Guarda un po’”, gli chiede poi il legale, mettendogli sotto il naso la copia del verbale di quel giorno e un altro verbale precedente. Entrambi firmati dalla stessa giudice, quella che avrebbe chiesto di punto in bianco l’audizione del piccolo. “Noti niente?”. Mauro legge e rilegge ma non trova nulla di anomalo. Anche se in “avvocatese”, il verbale è corretto, non ci sono stranezze. “Guarda bene”, lo esorta l’avvocato, indicandogli nello specifico le firme dei due documenti. “Ma sono diverse!”, si illumina Mauro, dopo averle esaminate con attenzione. “Sì, pare anche a me. Ce li hai i soldi per pagare un esperto grafologo? Costa un botto però”. Mauro pensa un po’: “no, non li ho ma li trovo se serve”. “Tutto serve, in queste situazioni”, gli dice il legale. La mazzata arriva: millecinquecento euro per un documento che certifica che sì, le due firme sono state vergate da mano diversa. E’ dunque molto probabile che la giudice che ha ordinato l’audizione di Alessio non sia la stessa che ha firmato il verbale di quella stessa audizione. Qualcun altro l’ha fatto per lei.

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  Si profila un vero e proprio conflitto.
Guardando il referto del grafologo, l’avvocato conferma: “ho un po’ chiesto ad alcune conoscenze in tribunale... nel periodo dell’audizione di Alessio, quella giudice era in ferie, in Cina”. Ormai la sensazione che qualcosa di poco chiaro stia avvenendo in tribunale sta diventando reale e angoscioso. Che succede in quegli uffici? Che c’entrano Alessio, Mauro, Gaia e la loro vicenda assurda? Non è difficile: da un lato c’è un’alcolizzata che aliena il figlio dal padre e non gli garantisce una vita serena e dignitosa, dall’altro c’è un uomo che si è reinventato padre, e l’ha fatto alla grande, con tutte le capacità, asseverate da ben due percorsi di verifica della capacità genitoriale, più un terzo in corso, di garantire al bambino una crescita equilibrata. Alle spalle fior di assoluzioni per le accuse farlocche presentate da Gaia, e di contro percorsi di disintossicazione da cui lei si è sottratta. Cosa osta all’affido e al collocamento del minore presso Mauro?

Qualcosa di grosso, gli confida una delle assistenti sociali che fino a quel momento hanno seguito la vicenda. Qualcosa di molto grosso. Si profila un vero e proprio conflitto. “Resti fra noi”, gli dice un giorno una di loro, “ma il cancelliere del tribunale, quello che avete visto andare via con la sua ex compagna in auto, ha preso di petto la nostra coordinatrice e...”. La donna esita, ha paura. Mauro la prega gentilmente di continuare, di non dimenticarsi che in ballo c’è il benessere di un bambino. “Ecco...”, riprende la donna, “il cancelliere ha detto testualmente alla nostra coordinatrice: non doveva interrompere l’audizione del minore, ora con lei apro una guerra“. Mauro è affranto. Si è sempre detto peste e corna dei servizi sociali. Lui fino a quel momento ha trovato professionisti attenti, saggi, misurati, seri. Una guerra tra tribunale e servizi sociali è l’ultima cosa che serve a lui e soprattutto ad Alessio. A parti invertite un uomo sarebbe stato crocefisso. Anche perché non ci vuole molto perché la guerra si ampli. E per qualche motivo lui stesso viene coinvolto. Sì perché il tribunale ancora aveva da evadere ben 38 querele che Mauro aveva depositato ex articolo 388 del Codice Penale: mancato rispetto del diritto di visita. Tutte a carico di Gaia: 38 querele che rappresentano un 5% delle volte che gli ha negato Alessio. A parti invertite un uomo sarebbe stato crocefisso dalla magistratura. Invece... Poco dopo la confessione dell’assistente sociale arriva una comunicazione all’avvocato di Mauro: tutte le querele sono state archiviate in blocco. Un colpo solo e zac! non esistono più. Motivo? Dice: “l’accordo tra le parti non è stato recepito dal Tribunale dei Minori”.Ma quale “accordo tra le parti”? Si trattava di un decreto esecutivo del tribunale civile! Come può un decreto esecutivo non essere recepito? L’avvocato di Mauro allarga le braccia. “Questa cosa è gigantesca per la sua irregolarità... non so che pesci prendere”. Fare opposizione all’archiviazione a che servirebbe? Se il decreto non è stato recepito, non è stato recepito, punto. Verrebbe archiviato tutto di nuovo. Anomalo, distorto, assurdo, ma è così. E se qualcosa si può fare, e a questo punto si deve fare, Mauro la farà. Così chiede appuntamento nientemeno che al Presidente del Tribunale dei Minori. Dopo di che attende. E mentre attende, Alessio parla ancora, svelando il probabile motivo per cui la guerra del cancelliere contro i servizi sociali ha finito per coinvolgere Mauro stesso. “Ieri siamo andati a prendere un gelato con mamma e Luigi”, dice il piccolo. Mauro sgrana gli occhi, respira profondo. “E chi è Luigi?”. La scoperta è sconvolgente e spiega molte molte cose. Lo dice con lo stomaco stretto. Non perché sia geloso, non gli importa nulla con chi si vede Gaia. Gli importa un po’ che uomo eventualmente Alessio è costretto a frequentare, quello sì. Ma a farlo tremare è un’altra cosa. Quel signor Luigi ha lo stesso nome di battesimo di una persona che conosce. Che conosce fin troppo bene. Ma non può essere, dai, è una coincidenza. Però, giusto per verificare, decide di fare qualcosa che non pensava avrebbe mai fatto. Si apposta davanti alla casa di Gaia per qualche sera. Alla terza vede finalmente il sig. Luigi, e ha la prova che quando si apre l’inferno le coincidenze non esistono mai. Questo pensa mentre vede salire le scale dell’appartamento di Gaia proprio lui, il cancelliere del tribunale, che di nome fa Luigi. La scoperta è sconvolgente e spiega molte molte cose. Resta da capire se anche quella vada raccontata al Presidente del tribunale, che finalmente gli dà appuntamento. Una volta sedutogli di fronte, Mauro vuota il sacco. Tutto in una volta, dall’inizio alla fine, compresa la tresca che il cancelliere attualmente ha con la sua ex compagna, nonché madre di suo figlio. Confida nella sensibilità del Presidente e anche nel suo desiderio di evitare uno scandalo. Ma, fidandosi fino a un certo punto, ovviamente registra il colloquio. C’è tanta umanità nello sfogo di Mauro. Un’umanità paterna profonda e frustrata. Il Presidente ascolta tutto con pazienza, senza scomporsi nemmeno di fronte alla questione della relazione del suo cancelliere con Gaia, ma nemmeno per il problema dell’alcolismo e della dipendenza da psicofarmaci della donna. Sembra impermeabile a qualunque bruttura, se si tratta di mettere in discussione la madre. Mauro negli ultimi cinque anni ha passato di tutto, sempre sotto attacco, privato spessissimo di Alessio. Il presidente, davanti all’ipotesi che Gaia sia davvero alcolista (ancora nutre dei dubbi, nonostante le ripetute relazioni dei servizi sociali???), non dice: le togliamo il bambino e lo diamo al padre. No, al massimo si manda la signora al SERT. Durante la registrazione si sente anche il presidente trasformarsi in Ponzio Pilato e dire “io non entro nel dettaglio”. E dove altro mai dovrebbe entrare un presidente di tribunale? Mauro non nasconde nemmeno le diverse anomalie procedurali, nate probabilmente da un’azione non del tutto limpida messa in pratica dal cancelliere, il famoso Luigi. Il presidente qui vacilla. Lo si sente accennare a una difesa piuttosto inerme (“eh, ma noi...”, “guardi eeeehhh...”). Resta senza parole però di fronte all’evidenza che tutti quegli errori formali sono stati (che caso!) a senso unico, contro Mauro e basta, ma soprattutto contro Alessio, alla faccia dell’interesse del minore. Il pregiudizio è chiaro, così come la tattica usuale. Nella realtà c’è una madre indegna e alienante che attacca il padre in ogni modo possibile e priva il figlio del suo diritto a frequentarlo. Nella lettura del presidente del tribunale, però, si tratta di “conflittualità genitoriale”, come se Mauro avesse qualche volta attaccato Gaia e non si fosse solo difeso. Anzi, allude, forse il problema è Mauro, che non tollera di sentirsi messo in discussione da denunce prive di fondamento! Poi il presidente apparentemente lo tranquillizza: si occuperà della questione. Ha un tono pacato e sembra davvero mirare a diminuire la tensione nella coppia. Ma il sottotesto è un altro e sulle prime Mauro non lo capisce. Dietro il violoncello della voce del presidente ci sono unghie che stridono su una lavagna: se i genitori non la smettono di litigare il tribunale dovrà trovare soluzioni per il bene del bambino. Ovvero: casa-famiglia e business correlato. In altre parole: Mauro si metta quieto e accetti la maternal preference del tribunale, rafforzata ora dalla relazione di un cancelliere con la sua ex, altrimenti il bambino non lo vede più nessuno dei due. A Mauro il Presidente sembra sincero, non capisce subito il messaggio sottinteso alle sue parole. Il tutto viene verbalizzato in modo molto blando, con un testo inutilizzabile e poco fedele, ma Mauro non si stupisce: così si fa in quell’ambiente. Resta fermo sugli impegni che ha ascoltato, dunque affronta sollevato l’ultimo passaggio previsto dal suo terzo percorso di verifica dell’idoneità genitoriale: la visita in casa di servizi sociali e psicologhe, alla presenza del piccolo Alessio. E’ la terza volta che accade, appunto. In passato Alessio era più piccolo e in ogni caso è sempre andata bene. Ma stavolta, a sette anni, c’è un elemento in più, sempre lo stesso: Alessio parla. Parla alla grande. Mentre Mauro gironzola attorno a casa per non inquinare il colloquio del bambino con le specialiste, anche Alessio vuota il sacco, come forse non aveva mai fatto prima. Per capire quanto accade a questo punto è necessario dare delle date. Non per forza quelle vere, saranno inventate, solo per capire. Poniamo allora che il colloquio con il Presidente del Tribunale dei Minori avvenga il 6 giugno. Il 8 giugno c’è la visita in casa di Mauro delle due psicologhe e dell’assistente sociale per il colloquio con Alessio e la relativa chiusura del terzo percorso di verifica dell’idoneità genitoriale. Le tre si posizionano in salotto, mentre Mauro se ne resta a distanza, gironzolando nel giardino e nei dintorni. Naturalmente ha posizionato un registratore nella stanza. Le tre donne sono in gamba, professionali, serie, sanno come condurre un colloquio del genere. Giocano con Alessio e intanto lo fanno parlare. E, come già detto più volte, ormai Alessio parla. Parla alla grande. E a quelle tre signore, mentre mostra i suoi giochi, la sua stanza, la piscina, dice con grande tranquillità, ripetendolo ben quattro volte, che la mamma beve. Beve e, se lui non dice ai giudici e agli altri quello che lei gli insegna a dire, lo “mena”. “Dato che mamma beve...” E anche la nonna materna. Sono sempre mezze addormentate, dice, e lui si annoia e si sente solo quand’è con loro. Non nasconde nemmeno che non gli piace l’odore che c’è in casa di mamma. “Beh, però ora dimmi qualcosa che ti piace quando sei con mamma”, lo stimola la psicologa. Alessio non ha esitazioni: “spesso non si sveglia al mattino, così io sto a casa e gioco... quello è bello”, dice ridacchiando come un monello. Le tre si guardano interdette. Una di loro scrive freneticamente su un taccuino. “E comunque basta che non disturbo e tutto va bene”, aggiunge, smettendo di ridacchiare. “Finché non dai fastidio, è tutto a posto” “E poi c’è Luigi”, aggiunge il piccolo, quasi rispondendo a una domanda che aleggiava nelle menti delle tre, ma faticava a venir fuori. Sanno che si tratta del cancelliere del Tribunale dei Minori. Quello che ha dichiarato guerra alla coordinatrice dei servizi sociali, riuscendo a farla sottoporre a un richiamo formale. Quello che, di fatto, ha dichiarato guerra anche a Mauro e, indirettamente, anche ad Alessio. “Come ti trovi con lui?”. Il piccolo ci pensa un po’ prima di rispondere, poi fa spallucce. “Boh...”. “Come boh?”, sorride la psicologa. “Non lo so... ogni tanto usciamo, ma parla sempre con la mamma. E lei non beve quando è con lui. E lui quando viene a casa si chiude in camera con la mamma... Io resto con la nonna, che però dorme sempre”. Altro sguardo incrociato tra le specialiste, altre righe scritte rapidamente sul taccuino. A quelle signore piace ascoltare e scrivere, pensa Alessio. Per farle contente gli racconta anche (a loro può, ne è sicuro) cosa la mamma gli aveva insegnato e chiesto di dire ai giudici qualche tempo prima. Una specie di recita... Le tre si guardano e una scrive, scrive, scrive... Chissà se a sentire queste parole qualcuna di loro si è interrogata sull’esistenza di quella condotta di alienazione parentale di cui alcuni ancora mettono in dubbio l’esistenza. “Si inventa delle storie su papà” “Mamma accusa papà di alcune cose che non fa” “Un piano per non farmi vedere papà” Poi arrivano le domande su come sta con papà e altre parole si aggiungono agli appunti, altri sguardi vengono scambiati. Durante quel colloquio, mano a mano che passavano i minuti Alessio veniva virtualmente strappato dalle mani incapaci e dannose di Gaia per venire finalmente e definitivamente consegnato a quelle sicure di Mauro. “Com’è andata?”, chiede quest’ultimo, quando rientra in casa, avvisato dalle tre che il colloquio era terminato. “Bene, bene”, lo rassicurano con un sorriso. Lo stesso sorriso già visto altre due volte in precedenza, alla fine degli altri percorsi di verifica dell’idoneità genitoriale. Conoscendo la procedura, Mauro sa che tempo due-tre giorni e la relazione della commissione sarebbe stata sui tavoli del Tribunale dei Minori e che una decisione ne sarebbe scaturita. Se davvero il Presidente era stato sincero durante il suo colloquio, pensava Mauro, la decisione era quasi scontata. La caduta del sole sorgente. E’ qui che prende vita uno di quei momenti che rappresentano uno spartiacque nell’esistenza delle persone. In questo caso di Mauro ma soprattutto di Alessio. E sono momenti spesso traumatici perché il disegno dell’insieme che una persona si era figurato in mente, magari fidandosi dei fatti o delle parole altrui, si scopre essere del tutto immaginario. Un po’come fissare il levante di notte, captare il crepuscolo che precede l’alba, intuire il primo segmento della circonferenza del sole fare capolino oltre l’orizzonte, già godersi l’arrivo della luce e del calore e, sul più bello, veder il sole sparire nuovamente, cadere dietro, in fondo, ripristinando la tenebra. Questo è il momento che accade: la caduta del sole sorgente, la tenebra di nuovo per Mauro e per Alessio. Tre giorni dopo la visita delle specialiste, Mauro riceve una telefonata del legale: “vieni qui, subito!”. Mauro corre. Il tono dell’avvocato non pareva raggiante, ma non lo era mai stato, quindi non si fa impressionare. La relazione delle tre specialiste era sicuramente arrivata, Alessio aveva vuotato il sacco (l’aveva sentito nella registrazione), il Tribunale era stato messo con le spalle al muro, sicuro al cento per cento: niente più mamma ubriacona, distratta e malevola per Alessio, ma finalmente un genitore dedito e attento. “Allora, quando mi prendo Alessio?”, scherza Mauro entrando tutto allegro nell’ufficio del legale. Che lo guarda tra il disperato e l’incazzato. “Che c’è?”, chiede Mauro. Ed ecco il buio. Il Tribunale ha revocato il terzo procedimento di verifica della capacità genitoriale. Non serve più, dice, due bastano. Mauro è in panico: “ma come? L’abbiamo concluso tre giorni fa!”. L’avvocato annuisce e gli porge il decreto di revoca. E’ datato 7 giugno. Un giorno dopo il colloquio con il Presidente del Tribunale e due prima della visita delle tre specialiste. Palesemente pre-datato. Mauro crolla sulla sedia, non ci vuole credere. “Ma...”, mormora guardando il suo legale che alza una mano e fa no con la testa. Sa già cosa sta per dire il suo cliente e ha già la risposta: no, non si può far niente. Il manico del coltello e ancora dall’altra parte. Passano i minuti in silenzio. L’avvocato osserva Mauro con il viso rigato di lacrime roventi come lava. Come sempre sono le lacrime silenziose, quelle che mescolano rabbia e dolore. “C’è dell’altro”, dice poi, quando lo vede aver ripreso il controllo. E l’altro è che il Tribunale ha accettato la richiesta di Gaia di attivare una Consulenza Tecnica d’Ufficio e di nominare un Curatore. Entrambi saranno a carico di Mauro, data la differenza salariale tra lui e Gaia. Ormai Mauro è un muro di gomma. Fissa l’avvocato dondolando lievemente avanti e indietro sulla sedia. Assorbe tutto, ingiustizia su ingiustizia. Tace e ingoia, ingoia e tace. “C’è dell’altro”, sospira ancora l’avvocato. Il Tribunale ha ritenuto di ripristinare i tempi di visita di quando Alessio andava all’asilo. Roba di tre anni prima. Significa un paio di ore al pomeriggio, week end esclusi. Significa tornare all’età della pietra, specie ora che la frequentazione era diventata non solo più assidua, ma anche più profonda in termini relazionali.

La terra dove avevi piantato fiori è quella di una trincea.

Sono questi momenti di alba abortita, questi spartiacque atrocemente spiazzanti rispetto alle evidenze e alle aspettative, le uniche cose capaci di generare la reazione alchemica misteriosa che trasforma l’amore in rabbia, la pazienza in determinazione, la sopportazione in perdita totale di freni etici. E allora ti accorgi che la terra dove avevi piantato fiori è quella di una trincea, che gli scoppi che sentivi non erano fuochi d’artificio ma bombe, che quella a cui stavi partecipando non era una festa e nemmeno una vita normale, ma una guerra. Quando te ne rendi conto hai solo due strade: spaventarti, scappare e sparire, oppure prenderne atto, armarti e combattere. Ma sul serio, senza più troppe cavallerie, senza più fiducia in niente e nessuno, come uno che non ha più nulla da perdere. E come uno che non ha nulla da perdere Mauro il giorno dopo irrompe nell’ufficio della coordinatrice dei servizi sociali. Non serve che lei lo guardi con occhi pieni di pietà e di impotenza. Mauro non intende più farsi fregare dalle apparenze e con una manata schianta sotto il naso della donna il decreto del Tribunale dei Minori di revoca del percorso terminato qualche giorno prima. “Lei conosce questo, vero?”. La donna annuisce, senza guardarlo. “Lo sa che è un falso, vero? Che è un trucchetto, un’infamia?”. L’indice di Mauro si abbatte più volte al centro del documento con la potenza di un lampo al centro di un campo e la donna annuisce di nuovo, ma prima lo guarda, per attribuire a lui e solo a lui quelle definizioni così

Le cortesie sono finite.
 Mauro non ha nulla da rimproverare ai servizi sociali. In tutta la storia, e fino a quel momento, sono stati pressoché impeccabili. Forse meno coraggiosi di quanto un padre in attesa di salvare il figlio vorrebbe, ma comunque professionali e seri. Almeno fino a quel momento. “So cosa vi ha detto Alessio durante il colloquio”. La donna deglutisce. “Nonostante la revoca del percorso, non riterreste opportuno relazionale comunque e in modo ufficiale il Tribunale? Stiamo parlando di una donna che fa i propri comodi in presenza del bambino, lo trascura, lo isola, si ubriaca, lo minaccia, lo picchia, lo ustiona, si gonfia di farmaci... Vogliamo fare qualcosa per Alessio, cristiddiooo???”. Non è nel suo stile alzare la voce né imprecare così. Ma è in guerra, non è il momento di andare per il sottile. E non gliene frega un accidenti che l’assistente sociale abbia paura del cancelliere e di quello che può farle passare. Brava, seria, corretta, d’accordo, ma in ballo Mauro ha suo figlio. Le cortesie sono finite, ora si passa a si schiaccia tutto e tutti per salvarlo.

La scenata rabbiosa raggiunge il suo obiettivo. I servizi sociali, insieme alle psicologhe che hanno colloquiato con Alessio, stendono una relazione senza mezzi termini. Non c’è scritto nulla di nuovo: la madre è inidonea, il bambino ha il padre come riferimento, con lui sta bene e con lui dovrebbe stare. Ma è sull’inidoneità di Gaia che la relazione insiste in modo particolare e allarmato. E’ l’unico modo per smuovere qualcosa, e poi questo aveva chiesto Mauro, a costo di apparire banalmente vendicativo. Un giorno dopo aver ricevuto la relazione, il Tribunale ritorna sui propri passi, ma solo per la regolamentazione delle visite: non si torna più ai tempi dell’asilo, ma si riconfermano le modalità di maggiore frequenza stabilite nei tempi recenti. Il resto però rimane valido: curatore e CTU e si riparta da lì. Non si va alla guerra senza alleati di peso. Mauro, lo si è detto, ha capito l’antifona. Non ha più senso fare il romantico e affrontare nudi e armati solo di onore un nemico cattivo e armato fino ai denti. Prima cosa: svincola dei risparmi che teneva fermi da una vita, “per la vecchiaia” diceva. Si fa un viaggio di trecento chilometri per incontrare la maggiore esperta italiana di queste faccende e la copre d’oro purché accetti l’incarico di Consulente Tecnico di Parte. Non si va alla guerra senza alleati di peso. A meno che non si sia donne: Gaia infatti non ritiene necessario dotarsi di CTP. Probabilmente sa già che a sua tutela c’è già la CTU. Non dovrebbe essere così, ma i fatti successivi dimostreranno che da un tribunale deviato difficilmente possono scaturire CTU non altrettanto deviate.

Saputo che Mauro aveva assoldato una CTP molto esperta, anche Gaia alla fine si decide, per sua maggiore tutela, di dotarsi di una consulente d’appoggio. Un’arma in più tra le tante a sua disposizione, di cui sembra far parte, anche se in modo larvato, la CTU del Tribunale. Fin dai primi colloqui lei e la consulente dialogano e cinguettano che è un piacere, l’una pone domande che in gran parte contengono già la risposta giusta e Gaia, da centravanti di sfondamento, non si fa sfuggire un assist e mette sempre in rete. Mauro viene interpellato di rado e quelle poche volte viene interrotto malamente dopo dieci secondi che parla. E’ un gioco delle parti, alla fine, appare piuttosto evidente. In questi termini, la relazione della CTU è praticamente già scritta. Anche se la sua redazione viene realizzata con tutta calma. Di norma una consulenza tecnica d’ufficio dura due, tre, quattro mesi se va proprio tutto male. Quella di Mauro e Gaia durerà due anni. Due lunghi anni dove poco o nulla viene fatto per dare una svolta a una situazione già chiara da tempo, ma mai conclusa per la cecità, colposa o dolosa, di tutti i soggetti che se ne sono occupati. Per quei due anni Gaia continua a bere fottendosene dei percorsi di disintossicazione obbligatori, a disinteressarsi del figlio e a frequentare il cancelliere del Tribunale dei Minori, mentre Mauro a combatte per poter fare il proprio dovere di padre, e in mezzo sta Alessio e il suo “supremo interesse”. “Papi, lo sai che una signora ci vuole parlare?”. Gli unici ad aver mantenuto una condotta lineare e coerente, e per certi versi anche coraggiosa, sono stati i servizi sociali. Bistrattati e infangati nel narrato comune, e anche sui giornali per la famosa “vicenda Bibbiano”, nel caso di Mauro si sono dimostrati attenti, rigorosi e oggettivi, ovvero orientati a capire davvero cosa fosse meglio per il bambino, ormai in procinto di diventare un ragazzo. Si sono scontrati con ilTribunale dei Minori, ricevendone sanzioni e minacce, hanno messo per iscritto quello che dovevano, pure in un clima sfavorevole, e ancora non mollano la presa. Inutilmente perché una loro richiesta scritta alla CTU su come gestire la situazione, essendo ancora titolari dell’affido di Alessio, rimane senza risposta. L’allungamento dei tempi e la parzialità delle condotte passa anche dalle omissioni e non solo dalle azioni contrarie o inopportune. Cosa stia accadendo nei sotterranei delle relazioni tra Gaia, Luigi, il Tribunale e la CTU alla fine risulta chiaro. “Papi, lo sai che una signora ci vuole parlare?”, Alessio chiede a Mauro, un giorno di febbraio. “Che signora, tesoro?”. Alessio resta pensieroso, poi quasi tra sé e sé: “boh, una signora... ma non capisco perché dobbiamo andare tutti e tre insieme con mamma”. Non si fa problemi a pensar male. Mauro registra mentalmente, oltre che sul cellulare, il dialogo e lo accantona nel suo ormai infinito archivio di note, con un campanellino pronto a suonare l’allarme in caso di necessità. Una necessità che non si fa attendere. Due settimane dopo è seduto davanti alla CTU, poco discosto da Gaia. La consulente li guarda entrambi: “è arrivato il momento di incontrarvi insieme ad Alessio”, esordisce, “occorre spiegargli con parole pacate chi sono e perché voglio parlare a tutte e tre cosa che non ho mai fatto e la prima volta “Mauro è assordato dal suono del campanellino: la nota mentale che si era preso sulle parole di Alessio gli si stende davanti agli occhi. Il suo pensiero allora va oltre: come mai davanti alla CTU salta fuori un argomento di cui Alessio gli aveva parlato poco tempo prima? A Mauro non importa di incorrere in qualche peccato, dunque non si fa problemi a pensar male: che i dialoghi tra Gaia e CTU siano addirittura concordati? Che sia concordato tutto il percorso della CTU? Ci mette poco a verificarlo. “Lo sa”, irrompe nell’amabile conversazione tra la CTU e Gaia. E’ come gettare un fiammifero in un pozzo di petrolio, un’esplosione in escalation. Le due lo tempestano di domande: “come lo sa?”, “come fa a saperlo?”. Si sprecano i rumorosi e tesi raschiamenti di gola, i paroloni impressionanti (“da cosa lo evince?”), fino al parapiglia. Un’agitazione che la dice lunga: ha pensato male, forse ha commesso peccato, ma molto probabilmente ci ha azzeccato. In un suo famoso racconto intitolato “Il gatto nero”, Edgar Allan Poe mostra come il senso di colpevolezza induca le persone a esibire la propria colpa o a indagare esageratamente su ciò che gli altri sembrano sapere. Una forma larvata di confessione. La CTU non fa eccezione a questa regola e così tempesta Mauro di domande tipo: “lei non è sorpreso... qual è la fonte di Alessio secondo lei?”. Oppure: “lei che cosa ci vede dietro?”. Mauro, astuto, fa il fesso e dice “io non ci vedo niente”. Eppure dietro quelle domande c’è un’ammissione di colpa grande così. E’ una bomba termonucleare, stavolta. Le due dunque concordano gli interventi. Di più: la CTU e Gaia concordano il percorso, è tutto pianificato e costruito. E il manovratore con sano sospetto , ci vuole poco a capirlo, è il cancelliere Luigi, il fidanzato di Gaia. “Come fai a provarlo?”, gli chiede il legale, quando se lo vede davanti furente come una bestia ferita. Non lo si può provare, in effetti. Come sempre Mauro deve abbozzare e subire. Ma fino a un certo punto. Si era detto in precedenza che, trattandosi di una vera e propria guerra, non avrebbe guardato in faccia a nessuno, facendo tutto ciò che poteva, anche atti audaci, anche da solo. Poco dopo viene informato dell’esito di una delle sue iniziative fuori dagli schemi. Senza nemmeno consultare il proprio legale, aveva presentato un esposto per l’audizione illegittima di Alessio di qualche tempo prima. Sulle prime il PM aveva archiviato. Mauro si era opposto all’archiviazione e a quel punto gli arriva la notizia che all’esposto è stato dato seguito. E’ una bomba termonucleare, stavolta, perché al centro delle accuse c’è nientemeno che un intero tribunale, il Tribunale dei Minori. “Te sei matto”, gli dice il suo legale, quando lo viene a sapere. Ben più furiosa è la reazione di Gaia e dei suoi rappresentanti alla notizia. Allo scopo di mettere Mauro in cattiva luce, come quello che alimenta il conflitto genitoriale, la CTP di Gaia segnala la cosa alla CTU. Un atto quanto meno irrituale, oltre che scorretto. Ormai è una colluttazione da strada. Mauro, forte del putiferio scatenato dalla sua denuncia, non si lascia intimidire, e deferisce la CTP di Gaia all’ordine degli psicologi. Un’accusa circostanziata in sei punti, quattro dei quali vengono accolti. Cosa più unica che rara, la CTP viene ammonita dall’Ordine e segnalata negativamente presso due tribunali civili dove prestava servizio. Ormai, di questo passo, non è nemmeno più un contenzioso giuridico per il bene di Alessio. Ormai è una colluttazione da strada, una lotta a corpo libero ma senza regole, dove sono inclusi colpi bassi e uso di armi improprie. Mauro odia dover agire così, ma è stufo, arcistufo. Sono sei anni che cerca di fare il padre e di proteggere Alessio da una situazione malata e malsana. Ha subito più di quanto un uomo normale possa essere capace di subire, ora non ne può più. E mentre gli adulti si accapigliano ferocemente, aizzati da un sistema messo lì apposta per alimentare i conflitti invece che dirimerli, Alessio e il suo “supremo interesse” restano sballottati nell’occhio del ciclone. All’apparenza è sereno, ma è appunto solo apparenza. Gradualmente si fa più taciturno e solitario. Ha smesso di andare a calcio e ha cominciato a prendere peso. Passa le giornate tra TV e videogiochi, e solo quand’è con papà (che non ha né TV né computer) esce un po’ e si libera. Ma fa sempre più resistenza. Essere il terreno dove adulti in malafede e in buona fede conducono una guerra feroce alla lunga si paga. E i segnali della sua sofferenza ci sono già, a ben guardarli. E per chi non volesse vederli, c’è una nuova relazione delle maestre di scuola. Già si erano sbilanciate in precedenza, ora sono proprio esplicite. La loro relazione dipinge una situazione vicina a essere disastrosa. La distruzione della vita di un giovane. Mauro, dopo aver letto tutto questo, ha un risveglio. Lui, impegnato sul campo di battaglia, si accorge che tutto un intero sistema si sta dimenticando di suo figlio. Tutti complici di una donna in mano a cui Alessio resta per la gran parte del tempo. La relazione delle maestre è la fotografia del futuro di Alessio, già ormai deviato in una stortura che, se tutto non si risolve in fretta, sarà poi impossibile da raddrizzare. Giudici, specialisti, cancellieri, avvocati, un intero sistema per anni dedicato a ottenere un risultato solo: la distruzione della vita di un giovane, con un unico soggetto, Mauro, a tentare di fare resistenza. Il momento è cruciale, occorre intercettare i segnali critici di Alessio. O la questione si risolve, o lì davanti c’è un baratro. Per tutti, ma soprattutto per lui.

La situazione precipita. Dopo anni e anni di attacchi da parte materna e difesa strenua da parte di Mauro, alla fine tutto precipita. E’ inevitabile quando una guerra inutile si combatte sul cuore di un fanciullo. Se poi si tratta di una guerra combattuta da una delle parti in totale malafede, con il supporto di un intero sistema, il disastro è scontato. Il percorso che porta all’oggi è costellato di passi compiuti sulla vita di Alessio, che finisce così calpestato da tutti, nonostante gli sforzi titanici del padre di tutelarlo e difenderlo. Il punto di svolta è il termine della consulenza tecnica d’ufficio, durata due anni, un record assoluto. E dopo due anni, incredibilmente, la CTU decide di non decidere. Non serve che i servizi sociali chiedano di essere ascoltati e consultati. Hanno l’affido di Alessio, sarebbe doveroso sentire il loro punto di vista, ma la CTU dice no. Quella stessa consulente in panico al pensiero che venisse svelato il suo accordo sottobanco con Gaia, rifiuta di ascoltare chi ha seguito la vicenda del ragazzo praticamente dall’inizio. Mauro deve fare la faccia cattiva e minacciare querele per imporre la loro audizione, che alla fine avviene. E i servizi sociali vuotano il sacco, raccontando tutto ciò che hanno visto e sentito. Troppo per la CTU amica di Gaia e del cancelliere suo amante. Ed è così che nel suo report la consulente dedica ai servizi sociali una parola specifica, molto precisa. “Collusi con la parte paterna”.

“Collusi”. Una parola che in genere si usa per chi ha a che fare con la mafia. Significa che persone al di sopra di ogni sospetto hanno relazioni strutturali con persone di malavita, scorrette, criminali. Questa è la parola che la CTU, senza vergogna, scrive sui servizi sociali: “collusi con la parte paterna”. Mauro è un delinquente, dunque, e i servizi sociali sono suoi complici. Non solo: le maestre di scuola non sono “competenti” a trarre alcun tipo di conclusione su Gaia. E quanto scrive il servizio di disintossicazione dall’alcol alla fine non è così grave. Tutto messo per iscritto dalla CTU, che poi, sulla base di questi pregiudizi, stende la sua relazione.

Il suo report è una fiera dell’anomalia. Due anni di stillicidio per sviluppare gli esiti dei test della capacità genitoriale in modo incompleto e lacunoso. Anche perché il MMPI-2 di Gaia non c’è, non l’ha mai fatto, non esiste. E se esiste, la CTU lo ignora. Produce così un documento denso di parole, impregnato di malafede, ma prudente. Sa che Mauro ha indossato l’elmetto da un po’, ha l’esposto e la querela facili, ha già fatto il mazzo al Tribunale dei Minori, quindi meglio non rischiare. La CTU così rinuncia a realizzare il piano concertato con Gaia e Luigi il cancelliere e produce ai giudici un documento vergognoso e inutile. Alessio deve stare con lei. A quel punto il precipizio si fa sempre più profondo. E ci cadono dentro tutti, a partire da Alessio. Nell’incertezza della relazione della CTU una sola cosa è chiara: i servizi sociali sono inadeguati, per questo il Tribunale dei Minori toglie ad essi l’affido, dà al tutto una mano di bianco decidendo per un “affido condiviso”, così lo chiamano nel decreto, e per il collocamento del minore presso Gaia. Non importa che il suo problema con l’alcolismo permanga, tanto meno che versi in condizioni economiche penose: nel frattempo sua madre, la nonna di Alessio, è deceduta, così privando Gaia anche della sua pensione. Eppure, dicono i giudici, Alessio deve stare con lei. Non ci sono dubbi che una scelta così sia stata pilotata da Luigi il cancelliere, che ormai gestisce in prima persona la faccenda, in combutta con giudici senza cervello e senza anima, oltre che privi della minima professionalità. E la CTU non si era sbagliata: Mauro ha l’elmetto ed è armato fino ai denti. Tra lui e l’investigatore che ha assoldato da tempo, hanno ormai raccolto una quantità spaventosa di materiale su tutte le anomalie, le illegalità commesse, le migliaia di euro spesi (un “curatore” imposto da Gaia e, parcelle a parte, di cui non si è più saputo nulla). Con tutta la sua documentazione sale dal giudice titolare. Il botto dei faldoni sul tavolo del magistrato risuona per tutto il corridoio così come la discussione conseguente. Il rimbombo di quei corridoi risuona nel cuore sempre più maltrattato e svuotato di Alessio. Gli adulti combattono strenuamente ormai quasi solo per il gusto di combattere e avere la meglio. Da una parte c’è il desiderio di vincere per principio, per male e dispetto; dall’altra c’è chi combatte nominalmente per proteggerlo e dargli una vita degna, ma ormai anche per un principio di legalità e giustizia che va oltre la paternità. E nel frattempo lui dentro è sempre più spento. A testimoniarlo, di nuovo è una voce terza, la stessa che più volte ha provato a farsi sentire, senza successo. Le maestre scrivono un’altra relazione, stavolta disastrosa.

I servizi sociali, quelli “collusi” come ha scritto la vergognosa CTU, a questo gioco al massacro del minore non ci stanno. La situazione di Alessio è grave, gravissima, e l’unica cosa che gli rimane di fare è presentare un esposto in Procura su tutto quello che sta accadendo. Dentro c’è tutto, inclusa l’ultima relazione delle maestre. Ce n’è abbastanza per mettere agli arresti l’intero Tribunale dei Minori, a partire dal cancelliere Luigi. La risposta della Procura è sconfortante: “faremo sapere entro 90 giorni”. Qualche anno prima ci misero tre giorni ad agire quando Gaia denunciò di temere che Mauro sarebbe scappato altrove con Alessio durante le vacanze estive. Il sentore folle di un’alcolista li mosse nel giro di tre giorni, mentre per un intero dossier dei servizi sociali si prendono tre mesi. Cinque mesi per fare in udienza ....

Una vita svuotata da una madre malevola. C’era una volta, e c’è ancora adesso, un bambino, che oggi ha dieci anni. Lo abbiamo chiamato Alessio. All’inizio di questa storia dicevamo che lo si poteva vedere là, nella sua stanza. Sta davanti al computer, digita e clicca, clicca e digita. Gioca a “Fortnite”, un videogame molto in voga in questo periodo. Non si stacca un momento da lì, non esce mai. Se gli andate a parlare, dovrete richiamare due o tre volte la sua attenzione prima che vi risponda. E’ il suo modo per estraniarsi. E’ sovrappeso. Parecchio. Non è un bene per la sua salute, prima ancora che per l’estetica. Così ho iniziato la storia di Alessio e così lo si ritrova oggi. Una vita svuotata da una madre malevola, nonostante i tentativi di interdizione da parte di papà Mauro, che da solo ha combattuto e combatte ancora oggi come un leone per cercare di recuperare il recuperabile. Mauro è stato ed è ancora un Davide solidissimo contro un Golia cieco e insensibile: una donna, madre, spalleggiata da un intero sistema. Per questo Mauro da anni archivia e registra tutto. Per questo nelle ultime settimane mi ha seppellito letteralmente di scansioni e registrazioni, cercando di dare a questa storia tutta la verosimiglianza..

La storia di Alessio è un atto d’accusa.

Quando iniziai a raccontare la storia di Alessio ci fu chi si dichiarò scettico che fosse vera e disse di attendere la documentazione comprovante. Credo di averne messa a sufficienza, facendo una cernita nel mare di documentazione fornito da Mauro. Ed è stata una pena dover tagliare, per motivi di brevità, tante altre evidenze, tanti dettagli, che renderebbero questa storia ancora più mostruosa e incredibile. Con Mauro si valuterà se raccogliere la narrazione e ampliarla con ciò che è stato tagliato, per poi produrre un libro che valga da testimonianza. Ma testimonianza di cosa? La storia di Alessio è la vicenda di una giovane vita distrutta, anzitutto. Ma è anche un atto d’accusa. Specificamente contro il sistema giudiziario che si occupa dei minori: troppo, davvero troppo permeabile rispetto a influenze rovinose, prassi devastanti, un’insensibilità di base dovuta a una mancanza di formazione specifica. O, più di frequente, alla presenza di una formazione distorta. Nella storia di Alessio si stagliano come un punto di riferimento i servizi sociali: rigorosi, professionali, seri. In questo Mauro è stato fortunato: altrove le cose non funzionano così e su questo nel paese la situazione è a macchia di leopardo. Non c’è vita senza giustizia. Al contrario sembra terribilmente omogenea la condizione miserevole dei tribunali dei minori e del sistema giudiziario nel suo complesso, ormai impostato in quasi tutte le sue parti secondo un’inclinazione standard che penalizza l’uomo-padre e favorisce la donna-madre, qualunque siano le condizioni in cui questa si trova, anche le più rovinose, come nel caso di Gaia. La storia di Alessio è una storia comune, infatti. Chi più chi meno, nel grande esercito dei figli e delle figlie di genitori separati, tutti hanno vissuto qualcosa di simile. Ho deciso di pubblicarla perché molto articolata e perché Mauro mi ha offerto un archivio di prove di un’ampiezza mai vista. Se qualcuno si chiede ancora se esiste o meno l’alienazione parentale, nella storia di Alessio ha una risposta. Idem per chi si chiede se il sistema giudiziario italiano non sia colmo all’inverosimile di storture, corruzione e anomalie. Questa vicenda, in rappresentanza di migliaia di altre, lo dice chiaro: non c’è vita senza giustizia. Anzi con una giustizia inquinata, cieca e disumana, c’è l’esatto contrario della vita. Chi avesse ancora dei dubbi, torni a dare un’occhiata a come Alessio è stato ridotto. In lui non vedrà soltanto un bambino turbato nel profondo, ma un pezzo di futuro deviato a forza verso l’infelicità. Di tutto questo qualcuno dovrà assumersi la responsabilità e pagare. Qualcuno dovrà fare qualcosa perché tutto ciò non accada più a nessuno.....