Utente:Pietro C. Cano9812/Sandbox

La prima direttiva a occuparsi dell'abuso del diritto in materia tributaria è la sesta direttiva del 17 maggio 1977, n. 388, sull’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, relative alle imposte sulla cifra d’affari. Nello specifico la sesta direttiva ha trattato del sistema comune di Iva e della base imponibile uniforme, e in particoalre all’articolo 27 (intitolato “misure di semplificazione”) stabilisce che “Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta o di evitare taluni frodi o evasioni fiscali”. 
Nelle direttive successive vengono trattati temi più specifici, come la direttiva n. 434 del 1990 nella quale si traccia una disciplina comune per fusioni, scissioni parziali, conferimenti d'attivo e scambi di azioni che riguardano società di Paesi dell'Unione diversi. Scopo della direttiva è sostenere la nascita del mercato interno, considerato come obiettivo primario dalla Comunità. Nel testo viene individuato come comportamento abusivo quello che persegue la frode o l'evasione fiscale, quindi privo di valide ragioni economiche. In questo contesto viene lasciato comunque agli Stati membri lo spazio per intraprendere iniziative interne, seguendo sempre le linee guida dettate dalla Comunità europea. 

Il quadro si è poi ingrandito con la direttiva n.49 del 2003, sul regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di stati membri diversi: all’articolo 5 viene concesso agli Stati membri spazio nell’introduzione di disposizioni nazionali necessarie ad evitare frodi e abusi e stabilisce che “gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l'evasione o l'elusione fiscale, o gli abusi, possono revocare i benefici della presente direttiva rifiuta nell’applicazione". In seguito nella direttiva n.112 del 2006, all’articolo 80, viene data la possibilità agli Stati membri di decidere affinché, in determinati casi, la base imponibile sia pari al valore normale. Successivamente, con l’articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, è stato enunciato il divieto di abuso del diritto. Gli articoli 113 e 115 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea riprendono la materia, e in particolare il 113 stabilisce che “Il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consulta­zione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di con­correnza”. Il fine ultimo, a cui aspira l’Unione europea, è la posizione comune delle legislazioni degli Stati membri ed la protezione del mercato unico.

 La direttiva n. 96 del 2011, che persegue come obiettivo la massima neutralità fiscale, ha eliminato la possibiità, in determinate condizioni, di doppia imposizione di regimi fiscali appartenenti a Stati membri diversi nel caso in cui i soggetti, società madre controllante e società figlia controllata, abbiano sedi in Stati membri diversi. L’evoluzione normativa della direttiva n. 96 ha conosciuto una modifica con la direttiva n.121 del 2015 che ha cambiato l’articolo 1 della precedente, nello specifico al paragrafo 2 disponendo che “gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l'oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e circostanze pertinenti”.