In sillaba aperta o equivalente modifica

L'esito di A volgare accentata in sillaba aperta o equivalente è molto variabile, nel senso che dipende dal dialetto, e può cambiare anche a distanza di pochi chilometri. In linea di massima si tratta d'una vocale lunga in cui i parlanti riconoscono un qualche tipo di "e", ma da una descrizione più dettagliata emergono le seguenti differenze:

  • Nei dialetti della pianura ravennate-forlivese si ha il dittongo che in che in precedenza s'è scritto ê. Dunque per «mare, barba, alto» si ha mêr, bêrba, êlt.[1] Le cose vanno diversamente per gli esiti davanti a nasale intervocalica o seguita da consonante sorda, dove si ha nasalizzazione, sicché per «pane, santo» si ha pãn, sãt.[2]

Nasali modifica

Una delle caratteristiche dei dialetti della pianura ravennate-forlivese che maggiormente colpiscono chi li ascolta per la prima volta è la presenza di diverse vocali toniche fortemente nasalizzate. Eppure, nonostante questa caratteristica sia così appariscente, molti parlanti hanno una scarsa (o addirittura nessuna) consapevolezza di tale nasalizzazione. Già Morri, al tempo in cui scrisse il suo Vocabolario, percepiva solo la nasalizzazione della "a", ma anche per questa vocale riconosceva non tanto la nasalizzazione (si limita a dire che è «quasi nasale»), quanto piuttosto l'alterazione del timbro indotta dalla nasalizzazione (la caratterizza principalmente come «suono stretto»).

Di conseguenza lo sviluppo storico della grafia delle vocali nasali risulta alquanto "sofferto", andando di pari passo con una progressiva presa di coscienza, che peraltro non ha proceduto in modo lineare, ma è progredita o regredita nel tempo, a causa di complesse dinamiche sociolinguistiche.

Non disponendo di una grafia tradizionale consolidata, nel seguito di questo articolo adotteremo la convenzione grafica più chiara ed esplicita, scrivendo le vocali nasali con la tilde: ã, ẽ, ĩ, õ, ũ (quest'ultima si trova solo in alcuni dialetti, come ad es. il forlivese). Tale grafia è stata adottata per la prima volta da Quondamatteo e Bellosi nel loro Vocabolario comparato, poi è stata abbandonata dagli estensori delle Regole fondamentali, e solo recentemente è stata ripresa da alcuni autori, in particolare i faentini Giuliano Bettoli e Luigi Antonio Mazzoni (suscitando, paraltro, non poche reazioni e polemiche).

Etimologicamente, la nasalizzazione delle vocali toniche si è avuta davanti a consonanti nasali, ma in diversi contesti fonetici la consonante nasale cade. Ciò accade:

  • quasi sempre quando la consonante nasale è seguita da una consonante sorda; ad es., per «banco, vento, tempo, niente, monte» nella maggior parte di questi dialetti si ha bãc, vẽt, tẽp, gnĩt, mõt;
  • spesso cade anche quando la consonante è alla fine della parola, sicché per «cane, bene, pieno, limone» si ha solitamente , bẽ, , limõ; si consideri tuttavia che la consonante nasale si può pronunciare per ragioni eufoniche quando la parola è seguita, nella frase, da una vocale, ad es. «(lui) viene» si dice e' vẽ, ma «(lui) viene a casa» si dice e' vẽn a cà (a meno che non si faccia una pausa fra e' vẽ e a cà).

I parlanti che stentano a riconoscere la nasalizzazione, di solito la percepiscono come presenza di una consonante nasale successiva; ad es. ritengono di pronunciare "vent, limon" anziché vẽt, limõ. Tale percezione soggettiva talvolta può essere superata osservando che la presenza effettiva della consonante nasale è un tratto oppositivo che può definire delle coppie minime, come le seguenti:

cã «cane» cãn «canne»
pã «pane» pãn «panno»
tãt «tanto (avv. e sost.)» tãnt «tanto (agg.)»
sãta «santa» (s)sãnta «sessanta»
cuṣẽ «cugino» cuṣẽn «cugine»
camẽ «camino» a camẽn «(io) cammino»
padrõ «padrone (masch. sg.)» padrõn «padrone (femm. pl.)»
sõ «suono (sost.)» a sõn «(io) suono»
[3] «lume, luce» lõn «lunedì»

Note modifica

  1. ^ Mussafia, §§ 1, 3, 8; Schürr, RDII, § 1.11
  2. ^ Mussafia, § 10; Schürr, RDII, § 4.11
  3. ^ In alcuni dialetti si trova lòm