Utente:Spagna51/Sandbox

Tra i più importantii incisori veneti dell’Ottocento un posto di rilievo lo ebbe Antonio Nani. La sua rilevante personalità artistica venne molto apprezzata fin dalle primissime esperienze perché seppe interpretare il gusto della sua epoca. Le sue doti artistiche vennero riconosciute e incoraggiate da Antonio Canova,che tra i primi notò l’ingegno artistico non comune di Antonio Nani quando questi era ancora un adolescente. Canova ne caldeggiò l’iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Venezia, affidandolo poco prima di morire, alla protezione dello scultore Luigi Zandomeneghi, suo allievo prediletto e docente presso quella scuola. La vastissima produzione calcografica, anche di notevole qualità, fu, nell’Ottocento, veicolo di divulgazione della cultura e del sapere. Fu, inoltre, un fedele interprete del diffuso sentimento religioso popolare.

BIOGRAFIA:

A causa della dispersione dei documenti veneziani e di quelli che si conservavano nella casa dell’artista ad Alano di Piave, distrutta dagli eventi bellici della Grande Guerra, la biografia dell’artista è scarna e lacunosa. Poche sono le testimonianze contemporanee attendibili. Solo l’abate Giannantonio Moschini, l’erudito religioso che conobbe personalmente l’incisore ancora studente e ne seguì i primi passi nell’attività professionale a Venezia, ne raccontò le travagliate vicende personali. Nel 1830, Nani aveva ventisette anni, Moschini lo annoverava tra i più importanti calcografi attivi tra le lagune. Nel 1902 Antonio Vecellio, un dotto ecclesiastico feltrino, ne ricordò la figura in un articolo apparso su una rivista locale. Nel 1940 lo studioso Luigi Alpago Novello pubblicò un elenco di incisioni, mentre nulla aggiunse alla biografia pubblicata da Moschini. I pochi studi successivi si limitarono a riportare qualche informazione sula vita di Nani tratta dai precedenti scritti, senza aggiungere nulla di nuovo.

Antonio Nani nacque ad Alano di Piave in un giorno d’agosto del 1803, i pochi documenti che si conservano sono contraddittori su questo punto, secondogenito di quattro figli di Giuseppe Nani detto Bello e di Maria Spada. Il fratello maggiore, Giovanni Maria Francesco, divenne organista del Tempio di Possagno; Luigi esercitò la professione di sarto e il minore, Giuseppe, si dedicò alla commercializzazione delle opere di Antonio. Non è nota l’ascendenza di questi Nani, il cui cognome è assai diffuso in quel territorio. In un archivio privato si conserva un manoscritto che riporta l’intestazione Libro per registrare de conti del Com: d’Alano l’anno 1791. Sotto il governo di me sottoscritto Lorenzo Nany d° Bello e colleghi Serafin Spada e Netti Capoferro q. Giacomo omnia ut inizuy . Si tratta del registro dei conti che il nonno di Antonio, Lorenzo, redasse nella sua qualità di merìga del paese. Questi era la massima autorità posta a capo di un villaggio ed era eletto nel corso della vicinia, la riunione dei capifamiglia. Suo compito era quello di amministrare il paese, riscuotere i tributi che versava alla Podesteria di Treviso.

Alano di Piave era, allora, un piccolo villaggio in cui le condizioni di vita erano assai difficili. Pochi i benestanti, per lo più i proprietari dei fondi fertili, facili da raggiungere e meglio esposti. Mentre la maggior parte della popolazione pativa la fame, era colpita da malattie endemiche, era analfabeta. L’agricoltura prettamente familiare, la pastorizia, la produzione di carbone, il commercio del legname e alcune piccole attività artigianali era quanto sosteneva l’economia del paese. L’indigenza, dunque, era diffusa come, del resto, in tutte le realtà rurali del tempo. Avverse condizioni climatiche erano causa di carestie e quindi di epidemie e di morti per inedia. La pellagra era un morbo diffuso. Alano aveva dato i natali a due personalità di rilievo don Egidio Forcellini (1688-1768), celebre studioso della lingua latina, e Marco Forcellini (1712-1794), poeta e vicario della Serenissima.

La famiglia di Antonio Nani possedeva una piccola “casa con porzione di corte” posta nel centro del paese e, poco distante, due piccolissimi appezzamenti di terra. Giuseppe era un padre affettuoso e pronto ad assecondare le inclinazioni dei figli. Sapeva leggere, scrivere, suonava l’organo, conosceva i principi della statica e dell’idraulica tanto da permettergli di costruire alcune opere private e pubbliche. Nel 1816 partecipò al concorso di idee “relativo alle arti meccaniche” istituito nel 1815 dal governo del Regno Lombardo Veneto, presentando un meccanismo in grado di far zampillare ininterrottamente una fontana collocata sul mare, utilizzando il periodico flusso e reflusso della marea. Il progetto fu premiato con la medaglia d’argento.

Diede alle stampe due volumetti: Istruzione pratica per una nuova costruzione dei camini preservatori del fumo e di ripiego per i già mal costruiti (Venezia, 1830) e Progetto conducente a rendere perenne in qualunque emergenza il Canale Brentella che bagna l’alta Pianura del trevigiano (Venezia, 1839). Entrambi gli studi sono corredati da tavole esplicative incise dal figlio Antonio.

Antonio Nani crebbe in questo contesto sociale e familiare solidale e assai pio, lontano e ostile a tutte le idee nuove che erano state diffuse dalla Rivoluzione francese e dalle campagne napoleoniche. Ambiente che influenzò le sue idee e i suoi orientamenti, anche professionali. Dotato di una intelligenza straordinariamente precoce e di una grande sensibilità, frequentò la scuola del paese, dedicandosi con grande passione al disegno. Schizzava con paesaggi, animali e personaggi a lui vicini su fogli di carta che trovava in casa o a scuola. Di questi innumerevoli lavori ci è giunto un solo schizzo realizzato a otto anni. Si tratta di una veduta del castello di Quero eseguita a penna e inchiostro nero, su un foglio di carta bianca. La composizione è semplice, dalla prospettiva incerta, ingenua ma piacevole. Il padre accortosi del talento creativo di Antonio, lo incoraggiò sempre a seguire questa sua innata predisposizione. Non disponendo di sufficienti risorse economiche per fargli seguire dei regolari corsi di studi, il genitore pensò di mandarlo a bottega a Padova da Pietro Sandri, un noto “ornatista”, specializzatosi in riproduzioni di anatomie in cera. L’allora tredicenne Antonio invece di essere istruito nella sua arte, venne impiegato per svolgere i lavori domestici più umili. Al padre non rimase che condurre il figlio a casa. Qualche tempo dopo fu il conte Bernardino Corniani degli Algarotti, artista assai noto, che si propose di accogliere il giovane nel suo palazzo veneziano per educarlo alla pittura. Ma, anche in questo caso, non fu che uno dei tanti adolescenti impiegati come domestici e quotidianamente rimproverati e bistrattati.

Solo nel marzo del 1820, grazie all’interesse di Antonio Canova, il giovane poté iscriversi, dopo aver superato l’esame di ammissione a pieni voti, all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Non è nota la natura del legame tra la famiglia di Alano e il maestro, doveva trattarsi di un rapporto di stima se con tanta premura, nel pieno della sua attività internazionale, Canova ne patrocinava l’ammissione all’importante scuola. Lo ricorda anche Antonio Nani in un suo libro dedicato proprio al grande artista “Nel settembre del 1822 [quindi nel corso dell’ultima visita al suo Tempio, Canova moriva a Venezia il 13 ottobre 1822] recavami io pure in Possagno, desioso di poter osservare l’avanzamento dell’augusta Mole [il Tempio], e di rivedere il Canova, a cui speciali relazioni di famiglia mi offrivano raccomandazione e conforto. Ricordo infatti l’amorevolezza dell’accoglimento, il volermi al suo fianco ad osservare minutamente quell’Opera monumentale, e tutti gli oggetti d’arte nella gloriosa di Lui dimora, ricordo l’interesse dimostrato per i miei studi, e ricordo le direzioni sapienti e paterne”.

Fu un allievo esemplare, schizzava, disegnava, copiava incessantemente. Per i risultati soddisfacenti meritò il conferimento di un sussidio statale che gli consentì il proseguo degli studi e gli vennero conferite ben cinque medaglie d’argento, relative a primi premi, importante riconoscimento per il suo impegno. Era così diligente e obbediente che, ricorda Moschini, per accontentare un professore, forse Giuseppe Borsato, “ebbe la pazienza di eseguire a penna varie vedute da adornare le pareti di una stanza intera. E a penna pure eseguì alcuni ornati, che a prima vista li diresti acquerelli”.

Dopo il biennio preparatorio si iscrisse alla scuola di architettura superando brillantemente il primo anno. Di questo breve periodo si conserva ancora il Prospetto rivolto alla Laguna della vecchia Libreria ora Palazzo Regio di Venezia. Rilievo di grandi dimensioni che si conserva presso il Gabinetto dei Disegni e della Stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Si trovano in collezione privata alcuni suoi schizzi di quegli anni, tra cui uno studio di nudo virile sdraiato. Altri bozzetti mostrano il mondo della campagna, i contadini al lavoro, cavalieri e putti, profili maschili. In un suo piccolo autoritratto, una miniatura su lamina metallica, probabilmente un dono alla fidanzata, si vede un giovane dai lineamenti aggraziati e di bell’aspetto. Il viso delicato, i capelli castani, gli occhi grandi, scuri. E’ vestito con una rendigote azzurra, con collo blu sopra un corpetto dai colori vivaci. Al colletto alto e rigido della camicia è annodata la cravatta, fermata da una piccola broche.

Luigi Zandomeneghi, che lo aveva sempre assistito con attenzione, lo consigliò di abbandonare gli studi di architettura per dedicarsi a quelli di incisione tenuti da Galgano Cipriani, uno degli allievi migliori di Raffaello Morghen. Il suggerimento teneva in considerazione gli scarsi mezzi economici di cui disponeva il giovane. Il biennio di incisione lo avrebbe fornito di centinaia di lastre in rame pronte per essere usate al termine degli studi, dandogli la possibilità di iniziare subito l’attività professionale e di realizzare un discreto profitto.

Nel 1827 aprì bottega a Venezia, disponendo di duecento matrici di varie dimensioni già incise, un torchio, un po’ di carta e dell’aiuto di un giovanissimo garzone. Possedeva una grande abilità e poteva contare sull’amicizia di numerose personalità artistiche e culturali. Lasciò al fratello più giovane, Giuseppe, gli aspetti commerciali e amministrativi dell’attività, concentrandosi solo sugli aspetti tecnico-produttivi. A Venezia c‘era una fortissima richiesta di stampe da parte degli editori che le impiegavano per illustrare i libri. Poteva annoverare tra i suoi i clienti colti conaisseurs e collezionisti d’arte che gli commissionarono copie di importanti opere di pittura e scultura, commercianti di stampe ma anche uffici governativi e istituzioni religiose. Realizzò i ritratti di importanti personaggi politici e porporati. Però le commissioni più redditizie gli giungevano dagli enti ecclesiastici e, particolarmente, dagli ordini monastici questuanti che usavano donare le immaginette sacre dei loro santi patroni a chi elargiva loro un obolo per i poveri. Per contro questa vasta produzione, spesso seriale e poco creativa, determinò un generale calo della qualità. Verso il 1829 il pittore Giuseppe Borsato, uno dei suoi maestri, pubblicò la sua Opera Ornamentale e per l’incisione di alcune tavole si affidò all’abilità di Nani. Qualche anno dopo Borsato si avvalse ancora dei bulini del suo allievo per realizzare i rami di alcune tavole disegnate per la poderosa opera in sei volumi, in folio grande, dedicata a Il costume di tutte le nazioni e di tutti i tempi descritto e illustrato dall’abate Lodovico Menin. Verso gli anni trenta dell’Ottocento editò e distribuì in proprio un libricino, pubblicato senza data, intitolato Delle principali vedute di Venezia, disegnate e incise da Ant.o Nani – Vue de Venise. Il volumetto è’ una raccolta di quindici immagini dei luoghi più celebri della città, una sorta di souvenir per i turisti di quel tempo. La stampa, pressoché introvabile sul mercato antiquario, è particolarmente curata e il disegno preciso e di grande effetto, ma la qualità della carta utilizzata, piuttosto scadente, non ne fa apprezzare appieno il risultato. Ma il lavoro più impegnativo che lo impegnò in quegli anni e che lo rese celebre è l’opera monumentale su la Serie dei Dogi di Venezia, intagliati in rame da Antonio nani. Giuntavi alcune notizie biografiche estese da diversi. Vide la luce, per la prima volta, a Venezia, pubblicato a fascicoli nel corso del 1835 e dell’anno successivo. L’artista studio e riprodusse le effigi di tutti i duchi veneziani, con i loro abiti, il copricapo, il corno ducale. Per l’accuratezza delle tavole l’Accademia di Belle Arti della città gli conferì un importante riconoscimento. Avevano steso i testi i maggiori studiosi dell’epoca tra cui Giannantonio Moschini. L’accoglienza del pubblico fu così favorevole che presto furono esaurite tutte le copie e solo quattro anni dopo apparve la seconda edizione. Nel 1857 il lavoro fu ampliato con l’aggiunta del disegno della medaglia e della moneta coniate nel corso del governo di ciascun doge. Sempre richiestissima dal mercato nel 1864 fu ripubblicata ancora. Nel 1867 apparve l’ultima ristampa del volume che ancora oggi rimane un testo fondamentale per l’iconografia, la numismatica e la medaglistica veneziana.

Nel 1827 sposò Marianna Trevisanello, una giovane compaesana e l’anno dopo nacque il primogenito, Giuseppe. Nel 1831 venne alla luce Regina e due anni dopo Pietro. La vita professionale e familiare procedeva per il meglio quando l’epidemia colerica, che era andata diffondendosi in tutta Europa a iniziare dagli anni trenta dell’Ottocento, giunse tra le lagune. Antonio nani per preservare la salute dei propri congiunti abbandonò Venezia per tornare ad Alano. Per tre anni visse e continuò a lavorare nel paese natio. E’ del 1837 il libro dedicato alla vita di san Giovanni della Croce, illustrato con quaranta incisioni “A spese di Antonio Nani calcografo editore”.

Nel 1839, cessato il pericolo del morbo, Antonio e la sua famiglia si trasferirono a Treviso, in “parrocchia di santa Maria Maggiore”, dove riprese il suo intenso lavoro. I soggetti sacri, i ritratti ecclesiastici e di personalità politiche erano quanto gli veniva richiesto, ma anche quello che più rendeva. Il 20 giugno 1840 nacque la quarta figlia Maria Antonio che, però, morì qualche tempo dopo, e nel 1842 Teresa. Sono anni di grande impegno e di importanti riconoscimenti che giungevano da autorevoli e prestigiosi enti culturali. Nel 1846 pubblicò le XXXIII Vedute Principali della R. Città di Treviso, un volumetto di piccolo formato dedicato ai turisti che visitavano la città. Immagini che, fino all’avvento della fotografia, mostrarono i maggiori monumenti di Treviso. Da menzionare le notevoli quattro tavole illustrative a colori che Nani realizzò per il testo di Giovanni Codemo Una scuola di geografia elementare in Treviso ecc. .Vi sono rappresentati i continenti con i meridiani e i paralleli, le costellazioni e altri dati astronomici e geografici. I disegni sono assai precisi e frutto di una rara perizia incisoria.

Il 17 marzo 1848 scoppiò a Venezia l’insurrezione contro la dominazione austriaca e si costituì il governo provvisorio guidato da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo. Anche a Treviso esplose la rivolta e furono cacciati gli austriaci. L’offensiva imperiale non tardò e il 12 maggio la città subì una terribile offensiva bellica che poco dopo la fece capitolare.

Antonio Nani alle prime avvisaglie della sommossa patriottica fece ritorno ad Alano, dove rimase fino alla morte.

Nel suo paese natale curò le edizioni della Serie dei Dogi di Venezia, di cui si è detto; realizzò le illustrazioni dell’opera omnia di Carlo Goldoni per l’editore Giuseppe Grimaldo di Venezia. Nel 1863 diede alle stampe il volume Canova ed il suo Tempio di Possagno, accompagnato da un testo traboccante di gratitudine per il suo mentore. Al suo interno vi sono venti tavole che descrivono dettagliatamente il sacro edificio. Un intaglio perfetto in cui sono magistralmente riprodotti i prospetti esterni e interni, nonché i principali dettagli costruttivi, decorativi e ornamentali.

Nel 1860 predispose i disegni per la costruzione della torre campanaria del suo paese, incaricando l’antico compagno di studi Giuseppe Segusini, divenuto nel frattempo un insigne architetto, degli aspetti tecnici e costruttivi.

Il 16 luglio del 1865 si spense l’amatissima Marianna che fu sepolta in una tomba, disegnata dal marito, assieme ai resti della madre dell’artista.

Negli ultimi anni di vita continuò la sua attività di incisori ma anche di pittore con la realizzazione di pale d’altare e quadri commemorativi, di cui però non si è ancora indagato.

Morì il 5 aprile 1870 “dopo breve malattia”.

Antonio Nani rappresenta uno di quei casi in cui l’ingegno innato per le arti figurative si assoggettò agli obblighi familiari. Le sue notevoli capacità non si poterono esprimere al massimo per la pressante necessità di denaro, necessario a far fronte alle esigenze della numerosa famiglia e dei suoi più stretti parenti ai quali non negò mai l’aiuto finanziario. Se pure i disegni e i dipinti sono, per ora, da considerarsi perduti, si è andata delineando una personalità artistica poliedrica, tuttavia la fortuna critica, inspiegabilmente,, non gli fu favorevole e ben presto il suo ricordo e la sua fama caddero nell’oblio.



Bibliografia:

G. Moschini, Dell'incisione in Venezia, Memoria a cura della Regia Accademia di Belle Arti di Venezia, Venezia, 1924

A. Vecellio, Un distinto incisore quasi dimenticato, in “Vittorino da Feltre: conversazioni bimensuali educative”, XIV, 5-6, 13, Feltre 8 marzo 1902

L. Alpago Novello, Gli incisori bellunesi, in Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Anno Accademico 1939-40, Tomo XCIX, parte II: classe di Scienze mor. e lett. (Adunanza ordinaria del giorno 14 febbraio 1939)

C. Spagnol, Antonio Nani (1803-1870). «Il più laudato incisore dei veneti dogi», Saonara (Padova), 2016