Utente:Uchiha wake/Sandbox

Le guerre del sale

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Le <<guerre del sale>> sono rivolte che si ripeterono con notevole frequenza in Piemonte meridionale nei decenni finali del Seicento. Più precisamente, le rivolte si verificarono dal 1657 al 1675, per poi riprendere dal 1680 al 1682, dal 1685 al 1687, dal 1690 al 1691, fino a quando, giunti agli ultimi anni, 1698-1699, si conclusero in seguito alla deportazione in massa dei ribelli.

I luoghi

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  Le guerre del sale si svilupparono nell’area provinciale del Monregalese e nel marchesato di Ceva, territorio che nei suoi circa 1700km2?, racchiudeva ambienti diversi: pianura, collina, montagna ed era abitato principalmente da coltivatori rurali. È proprio lungo le linee di separazione fra i diversi ambienti che si svilupparono nel secolo XVII gli scontri in occasioni delle rivolte monregalesi. Altre emblematiche battaglie ebbero luogo nelle valli del Pesio, Val Mongia e Valle del Tanaro. Il bacino montano ospitava molte comunità, la maggior parte prese parte alle rivolte. Si ricordano in particlare le comunità di Bastia, Briaglia, Frabosa, Moline, Monastero, Monasterolo, Montaldo, Pamparato, Roccaforte. L’ entroterra monregalese era, ed episodi di rivolte collettive come questo, non mancarono nei secoli successivi (la popolazione si sollevò di nuove durante l’occupazione francese nel ‘700 e successivamente per la tassa sul macinato imposta dal Neo stato italiano negli anni ’60). Come dissero: il governatore saluzzese Monsignor Agostino Della Chiesa in un rapporto del 1683 <<il vitio della armi in quel paese nasce quasi col nascer dell’huomo>> ed in una lettera all’ambasciatore di Savoia <<Si ammazzerebbero per una divergenza di dieci soldi>>.[1]

Prima guerra del sale

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Nel 1672 Carlo Emanuele II di Savoia puntò alla conquista del territorio della Repubblica genovese. Successivamente a questa disastrosa guerra, gli alloggiamenti di truppe militari imposti al territorio e gli aggravi di tasse portarono ad un crescendo delle sporadiche attività antifiscali, organizzate dai tradizionali gruppi di abitanti, che in seguito si ingrandirono inglobando la quasi totalità della popolazione.

L’area provinciale di Mondovì viene esposta a continui prelievi fiscali causando una generale situazione di impoverimento. L’indebitamento generale portò alle infeudazioni tramite la vendita di beni comunali.

Nel 1675, in seguito alla morte di Carlo Emanuele II, si diffuse un movimento di rivolta da parte dell’intero entroterra rurale monregalese. Gli esattori delle tasse provenienti da Mondovì vennero scacciati, le frotte di rivoltosi scesero in città, costeggiando i quartieri bassi non fortificati in cerca di supporto da parte di cittadini ostili alle tassazioni. Tentarono persino un assalto alla cittadella, il quartiere alto della città, dove si erano rifugiati gli appaltatori delle tasse.

Nel frattempo, grazie all’opera di intermediari intenti a sedare la rivolta, venne stesa una supplica con le richieste degli sgravi fiscali da portare a Torino. In queste suppliche fu ribadita più volte l’assenza monetaria che caratterizza la comunità.[2]. La corte concesse, in parte, gli sgravi.

Nella primavera del 1681 la ripartizione di un’imposizione straordinaria dovuta all’uscita di minorità di Vittorio Amedeo II causò un immediato conflitto di giurisdizione tra organi amministrativi e fiscali dei cittadini contro i Signori. La questione passò al Consiglio di Torino, che inviò un esercito di 3000 uomini al comando di Don Gabriele di Savoia. Le truppe si accamparono alle porte della città. Il 6 giugno venne richiesto il versamento delle tasse arretrate, nonché il pagamento di una nuova imposta (sotto forma di acquisto annuale di un determinato quantitativo), la gabella del sale.

Il 16 giugno, alla convocazione dei sindaci per l’esazione della gabella, nessuna autorità di Montaldo si presentò. Così, alcuni giorni dopo, Don Gabriele dichiarò ribelli gli abitanti ed avanzò su Montaldo. I combattimenti si svolsero inizialmente nei boschi, fino a raggiungere e devastare le borgate della città.

L’abbattimento dei castagneti attigui alla città, che avevano protetto le imboscate, le incursioni e le fughe dei cittadini a scapito delle truppe regie, è una traccia nel paesaggio agrario lasciata dalle guerre del sale ad oggi ancora visibili. Il bilancio contò, da una parte la morte dei capi degli insorti (Costanzo Cavallo) e la distruzione di molte case, dall’altra un centinaio di morti e feriti.

Il 27 giugno, Montaldo si sottomise alla levata del sale, le truppe si ritirarono lasciandosi dietro 1000 uomini e dando inizio ai lavori di costruzione di un avamposto strategico a Vico, per tenere sotto controllo le comunità delle città in fermento.

Il 16 agosto un gran numero di donne e uomini tentarono un assalto notturno per atterrare le fortificazione in costruzione. A questa rivolta accorse il governatore conte di Bagnasco, con 400 soldati. Trovarono però il passo sbarrato da circa 2000 contadini armati, i quali incalzano il conte ed il suo esercito, costretto a rifugiarsi nella città alta. Raggiunti da altre frotte di cittadini rivoltosi, entrarono nelle città, mettendo a ferri le case degli appaltatori delle tasse, bloccando i viveri e l’approvvigionamento di acqua. Le forze statali vennero poi raggiunte da un contingente di 1500 uomini e 300 cavalieri che provocano la fuga dei ribelli. Don Gabriele annunciò la nomina di  un nuovo governatore, il marchese di Senante, a sostituzione del conte di Bagnasco.

L’introduzione di molte gabelle avvenne con l’impiego indiscriminato di banditi reclutati come appaltatori, stratagemma di cui le autorità torinesi fecero largo uso, promettendo loro salva condotta e concedendo perdoni. La banda più famigerata era nota come <<Compagnia dei santi>>, al servizio dell’appaltatore sabaudo Andrea Cantatore.[3]

A gennaio del 1982, viene annunciata una nuova tassa sul sale a prezzo raddoppiato. Le città di Mondovì, Roburent, Vico, Bastia, Montaldo, Monastero, Fabrosa opposero resistenza immediata, accogliendo l’emissario torinese con ostilità. Nel giro di pochi giorni le città, furono di nuovo sotto assedio. Gli abitanti ottennero due vittorie: la prima a Villanova durante uno scontro armato con le milizie statali, la seconda contro i 300 fanti del Conte di Castellamonte (messo in fuga). Si aprì una nuova fase di negoziato, con la revoca delle nuove imposte e la riconferma dei privilegi goduti finora dalle popolazioni.

Seconda guerra del sale

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Nel 1986 venne imposta una nuova gabella, ‘’la grassina’’ ovvero la tassazione sulla macellazione del bestiame. Nel frattempo i ribelli avevano portato alla nascita di una lega tra Monastero e le comunità del marchesato di Ceva (Lisio e Viola). Le loro azioni presero la forma di comportamenti collettivi, rapidi e a sorpresa, simili al fenomeno del brigantismo, in cui i soldati catturati venivano spogliati delle loro divise, umiliati ed allontanati ma senza giungere alla vera e proprio battaglia. Le mobilitazioni, anzi, si indirizzarono spesso anche al sovrano, ma in modo pacifico, inviando ogni volta suppliche e istanze volte a diminuire le tassazioni. Si intravedono fenomeni di ostracismo riservato agli esattori delle tasse, le cui dimore venivano periodicamente saccheggiate. Quest’ultimi erano bollati come gambini che in quanto fautori delle gabelle, “zoppicano all’interesse del popolo”. <<zoppicano all’interesse del popolo>>.[4]

In questi anni le rivolte erano quindi più simili a mobilitazioni comunitarie, a cui partecipava il clero, benedicendo i capi rivoltosi (atto simbolico di ostilità verso le autorità statali), e persino donne e adolescenti.

Tuttavia il 1697 si persero questi insieme di ideali e comportamenti ed il conflitto si riaccese in quella che sarà la Seconda, ed ultima, Guerra del Sale. Le autorità torinesi imposero nuovamente la tassa sul sale, alla quale Mondovì si sottomise , mentre il resto delle comunità limitrofe rifiutò di obbedire. L’appello degli insorti alla fratellanza ed il loro motto “se fussimo uniti le cose andrebbero meglio” vennero puniti con la galera perpetua dalle autorità.

Il signore des Hayes, Claudio di Hallot, venne inviato insieme ad un corpo di spedizione nelle zone, dove però si è radunata la lega difensiva formata dai comuni di Montaldo, Monastero, Moline, Briagle, Pasco e Bastie. Le truppe furono sbaragliate per ben tre volte, insieme ad il reggimento acquartierato a Vico.

Nel 1699 il signore des Hayes tornò da Torino insieme ad un reggimento di 10 truppe, le quali marciarono sui ribelli asserragliati a Vico. Le truppe vennero disposte a Mondovi, assicurando il controllo dei boschi, verso le alture di Vico, volgendo in fuga i ribelli, ed il resto a Vasco e Monastero, luogo dove sorgevano gli avamposti dei ribelli, i quali vedendosi accerchiati, non poterono smuovere l’afflusso di soccorsi per i ribelli di Vico. Le truppe sfondarono tutte le linee di difesa e si diedero al sacco. Iniziarono con Vico e Briaglie, proseguendo con Monastero e la notte stessa, assalendo Montaldo.

Da qui la situazione passò al Tribunale straordinario che sentenziò la deportazione in massa di circa 500 famiglie rivoltose e la conseguente scomparsa di intere borgate.

Le conseguenze

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Montaldo, principale focolaio della rivolta, fu colpita insieme alle comunità di Bastia, Moline, Monastero, Montaldo, Pamparato e Roburent. Le sei comunità costituivano circa la metà della popolazione dell’area monregalese implicata nelle insurrezioni. Montaldo vide sottrarsi il 40 % della popolazione, mentre a Vico furono deportate 31 famiglie[5], e a Villanova 222. L’attività agricola, prima limitata ad essere essenzialmente rurale e locale, si orientò verso i mercati di città, il che comportò l’emigrazione volontaria di molte famiglie che non erano state deportate.

Ad oltre 10 anni di distanza dalla sconfitta degli insorti, nel 1711 Antonio Masuino proprietario di un appezzamento in Montaldo dichiarò <<questo luogo è diventato molto miserabile doppo il tagliamento seguito nell’anno 1699 d’ordine del re qual sarà evidente per trè cento anni in avenire>>.[5]

La questione delle guerre del sale venne seguita con molta attenzione, poi subentrò il silenzio ufficiale su queste come su altre ribellioni che potessero dare l’idea di debolezza al Piemonte. Solo con il terzo decennio del Settecento alcune famiglie vengono rimpatriate nel monregalese per grazia del sovrano ed alcune abusivamente.

Bibliografia

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  • Lombardini Sandro, Le premesse ecologiche di una rivolta contadina: agricoltura e demografia nel Monregalese all'epoca delle Guerre del sale, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Prov. di Cuneo, 1983, pp. 107-189.
  1. ^ Relazione dello stato degli affari della città e provincia di Mondovi fatta dal Marchese e Presidente Della Chiesa (settembre 1683); A.Michelotti, storia di Mondovi cit, pp364.
  2. ^ A.S.T., Sez I, Prov di Mondovi, mazzi 1-5; Sez II, Art. 689, mazzo 10; Sez. III, Art. 472
  3. ^ Sul rispetto e sugli appoggi goduti dai banditi monregalesi, vedi A..S.T. Sez. I, Prov di Mondovi, mazzo 4, n. 6, Pretensioni delli paesani della provincia del Mondovi, mazzo 4, n. 6
  4. ^ Relazione dè successi cit, pp. 113-32. Sull’introduzione e l’uso di risorse ideologiche nello sviluppo di conflitti tra fazioni
  5. ^ A.S.T., Sez. II archiviazione Capo 21, allegato i, 18