Utente:Windsurf57/Sandbox
Tullio Mazzotti è un ceramista, artigiano, artista, artiere italiano.
Biografia
Tullio Mazzotti nasce a Savona l’11 maggio del 1957 ed è il figlio primogenito di Rosanna Argenta e Giuseppe Bepi Mazzotti. È alla quarta generazione dei Mazzotti ceramisti di Albisola. Conseguito con successo il diploma presso il liceo artistico statale “Arturo Martini” di Savona, frequenta la facoltà di Architettura dell’Università di Genova che non termina poichè decide di impegnarsi maggiormente nell’attività sportiva, sua grande passione che lo porta a ottenere successi in varie discipline. E’ più volte campione regionale di Slalom Speciale e Slalom Gigante e a quarant’anni, nel 1997, primeggia ancora in queste specialità con il miglior tempo assoluto. Nel 1978 vince i Campionati Leo Club d’atletica primeggiando nei 110 ostacoli, negli 800 e nei 400 metri piani dove fa registrare anche il record italiano. Sempre nell’ambito del Lions, vince nel 2001 il Campionato italiano di sci alpino. Negli anni Ottanta e Novanta si dedica anche, se pur a livello non competitivo, alla pratica del windsurf, prediligendo dei mari liguri e della Provenza le “situazioni estreme”, quelle delle grandi mareggiate. Fonda assieme a altri amici, la sezione velica del Mirage Windsurfing Club, oggi una delle associazioni più vecchie in Italia per la pratica del windsurf. Questa formazione di sportivo e di partecipazione a associazioni di servizio quali, prima, il Leo e, successivamente, il Lions e il Panathlon, sviluppano in Tullio il suo impegno sociale e politico. Nel 1995 entra nel Consiglio Comunale di Albissola Marina e nel 1999, dopo quattro anni di impegno e proposte, con il cambio di amministrazione, entra in maggioranza. In tale occasione, tenterà, avendo avuto dalla nuova giunta del Comune di Albissola Marina l’incarico alla cultura, di definire un progetto innovativo per inserire le Albisole nel contesto nazionale della cultura, dell’arte e dell’artigianato artistico ceramico. Di questo progetto il nucleo più importante e impegnativo è quello relativo alla costituzione di una rete museale delle Albisole. Ma questo disegno trova incomprensioni, in verità incomprensibili, e Mazzotti, per coerenza, lascia questo incarico soltanto dopo nove mesi. Dopo la morte della mamma Rosanna, nel 1985 entra a lavorare nella Fabbrica Mazzotti per occuparsi della produzione ceramica, dei rapporti con gli artisti e dell’organizzazione di eventi cultuali. Nel 1987 con la consulenza di Fulvio Rosso e la collaborazione di Antonella Marotta allestisce il primo Museo d’Arte Ceramica Contemporanea nelle Albisole. Successivamente, nel 1999, con l’aiuto di Paula Cancemi, allestisce il percorso museale nel Giardino, che in seguito diverrà sede di manifestazioni culturali e luogo di ritrovo per l’arte albisolese. E in questi anni che Tullio prende le mosse per un suo impegno personale sempre più fecondo nel campo artistico e culturale. Se già nel 1969 aveva esposto delle sue opere presso la Galleria “Alba Docilia” di Albisola Capo, e negli anni settanta presso gallerie di Monaco di Baviera, Faenza, Firenze, con gli anni Ottanta e Novanta partecipa ad eventi artistici di livello nazionale ed europeo (Genova, Albisola, Torino, Amsterdam) e si dedica anche ad una intensa attività editoriale (fonda il periodico Il Tornio, Notiziario Culturale della Ceramica, pubblica numerosi volumi sulla storia della ceramica albisolese). Nell’ambito dell’Associazione Ceramisti di Albisola e in collaborazione con le amministrazioni pubbliche redige il disciplinare del Marchio D.O.C. sulla produzione ceramica di antica tradizione. È stato segretario del Comitato di Disciplinare di tale Marchio, membro della Commissione museale Manlio Trucco del Comune di Albisola Superiore e della Commissione Nazionale del Settore Ceramica della Confartigianato, incarichi che ricopre pienamente convinto della necessità di collaborazione fra le istituzioni e le manifatture artigiane. Nel 2002 istituisce la Fondazione Museo Giuseppe Mazzotti 1903, che gestisce il museo con lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale e artigianale ed artistico di Albisola. La sua esperienza lo porta a ricoprire più ruoli: è un artigiano con un forte impegno improntato al dialogo verso gli altri ceramisti, è un operatore culturale per la sua attività nell’ambito della Fondazione Museo G. Mazzotti 1903, essendo editore de il Tornio, essendo fondatore del Comitato di Rigore Artistico; è un artista le cui opere sono esposte nei musei di Fiorano Modenese, Imola, Faenza, Laveno Monello, Pieve di Teco, Parco del Soio di Lusiana Vicenza, è una persona impegnata nel vita sociale partecipandovi attivamente attraverso associazioni di servizio. Nel 2005 suo padre, Bepi Giuseppe Mazzotti, ritiratosi a vita privata, gli lascerà il gravoso compito di rilanciare il ruolo produttivo e artistico della Fabbrica Casa Museo Giuseppe Mazzotti 1903 sulla scena nazionale e internazionale. Nel 2009, presso la Pinacoteca di Savona, viene presentata una monografia sul suo lavoro di pittore e nel 2010 è chiamato a realizzare la ventisettesima edizione de il Piatto dell’Estate a cura del Lions Club Savona Torretta. Nel 2022 fonda il Movimento Culturale Cenacolo degli Alfabeti in Albisola. Nel 2023 pubblica assieme al cugino Giovanni Rossello, il libro MAZZOTTI 120 a cura dei Paola Gargiulo.
Curriculum Incarichi ricoperti : 1993 - Ha ideato e scritto il Disciplinare di produzione per il Marchio Ceramica Artistica di Tradizione, poi approvato dai due Comuni Albisolesi e integrato nella legge 188/90 per la tutela delle zone di antica produzione ceramica 1994 - Ideatore de il Tornio, Notiziario Culturale della Ceramica (edito dall’Associazione Ceramisti di Albisola), poi direttore editoriale e oggi editore 1997/1998 - Segretario del Comitato di Disciplinare per l’applicazione del marchio D.O.C. Legge 188/90 1999 - Consigliere incaricato alla cultura del Comune di Albissola Marina 1999/2001 Vicepresidente dell’Associazione Ceramisti di Albisola 2001 - Fondatore del Comitato di Rigore Artistico, movimento d’opinione indipendente con sede in Pozzo Garitta Albisola 2002 - Membro costituente della Fondazione Giuseppe Mazzotti 1903 che oggi gestisce l’omonimo Museo 2002/2004 - Membro della Commissione Museale Manlio Trucco del Comune di Albisola Superiore 2005/2006 - Membro della Commissione Nazionale Ceramica della Confartigianato
Pubblicazioni : pubblica e edita 20 volumi sulla ceramica di Albisola, sulla famiglia dei Mazzotti ceramisti e sulla sua attività di artista pittore.
Presenze nei Musei : Museo della Ceramica di Fiorano (Modena) Museo della Piastrella Industriale Sacmi di Imola (Bologna) Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (Forli) Giardino Museo Giuseppe Mazzotti 1903 di Albisola (Savona) Raccolta d’Arte “Le Maschere di Ubaga” Comune di Pieve di Teco (Imperia) Parco del Sojo, Comune di Lusiana (Vicenza) Museo della Ceramica di Nove (Bassano) Museo dei Cuchi di Roana Cesuna (Vicenza) Museo della Ceramica di Laveno (Varese)
Arte : La sua prima mostra, con l'amico Flavio Roma, risale al 1969, dove alla Galleria Alba Docilia in Albisola Capo espone delle sculture “Ceramiche Boom”. Per Tullio Mazzotti l’arte è qualcosa di quotidiano. La sua prima esperienza creativa, l’arte Boom, è ricerca della bellezza estetica e materica. Poi la frequentazione successiva del liceo artistico fa crescere in lui la passione per il disegno; “un tratto sottile e irreale capace di creare fantasie o esternare i propri sogni”. Tutto ciò che lo circonda e lo emoziona diventa soggetto nei suoi lavori, una sorta di nuova ritrattistica dove la realtà è mediata da ciò che gli occhi vedono e dalle sensazioni/emozioni di quel momento. Poca importanza ha la materia su cui egli opera, sia essa una tela, piuttosto che un foglio di carta; poca importanza hanno i colori o i pennelli, usa solo colori primari, usa pochissimo i pennelli, molto le dita delle mani e il cuore. Predilige la pittura, il segno, senza però tralasciare la scultura e altre forme espressive visive sino alla scrittura. È impegnato nel tentativo di avvicinare il più possibile l’arte al fruitore finale attraverso uno stretto legame emotivo che dovrebbe esistere fra chi realizza l’opera d’arte (l’artista) e lo spettatore.
Critica : VIETATO CALPESTARE L’ERBA, 2002 In occasione della mostra di disegni su carta intitolata "Vietato calpestare l'erba" tenutasi nel Giardino Museo della Fondazione GIUSEPPE MAZZOTTI 1903 di Albisola, il 26 ottobre 2002, Tullio Mazzotti ha presentato il suo manifesto artistico. I temi trattati sono relativi al "compito" che viene oggi delegato all'artista, a cosa egli debba fare (o dire) attraverso la sua arte, se l'opera debba o meno essere considerata eterna o al contrario essa abbia una sua vita. Le dichiarazioni, i proponimenti e il testo del manifesto sono accompagnati da un intervento critico di Franco Dante Tiglio che ha trattato e analizzato il rapporto artista-mercato-fruitore. Durante l'inaugurazione della mostra è stato proposto un dibattito a cura di Bruna Magi "Dimentichiamoci l'eternità: quando scade un'opera d'arte?" Sono intervenuti: Oscar Albrito, Germano Beringheli, Antonella Briuglia (assessore alla cultura del comune di Albisola Superiore), Carlos Carlè, Secondo Chiappella, Enzo L'Acqua, Stefano Parodi (sindaco di Albisola Marina) e Franco Dante Tiglio. L'artista ha esposto 130 disegni su carta (dimenzione cm 70 x 100) disponendoli sui viali del giardino e invitando (attraverso il titolo della mostra) i visitatori a camminare sulle sue opere. L'intento è stato quello di far provare allo spettatore delle emozioni (inevitabilmente scatenate dal dover calpestare i disegni) e attraverso esse affrontare i temi critici della mostra. L'inaugurazione è stata video ripresa da Fulvio Cerulli e la RAI ha effettuato un servizio giornalistico a cura di Pierantonio Zannoni. Tutti i disegni sono stati fotografati prima della mostra e successivamente recuperati e conservati. La componente ludica della mostra di grafica di Tullio Mazzotti investe aspetti complessi, che riguardano il rapporto dell'artista con la propria opera e con lo spettatore. Sede della singolare esposizione è il Giardino Museo della Fondazione Giuseppe Mazzotti, disegnato ad aiuole e viali, luogo familiare ad un vasto pubblico di cultori d'arte, sia per la presenza di numerosi lavori di illustri Maestri, sia per le periodiche manifestazioni artistiche che vi si svolgono durante il periodo estivo. Solitamente, nel corso di tali appuntamenti, lo spettatore circola liberamente lungo i viali e sui verdi tappeti delle aiuole. Ma, in questa occasione, Tullio Mazzotti, con i suoi grandi disegni, ha ricoperto interamente il selciato dei viali, cosicchè, a causa del divieto di calpestare l'erba, non resta al pubblico altra alternativa se non quella di camminare sopra i disegni. Questa soluzione crea una comprensibile perplessità, poiché si può calpestare impunemente un foglio di carta anonimo, ma non un'opera che contiene un messaggio artistico. Bloccato fra il divieto di calpestare l'erba e la riluttanza a camminare sui disegni, lo spettatore può uscire da questo impasse soltanto se affronta risolutamente il compito che Mazzotti gli ha delegato e cioè quello di valutare la qualità dei disegni e decidere, caso per caso, di camminarvi sopra se il giudizio sarà negativo, o di risparmiarli, in caso contrario. Non è la prima volta che un artista induce il pubblico a camminare sulle sue opere. Lo aveva fatto Pinot Gallizio con la Caverna dell'antimateria" alla Galleria Drouin di Parigi (1959) e, ad Albisola, Secondo Chiappella, allorché, nel 1972, aveva tappezzato la piazza del Comune con disegni (su plastica) di "corde", che simbolicamente imprigionavano spazio e pubblico. Non è compito del presentatore, in questo caso, procedere ad un esame critico dell'opera grafica di Tullio Mazzotti; tale esame, come si ∂ detto, ∂ stato demandato al pubblico. Mi soffermerò, invece, sulle motivazioni implicite nella manifestazione. Dalla quale si può anzitutto dedurre che un'opera artistica esiste come qualcosa che è in grado di trasmettere qualcos'altro a qualcuno; il segno inventato dall'artista concretizza un significato soltanto a posteriori, nella comunanza di esperienze emozionali fra artista e fruitore. L'allestimento e il metodo espositivo di Tullio Mazzotti si basa su questa concezione. Inoltre, con la sua azione, Mazzotti non solo abolisce i rituali tradizionali del consenso convenzionale, ma anche qualsiasi interferenza di tipo auratico fra il suo lavoro e lo spettatore, partendo dal principio che il valore artistico di un'opera non è dato come qualcosa di scontato. E' lo spettatore che, di fronte all'opera, deve assumere un ruolo non più marginale, ma essenziale: quello di protagonista e giudice. Questa mostra è quindi una sfida al sistema dell'Arte ed è diretta a instaurare un rapporto fra opera e fruitore fondato sul consenso reale e non su quello artefatto, manipolato dai mezzi persuasivi del mercato. Mazzotti è particolarmente sensibile al rapporto fra artista-opera-pubblico: emancipando l'opera dai legami con il suo stesso creatore e dalla influenza del mercato, egli la riconsegna direttamente al suo vero e unico fruitore finale: il pubblico. A sua volta il pubblico non può limitarsi a uno sguardo distratto; il suo giudizio diventa decisivo per la stessa sopravvivenza dell'opera: se questa è artisticamente valida, vive, in caso contrario, viene "sacrificata". E' messo alla prova il tasso artistico dell'opera, ma anche la capacità di giudizio dello spettatore, il quale è posto sullo stesso piano del creatore, anzi, un po' più su, poiché deve giudicare ciò che l'artista ha creato. L'azione di Mazzotti è anche un atto di umiltà e di ricerca di assoluto. Egli non esita a compiere un atto spartano e stoico nei confronti del suo lavoro, per una esigenza di verità. Per attuarlo bisogna credere a qualcosa di più alto e di più forte dello stesso sentimento di attaccamento alla propria arte. Nel momento in cui si parla tanto di Arte che non stimola, Mazzotti instaura una situazione che fa scattare una forte presa di coscienza da parte del pubblico e che, per di più, si inquadra nella tradizione dei gesti più significativi e trasgressivi, operati dagli Artisti di Albisola nella loro ricerca di assoluto, dai futuristi degli anni '20, ai buchi e tagli di Fontana (1949), agli exploits di Piero Manzoni ("Linea infinita", Galleria del Pozzetto, 1959, "merda d'artista", Galleria Pescetto, 1961) e di Aurelio Caminati ("I falsi ideologici", Galleria A 77, 1966), alle performances di Jorn (uso della Lambretta sul pannello in ceramica di Aàrhus, 1959), di Nicola Petrolini (Galleria dei Leuti, 1970), di Chiappella (1972), già ricordata, di Agostino Scrofani ("10 Personaggi per un Museo", 1977), di Enzo L'Acqua e di Attilio Antibo (pavimento in terracotta con i giochi per bambini, Pozzo Garitta,1978), Muro Raku (piazzetta della Concordia,1978). Tutti segnali della inesausta vitalità dell'ambiente creativo albisolese, la cui costante è quella di non appagarsi mai e di ricominciare ogni volta una nuova avventura artistica. Franco Dante Tiglio OPERA APERTA 2004 Con la performance realizzata a Pozzo Garitta, nell'ex studio di Lucia Fontana, Tullio Mazzotti ha messo a fuoco il concetto di "opera aperta" per dimostrare che la creazione artistica è un atto vivente in perenne espansione, al di sopra dello steso artista-creatore. In questo contesto il gesto pittorico come segno della creatività e sintomo degli stati riflessivi ed emotivi interiori diventa l'atto innovatore perennemente rinnovantesi, che interroga l'opera e svela nuove soglie percettive, dalle quali è possibile ripartire alla scoperta di ulteriori scenari espressivi. In questa disponibilità del dipinto a soluzioni nuove e diverse, nel gioco di una vitalità organica che i segni e il colore possiedono a priori, si concretizza l’idea di "opera aperta". Sulla scorta di questi concetti è fondata la legittimazione critica della esposizione di Tullio Mazzotti, il quale in una sua breve autopresentazione, ne ha anche sintetizzato le finalità: "Con questa mostra intendo ribadire la necessità di instaurare un rapporto emotivamente più diretto fra autore-opera-pubblico". Per raggiungere il suo scopo, l'artista albisolese ha esposto un dipinto su tavola (cm 170x300) "sufficientemente grande perchè i gesti possano essere totalmente liberi"; accanto al quadro ha sistemato un tavolo con i materiali e gli strumenti di lavoro del pittore (barattoli di colore, pennelli...) per consentire a se stesso, ad altri artisti e agli stessi visitatori, di intervenire sul dipinto a loro piacimento, dialogando con l'opera, interpretandone i suggerimenti. L'invito ha incontrato una vasta adesione: artisti, visitatori e naturalmente lo stesso autore, per l'intero corso dell'esposizione, si sono alternati a dipingere sul quadro, intervenendo anche massicciamente sulla sua composizione fino a trasformarne totalmente la concezione originaria. Cancellare, aggiungere, sovrapporre, sviluppare, modificare, vuole dire interpretare ciò che sta sotto o dentro il labirinto della pittura. L'opera d'arte è un piccolo universo, che espande se stesso; propone sempre nuove possibilità espressive, che ciascuno può individuare e interpretare secondo la propria sensibilità e la propria forza di immaginazione: ma per scoprirle "bisogna, camminare “dentro il quadro", come aveva osservato Renato Birolli con una felice metafora. Nel quadro sono latenti messaggi plurivoci, che attendono di essere portati alla luce: essi non solo propongono nuove direzioni di lettura, ma suggeriscono una gamma indefinita di altre soluzioni, sfoderando dal loro interno nuove prospettive pittoriche. Il grande dipinto, che Tullio Mazzotti invitava a interrogare e a trasformare, scoprendone e sviluppandone le relazioni interne, è sostanzialmente un'opera d'arte in movimento. Ogni successivo intervento pittorico su di esso appare in se risolutivo da1 punto di vista dell'interprete che l'ha praticato, e tuttavia, al tempo stesso, secondo il punto di vista di un nuovo interprete, è provvisorio: l'una versione esclude l'altra, tutte sono ugualmente valide. Sono stadi diversi e autonomi di un quadro in movimento. Tutto è già presente nell'opera originaria: un infinito latente nel finito. Le successive metamorfosi del quadro pongono problemi nuovi di lettura soprattutto nel fruitore, poiché modificando la natura ¬dell'opera, instaurano una nuova pagina di rapporti e di reazioni emotive e quindi nuove situazioni comunicative. Ma Tullio Mazzotti voleva proprio questo. Coinvolgendo lo spettatore nella lettura-interpretazione dell'opera, intendeva provocare una presa di coscienza sulla natura della creazione artistica per instaurare un rapporto "emotivamente più diretto" fra spettatore e opera d'arte. A questo punto diviene più comprensibile anche il concetto di "creazione continua", secondo il quale il quadro accede ad una vita autonoma, che appare sfuggire al controllo dello stesso autore. E' comunque evidente che Tullio Mazzotti, facendo toccare con mano la ricchezza dei significati possibili di un'opera d'arte, esalta al tempo stesso il valore della informazione estetica contenuta nell'opera stessa. Per quanto riguarda la pittura di Tullio Mazzotti, possiamo rilevare che ci troviamo di fronte a meccanismi linguistici assunti dai mass medi e dalla pop cultura, calati in un contesto espressivo fortemente sintetico,come flash che captano i momenti salienti di un evento o di uno stato d'animo. La sua arte è un diario figurato di un viaggio nell'esperienza di ogni giorno, in cui l'artista registra immagini ricordo, che hanno marcato la sua storia personale. E' una storia che procede nel tempo: l'artista la sta documentando da anni con sincerità e commozione, ma anche con le ribellioni, che confermano la sua tentazione a uscire dalle righe ogni volta che incontra situazioni di alterità provocate da un diffuso conformismo morale. La sua pittura non è ne una metafisica e neppure una pittura sperimentale; il linguaggio che la caratterizza è crudo e immediato, fatto di distorsioni, di gestualità, di movimento; esso si colloca in un contesto auto ironico e fonde spunti autobiografici e filosofia esistenziale per riaprire un discorso con l'uomo comune e con il quotidiano. Nella quotidianità Tullio Mazzotti ritrova la sincerità e lo spessore emotivo della vita fucina di energia, di verità, di libertà di sentimenti e di pensiero, repertorio inesausto di forme e di esperienze. Riedita immagini convenzionali della tecnica pubblicitaria e fumettistica in modo non convenzionale, per caricare il segno al limite delle sue possibilità semantiche, sfidando il paradosso. Nel linguaggio dell'artista albisolese il paradosso acquista una propria logica e opera uno spostamento del punto di osservazione, che consente l'invenzione di forme più efficaci per dialogare con l'uomo comune. E' quindi un segno di libertà espressiva, che avvicina l'immagine, come una lente di ingrandimento, e la rende più percepibile e comunicativa: è un mezzo, quindi, che si risolve in un potenziamento dell'informazione. Pur utilizzando l'immagine figurativa, Tullio Mazzotti la priva della valenza realistico-narrativa, annullando i confini del convenzionale, e la inserisce in un gioco linguistico, nel quale ciò che conta è il modo in cui l'immagine mostra se stessa, vale a dire il modo in cui i segni e il colore la rappresentano. Tullio non si nasconde dietro lo stile. In una società in cui sono eclissati i valori artistici ed etici, che erano alla base della vita sociale, all'artista non resta che ricorrere alla filosofia del quotidiano, che rivolge la propria attenzione su ciò che, accadendo, stimola azioni e reazioni emotive sincere, scuotendo l'apatia provocata dallo scollamento fra arte e realtà. Franco Dante Tiglio
IL PIATTO DELL’ESTATE, 2010 Per “trovarsi”, un giorno, nei nostri oggetti Ha voluto inserirsi tra i “trasgressivi”, Tullio Mazzotti, interpretando il “Piatto dell’estate 2010” per il Lions Club Savona Torretta. Non ha accettato, cioè, di interpretare, con la propria arte, il tradizionale piatto ceramico, trenta centimetri circa di diametro, proposto agli artisti che l’hanno preceduto nelle edizioni dal 1984 a oggi. Ha preteso di più, o almeno, ha ricercato un qualcosa di differente che superasse le pure sembianze del piatto in favore di una superficie pittorica accogliente, ampia, simbolica, finita e, nello stesso tempo, infinita. Infinita perché l’originaria cavità del piatto è stata pressoché eliminata costituendo una superficie piana che sembra espandersi nello spazio. Infinita, ancora, perché la forma tondeggiante rimane, com’è stato nel percorso della storia dell’arte, sintesi di perfezione, rimando a un qualcosa di altro, di superiore, di archetipico. Ma anche finita poiché l’autore stesso ha posto filosoficamente un doppio limite: un perimetro d’oro, in rilievo, che circoscrive lo spazio e che, a sua volta, è contenuto in un bordo circolare che riporta la dicitura “Lions Club Savona Torretta – Il piatto dell’estate 2010”. Tutto ciò che accadrà all’interno dell’opera avverrà nell’hic et nunc del momento indicato: quello spazio sarà il laboratorio in cui Mazzotti inviterà il pubblico a interagire, ma soprattutto a confondersi con un titolo che parla non a un ipotetico “io”, ma a un “noi”. “Noi & i nostri oggetti”. Non è il solo, Mazzotti, a comparire nell’elenco dei “trasgressori”. Nell’ormai lunga storia del “Piatto dell’estate” sono quattro gli autori che hanno voluto lasciare un segno partendo da un intervento sulla forma o sulla strutturazione del piatto. Sergio Dangelo, nel 1990, e Enrico Baj nel 1993, fondatori della Pittura Nucleare negli anni Cinquanta, sono partiti dal negativo incidendo il calco e ottenendo, così, un intervento a rilievo sul piatto su cui hanno successivamente lavorato pittoricamente. Matteo Thun, socio fondatore dello Studio Sottsass Associati e dello storico Gruppo Memphis, nel 2007, ha riprogettato il piatto capovolgendo completamente la visuale. Intervenendo sul retro del piatto grezzo, sul biscotto, ha individuato tre livelli differenti: il bordo esterno, raffigurante simbolicamente la spiaggia di Albisola; un cerchio intermedio cristallino, realizzato con smalti a craquelure, simbolo del mare più profondo appena penetrato dai raggi della luce; un cerchio rosso o dorato, al centro, sintesi del sole che si infiamma sul mare albisolese. Giampaolo Parini, infine, nel 2008, in occasione del venticinquesimo dell’iniziativa, ha optato per una rottura totale scegliendo una forma alternativa, il quadrato, che invitasse il pubblico e gli organizzatori a fermarsi, riflettere e voltarsi indietro per rileggere il percorso fatto sino ad allora. Mazzotti segue questo percorso “altro” apportando ulteriori e personali letture in una storia artistica, quella del Piatto dell’estate, estremamente ricca che ha coinvolto importanti artisti a raccontare un po’ della loro arte - tutte opere sono conservate negli spazi espositivi della Pinacoteca Civica di Savona - entro lo spazio “inventato” dai Lions. Il re sognante di Emanuele Luzzati, a cavallo tra il personaggio di una fiaba e un mondo ricco di simbolismi e rimandi a tradizioni lontane e antiche che trovano nell’ebraismo le proprie radici; i volti lievi e penetranti di Ernesto Treccani, che proprio a Albisola scoprì e si innamorò della ceramica e delle potenzialità di questa materia, insieme a Mario Rossello, Mario Porcù, Gigi Caldanzano e Gaston Orellana. E ancora, la figura avvolta da perenne dinamismo di Aurelio Caminati, sia un uomo su una nave in balia del vento sia un personaggio mitico sospeso nelle bufere dei cieli; gli animali, a cavallo tra tradizione cubana e graffitismo contemporaneo, di Alfredo Sosabravo, le opere di Sandro Lorenzini, Gianni Celano Giannicci e la terra arsa dal calore e attraversata da tracce di vita luminosa e intensa di Carlos Carlé che, con la sua opera, interroga la materia nel profondo della sua origine. Ancora, i colori e il mondo ludico-concettuale di Ugo Nespolo, le opere di Giorgio Oikonomoy, del maestro Roberto Bertagnin, di Marcello Peola, di Dino Gambetta, sino alla poesia che si fa arte di Milena Milani per l’edizione 2003. Infine, i colori e il segno incisivo del maestro della performance, Giorgio Moiso, gli interventi di Renata Minuto, Franco Bratta e Giuliano Ottaviani. Con una storia così densa di significato si è confrontato Tullio Mazzotti prima di mettersi al lavoro per creare, mutuando la terminologia dalla Linguistica, un nuovo significante nel più ampio e complesso significato del corpus del Piatto dell’estate. Ed è, forse, il peso di un passato così importante che ha indotto l’artista a creare un intervento che non fosse solo pittorico, ma che racchiudesse insieme le valenze di una riflessione più complessa, sintesi di una storia e di un percorso personale estendibile universalmente a ogni individuo che si voglia affacciare nell’oblò del Piatto dell’estate. Non solo, quindi, un intervento artistico, ma un invito rivolto a tutti a confrontarsi con un’opera che riflette, senza essere specchio, il volto di ognuno di noi. Ciascuno degli ottantaquattro piatti si articola su due diversi piani spazio-temporali: un momento del passato o della memoria, tradotto attraverso la tecnica della decalcomania, e il presente, l’oggi, l’istante, reso pittoricamente da una pennellata rapida e poco definita che ritrae volti dai contorni monocromi. Il passato, che alterna un trascorso più antico a una dimensione recente quanto atemporale, è rappresentato da due tipologie di sfondi: ricordi personali della vita dell’artista, ma anche oggetti estrapolati dal mondo quotidiano. Occhiali, un profumo, un bicchiere, una penna, della frutta. “Cose” appartenute a tutti noi, che sfiorano ogni giorno la nostra vita. Più intimi i disegni, le opere e persino una foto di Mazzotti insieme al suo cellulare che riproduce, sullo schermo, un disegno caro all’artista. In un solo caso gli strati spazio-temporali sono tre: in una serie di piatti il volto dipinto è tracciato su un doppio sfondo storico e artistico costituito dal progetto del futurista Vaso Motorato di Torido, nella recente riproduzione di Tullio Mazzotti, e dall’immagine di una Vespa, fedele compagna e leit motiv della sua arte. Un passaggio non solo complesso a livello concettuale quello compiuto dall’artista, ma anche tecnico implicando, per la resa definitiva di ogni singola opera, ben cinque cotture differenti atte a fissare, strato per strato, gli svariati livelli della foggiatura, dell’applicazione della decalcomania, il fissaggio della pittura e, infine, la cottura dell’oro. Si crea così uno stretto legame, quasi un parallelismo, tra la fase tecnica e quella contenutistica unite da un comun denominatore, il tempo, che ha un ruolo fondamentale sia nella concreta costruzione dell’opera, dalle singole fasi alle cotture, sia nella scansione contenutistica, frutto della stratificazione di momenti differenti della vita. La sintesi artificiale è compiuta dall’artista che tenta di fondere, o almeno di porre a confronto, il passato e il presente. Un passato fatto di storie di ogni giorno, con gli oggetti di ogni giorno: un flute di vino bianco e un paio di occhiali, una caffettiera Bialetti con due tazzine bianche colme di caffè, un profumo, una pera e una penna, della frutta. Ma tutto ha inizio, come l’autore stesso spiega, da un motivo insolito, lontano dal suo usuale mondo pittorico: una serie di piatti, infatti, è dipinta sopra una decalcomania raffigurante una scia di cuori, gonfi e lucidi come palloncini, che potrebbe provenire da un contesto di Pop Art o, semplicemente, dal diario di un adolescente. Il messaggio è diretto e semplice e si completa solo considerando come un tutt’uno lo sfondo e i volti dipinti nella parte in superficie. Si tratta di un invito a liberare le emozioni, per quanto possa essere difficile, a volte doloroso, spesso rischioso. Un invito ad abbattere i filtri che mediano gli stati d’animo, che rubano spontaneità ai gesti, alle espressioni. I volti raffigurati sullo strato superiore della scia dei cuori portano in sé a volte il dubbio e la paura, altre il sorriso d’aver accettato la sfida della vita vissuta sino in fondo, senza remore, senza timori. Un obiettivo, una conquista a cui l’artista stesso è giunto dopo un lento e faticoso lavoro su se stesso, narrato dalla sua complessa produzione artistica e sintetizzato negli sfondi riportati nel Piatto dell’estate. Ed ecco che il percorso intimo e personale si fa strada nella storia universale. Tre sono i racconti del passato privato di Mazzotti: il Vaso Motorato, simbolo storico della tradizione della famiglia, con la Vespa, il disegno “Sto urlando”, sintesi di una rabbia esplosa nel gesto e nel grido, l’opera “Davanti alla tivù” dove un uomo sul divano, guardando la televisione, vede o sogna un volto amato e accogliente. Infine, una foto dell’artista a cui si sovrappone l’immagine di un cellulare aperto che sul display riporta l’immagine di un disegno di Mazzotti, “La bestia”, un volto animalesco rabbioso e feroce. È un percorso complesso quello che l’artista narra all’interno del Piatto dell’estate. Un universo a cui lo spettatore è invitato a partecipare solo dopo aver rispettato il monito iniziale: abbandonare i filtri della ragione per lasciar circolare il moto delle emozioni. Ora il gioco può avere inizio, a partire dall’incontro con gli oggetti quotidiani. Il flute, che compare per la prima volta nell’opera di Mazzotti a sostituire i rudi bicchieri da osteria, è accostato agli occhiali: ricordo di una cena d’amore, del pasto con un amico o, ancora, di un pranzo in solitudine. Una solitudine che non fa male. Ancora, la caffettiera con due tazzine: un momento conviviale, con la moka casalinga, una pausa calorosa, in famiglia. E poi il profumo, dono della donna amata oppure regalo di Natale impersonale, insieme a una elegante penna stilografica. La frutta: un opulento grappolo d’uva, un tocco esotico nell’anans, una mela e una banana. Quante, quali storie? Quale la storia di Mazzotti? O meglio, quale la storia di ciascuno di noi che sta guardando l’opera di Mazzotti? In un gioco di rimandi tra autore e spettatore, tra osservato e osservatore, lo scambio richiama una celebre opera di Giulio Paolini, “Giovane che guarda Lorenzo Lotto”, 1967, dove il ritratto di un giovane, riproduzione dell’opera di Lorenzo Lotto, osserva chi gli si pone davanti, il pittore, Paolini, o lo spettatore. Paolini così scriveva a proposito della sua opera: “A un certo punto non saprete più distinguere se siete voi a guardare l’opera o se, invece, è l’opera a spiare il vostro guardare”. Un procedimento simile avviene con i piatti di Mazzotti attraverso una doppia mimesi: da una parte l’identificazione negli oggetti quotidiani, appartenuti, utilizzati, posseduti da tutti, dall’altra lo sdoppiamento osservatore-osservato che porta a un assorbimento totale all’interno dell’opera, come in una relazione di specchi. Se l’uso degli specchi era tipico dell’opera di Michelangelo Pistoletto al fine di inglobare lo spettatore nella dimensione artistica, Mazzotti opera su un livello più inconscio, ma altrettanto efficace costringendo lo spettatore a una sorta di autoriflessione dove, per un attimo, l’osservatore è solo con se stesso, con i propri oggetti, immerso in una dimensione universale quanto personale dove l’identificazione con quel vissuto e con quei volti crea una sottile relazione di interscambio. Proprio per facilitare e favorire questo flusso opera-spettatore i volti monocromi ritratti sulla superficie del piatto sono poco curati nei particolari, appena tracciati da pennellate rapide e spesse conservando la freschezza di un’istantanea scatta per caso. Nel gioco dei rimandi, spazio trova anche una via più intima e personale legata alla storia dell’artista che porta con sé, nell’esperienza del Piatto dell’estate, alcune opere simboliche del passato. Se il Vaso Motorato sintetizza la storia della famiglia Mazzotti, eccezionale patrimonio umano e culturale, ma anche fardello da portare sulle spalle, la Vespa è sintesi di libertà e della voglia di ribellione, di fuga da tutto ciò che può essere soffocante o normativo. Densa di significato anche la riproduzione del disegno “Sto urlando”, dove un uomo con il braccio e l’indice destro alzati apre la bocca protestando. Una protesta che, nel momento in cui è stata realizzata, non deve essere apparsa abbastanza violenta all’arista che ha scelto di rimarcare, attraverso l’inserimento del titolo all’interno del disegno stesso, la rabbia di un urlo di protesta troppo spesso inascoltato. Una protesta che appartiene al “secondo piano” del ricordo, a un passato su cui oggi muovono visi che accennano un sorriso. Tuttavia, Mazzotti porta con sé, nel Piatto dell’estate, un’opera simbolica, a sottolineare una rabbia sedata, ma sempre pronta, in embrione, a risvegliarsi per urlare la propria collera non con la voce ma con l’arte. Il percorso personale prosegue con un disegno che riproduce un uomo di spalle intento a guardare la televisione. Un’opera giovanile rimaneggiata di recente dall’autore che ha tracciato sopra lo schermo televisivo il volto di una donna sorridente e accogliente che si sovrappone ai messaggi pubblicitari. Un desiderio di affetto, ma soprattutto la voglia, forse la certezza, di essere finalmente accettato e amato nella propria interezza, nel superamento di una dualità esterno-interno, sintetizzata nella scultura del 2006, “Cubo”. L’opera, conservata nel Giardino Museo Giuseppe Mazzotti 1903, un cubo in ceramica dorata, presenta sulle sei facce della sagoma impronte, tracce, segni della vita di tutti i giorni, accessibili e visibili a tutti. Ma l’essenza dell’opera sta all’interno, dove l’autore ha nascosto oggetti personali, intimi, emblema di un’interiorità celata agli altri, mai condivisa e irraggiungibile se non frantumando l’opera. Una fase artistica e interiore superata nel Piatto dell’estate dove, in particolare, la scia di cuori invita l’autore stesso e il pubblico a non avere paura di liberare i propri sentimenti per approdare al gioco di rimandi con il disegno dello strato superiore, dove un viso di donna tracciato sulla televisione costituisce un volto che saprà amare, accettare, leggere ciò che sta dentro al Cubo. In questo percorso verso una rinascita, Mazzotti ritrova se stesso in una nuova e chiara presa di coscienza del proprio essere, dove il filtro dell’arte diviene secondario giungendo all’ultima opera costituita dalla sua stessa immagine. Questa volta non sono i ricordi né le sue opere a parlare per lui, ma è il suo stesso volto, il ritratto fotografico riprodotto sulla base del piatto, a comunicare senza filtri. Copre parte dell’immagine una ulteriore riproduzione fotografica di un cellulare che sul display riproduce “La bestia”, un disegno dell’artista a tecnica mista del 2005. Un’opera che stride con il volto sereno e pacato dell’autore. Proprio nell’accostamento sta il passaggio concettuale e interiore compiuto: la rabbia, le incomprensioni, l’affetto negato che un tempo mutavano in una ferocia aggressiva trasformando l’uomo-artista in una belva inferocita, oggi divengono una sorta di alterità mentre l’autore può finalmente guardare direttamente il pubblico. Il volto è riflessivo, sereno, specchio di una raggiunta chiarezza interiore che non rende i dubbi e i dolori antichi più lievi, ma almeno più autentici privandoli delle alchemiche metamorfosi che, attraverso l’arte, Mazzotti esprimeva in un linguaggio criptico e spesso di difficile lettura. Tutto questo sembra lontano dal presente, ma mai troppo. Mazzotti avverte chi gli sta intorno: la bestia feroce è ancora viva, pronta a impadronirsi del suo animo, della sua parte più istintuale per mutare la rabbia in ferocia. Tuttavia non c’è più coincidenza tra “La bestia” e la rabbia dell’artista. L’animale è stato isolato e ora costituisce una sorta di doppio dormiente, ma sempre minaccioso: il ventre da cui nacque, scriverebbe Brecht, è ancora fecondo. Allo stesso modo Mazzotti, disarmato dopo aver abbattuto i filtri della razionalità, sembra compiere un passo indietro, una regressione, minacciando per difendersi dagli altri il risveglio della belva ingabbiata nel telefonino. Un “doppio” sedato, in attesa del pericolo per gridare e riportare a galla l’irrazionale e l’aggressività più viscerale, il Dioniso capace di impadronirsi del suo essere. La minaccia, però, appare lontana. Mazzotti osserva ed è osservato, proprio come il giovane che guarda Lorenzo Lotto. In un gioco di rimandi, lo spettatore si confonde con l’artista, con il suo volto e anche con il suo alterego, tanto che la bestia di Mazzotti diviene, per un attimo, la rabbia irrazionale di tutti noi, la nostra follia che divora ciò che non ci piace, ciò che ci ferisce, proprio come farebbe un bambino nel suo mondo parallelo della fantasia. Così il percorso dell’artista diviene la storia di ciascuno di noi, in cui ciascuno potrà leggere e ritrovare un po’ di se stesso, dei propri istinti, delle proprie gioie, ma soprattutto della propria vita. In questo percorso dove “trovarsi” significa ritrovare se stessi, la superficie piana del piatto acquista uno spessore infinito. Pur se tutto avviene, apparentemente, sullo stesso livello, la stratificazione spazio-temporale apre le porte alla voragine dei nostri ricordi, del nostro passato e soprattutto della nostra interiorità. Per risvegliarci, un giorno, con una nuova consapevolezza in cui tutto sarà chiaro, com’è avvenuto per Mazzotti. Senza paura di guardare ai sentimenti, di pensare al futuro e di volgere lo sguardo al dolore. Silvia Campese