Battaglia di San Pietro

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La battaglia di San Pietro o battaglia della Crocetta o battaglia di Parma fu una battaglia combattuta il 29 giugno 1734, tra franco-piemontesi e austriaci, come parte della Guerra di successione polacca, in località Crocetta di Valera, a pochissima distanza dalla città di Parma.

Battaglia di San Pietro
parte della guerra di successione polacca
La battaglia di Parma in una stampa del XVIII secolo
Data29 giugno 1734
LuogoLocalità Crocetta, ad ovest di Parma, (Ducato di Parma).
EsitoVittoria franco-piemontese
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
60.00050.000
Perdite
4.400 tra morti e feriti6.200 tra morti e feriti
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Antefatti

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di successione polacca e Battaglia di Colorno.
 
François de Franquetot de Coigny

I franco-piemontesi marciarono su Milano nel 1733 e occuparono la Lombardia senza perdite significative. Dopo la conquista di Tortona nel febbraio 1734, la brutta stagione rallentò le operazioni militari e l'esercito si accampò per l'inverno.

Quando l'ottantunenne maresciallo Claude Louis Hector de Villars morì il 17 giugno 1734, il comando delle truppe francesi in Italia fu assunto dai generali de Broglie e Coigny, che furono promossi marescialli. Le truppe piemontesi erano comandate dal re Carlo Emanuele III di Savoia.

Gli austriaci erano sotto il comando di un altro duo, il maresciallo Claudio Florimondo di Mercy e Federico Luigi di Württemberg-Winnental. I preparativi per la battaglia furono molto lenti, a causa delle divergenze di opinione tra i due comandanti. Gli austriaci finalmente si spostarono verso Parma, attraversando il fiume Po il 2 maggio con due ponti improvvisati a Portole e Monte di San Benedetto. I francesi presero posizione all'altezza di Sacca di Colorno, a nord di Parma. Il 25 maggio gli austriaci cercarono di rompere questa linea nella battaglia di Colorno, riuscendo a conquistare temporaneamente il paese il 3 giugno, per poi essere nuovamente ricacciati dagli eserciti franco-sardi solo due giorni dopo.

Poco dopo, all'età di 68 anni, il maresciallo di Mercy ebbe un colpo apoplettico, che lo privò per qualche tempo della vista e della parola. Egli trasferì temporaneamente il comando al principe di Wurttemberg e le operazioni si fermarono. Maggio e giugno trascorsero solo con occasionali incursioni da entrambe le parti.

La battaglia

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Il 29 giugno cinquantadue compagnie francesi di fanteria, guidate dal de Broglie, si mossero verso Parma. Si fermarono alle 7 del mattino in località Crocetta, poco a ovest e sotto le mura della città, a breve distanza da porta Santa Croce. Qui l'esercito formò quattro linee: tre francesi e una piemontese.

Il conte di Mercy attraversò il fiume Taro a capo dell'avanguardia militare austriaca verso le 10 del mattino, aprendo il fuoco sulle truppe francesi che retrocessero. In questo frangente de Mercy ordinò al principe di Wurttemberg di attaccare senza indugio. Il principe obiettò che doveva attraversare con più truppe il fiume e allinearle. De Mercy rispose: «Fate ciò che volete, io lo farò a modo mio». E condusse egli stesso l'attacco.

All'una del pomeriggio i francesi furono respinti, ma de Mercy venne ucciso, creando grande confusione tra gli austriaci. Il combattimento, molto duro da entrambe le parti, fu particolarmente accanito da mezzogiorno fino alle 19, per poi decisamente affievolirsi fra le 19 e le 21. A quel punto gli austriaci si ritirarono lasciando dietro di loro molti feriti. La battaglia fu considerata terminata a mezzanotte.

Gli austriaci si rifugiarono nell'odierna provincia di Reggio Emilia. Il principe di Wurttenberg trovò riparo nel castello di Montechiarugolo, dove scrisse una relazione della battaglia per l'imperatore, accusando del fallimento il maresciallo de Mercy, a causa di quella che egli considerava sconsideratezza da parte del defunto comandante.

La battaglia fu testimoniata dal drammaturgo veneziano Carlo Goldoni, che, in viaggio per raggiungere la madre a Modena, si trovava in quei giorni proprio a Parma. Nelle sue Mémoires egli scrisse:

«Giunto a Parma il 28 giugno 1733, vigilia di san Pietro, giorno memorabile per questa città, andai a prendere alloggio all'albergo del Gallo. La mattina uno spaventoso strepito mi sveglia. Balzo dal letto, apro la vetrata della mia camera, e vedo la piazza piena di gente: chi corre da una parte, chi dall'altra; alcuni si urtano, altri piangono, chi urla, chi è in desolazione; donne che portano i figli sulle braccia, altri che li trascinano sul terreno. Qua si vedono persone cariche di sporte, panieri, bauli e fagotti; là vecchi che cadono, malati in camicia, carrette sossopra, cavalli in fuga. Che cos'è questo, dicevo tra me: è la fine del mondo? Mi metto il gabbano sopra la camicia, scendo in un baleno, entro in cucina, domando, fo ricerche, e nessuno mi risponde. L'albergatore ammassa l'argenteria e sua moglie, tutta scapigliata, tiene in mano un piccolo scrigno e altre robe nel grembiule; voglio parlare, ella mi serra la porta in faccia e parte correndo. Che cos'è questo? che cos'è questo? domando a tutti quelli che incontro. In questo mentre vedo un uomo all'ingresso della stalla, lo riconosco per il mio vetturino e mi accosto a lui: egli era in grado di appagare la mia curiosità. - Ecco, signore, egli disse, tutta una città in spavento, e non senza ragione: i Tedeschi sono alle porte, e se entrano è inevitabile il saccheggio. Tutti si salvano nelle chiese: ciascuno porta i suoi capitali sotto la custodia di Dio. - Ma i soldati, risposi, in simili casi daranno luogo alla riflessione? eppoi i Tedeschi son tutti cattolici? - Mentre discorrevo così col mio conduttore, ecco che si muta scena: si ascoltan gridi di gioia, si suonano le campane, si tirano mortaretti. Tutti escono di chiesa, tutti riportano i loro beni: chi si cerca, chi s'incontra, chi s'abbraccia. E qual fu mai la cagione di questo cambiamento? Eccovene per l'intero il racconto. Un doppio spione, al soldo degli alleati come pure dei Tedeschi, era stato la notte precedente al campo dei primi nel villaggio di San Pietro, una lega distante dalla città, e aveva riferito che un distaccamento di truppe tedesche doveva foraggiare nei dintorni di Parma, con intenzione di fare una sorpresa alla città. Il maresciallo di Coigny, che comandava l'esercito, distaccò due reggimenti, Piccardia e Champagne, e li spedì per fare una ricognizione; ma siccome questo bravo generale non mancava mai di precauzione e vigilanza, fece subito arrestare lo spione, di cui diffidava, e fece mettere tutto il campo in armi. Non sbagliò; giunti i due reggimenti in vista delle fortificazioni della città, scoprirono l'esercito tedesco, composto da quarantamila uomini condotto dal maresciallo di Mercy con dieci pezzi di artiglieria da campagna. Facendo i Francesi la loro marcia per la strada maestra, attorniata da larghe fosse, non potevano retrocedere: si avanzarono dunque bravamente, ma furono quasi tutti sbaragliati dall'artiglieria nemica. Questo fu appunto per il comandante francese il primo segnale della sorpresa. Lo spione fu impiccato sul fatto, e l'esercito si mise in marcia raddoppiando il passo. La strada era angusta e la cavalleria non poteva avanzare; la fanteria però caricò sì vigorosamente il nemico, che lo sforzò a retrocedere: ed ecco il momento in cui lo spavento dei Parmigiani si convertì in giubilo. Tutti correvano allora sulle mura della città, e io pure vi accorsi. Non si poteva vedere una battaglia più da vicino; il fumo impediva di ben distinguere gli oggetti, ma era sempre un colpo d'occhio rarissimo, che ben pochi possono darsi il vanto d'aver goduto. Il fuoco continuo durò nove ore senza interruzione, e finalmente la notte separò i due eserciti: i Tedeschi si dispersero nelle montagne di Reggio, e gli alleati restarono padroni del campo di battaglia. Il giorno dopo vidi condurre a Parma sopra una lettiga il maresciallo di Mercy, ucciso nel calor della battaglia. Fu imbalsamato e mandato in Germania, o così fu fatto al principe di Wittenberg, che aveva incontrato la stessa sorte. Il dì seguente però, a mezzogiorno, si offrì agli occhi miei uno spettacolo molto più orribile e disgustoso. Lo formavano i cadaveri, ch'erano stati spogliati nella notte e si facevano ascendere a venticinquemila, tutti nudi e ammonticchiati. Si vedevano ovunque gambe, braccia, crani e sangue. Che eccidio! Attesa la difficoltà di sotterrare tutti questi corpi trucidati, i Parmigiani temevano un'infezione dell'aria; ma la Repubblica di Venezia, che è quasi limitrofa ai domini parmigiani, e interessata perciò a garantire la salubrità dell'aria, spedì calcina in grande abbondanza, al fine di sgombrare dalla superficie della terra tutti i cadaveri.»

Conseguenze

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Guastalla.

Gli austriaci contarono 6172 tra morti e feriti, tra i quali il maresciallo de Mercy e 6 generali; ci fu anche un gran numero di disertori. I francesi ebbero 1141 soldati morti e 2305 feriti, oltre a 104 ufficiali morti e 452 feriti. I piemontesi, secondo un documento della Biblioteca Reale di Torino, ebbero 75 morti e 324 feriti, tra cui 12 ufficiali morti e 41 feriti.

Gli austriaci lasciarono il campo di battaglia. Gli alleati franco-piemontesi controllarono il territorio fino al fiume Secchia, comprese le città di Guastalla, Reggio Emilia e Modena, da cui il duca di Modena Rinaldo d'Este fu costretto a fuggire per rifugiarsi a Bologna. Ciò nonostante la battaglia non è considerata una grande vittoria degli eserciti alleati, che si riunirono nuovamente il 19 settembre 1734, per scontrarsi contro gli austriaci nella battaglia di Guastalla.

Nel 1737, tre anni dopo questi avvenimenti, il nobile scozzese Alexander Dick annotò nel suo diario:

«Lasciammo Parma alle 11 di sera, e uscimmo dalla porta dove tre anni fa si combatté la grande battaglia in cui caddero tanti uomini. Gli imperiali occupavano il campo sulla sinistra, i francesi sulla destra. [...] Era straordinario vedere gli alberi e le siepi su ogni lato della strada, per tutta la sua lunghezza sbrecciati nei rami e nelle cortecce dai colpi di moschetto: come sono numerosi e assai evidenti i buchi delle palle di cannone sulle fattorie»

Il corpo del Reggimento guardie si distinse particolarmente durante il combattimento: nel 1954 fu posta una lapide nel luogo della battaglia per ricordare il sacrificio dei suoi uomini.

Bibliografia

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  • Ludovico Oberziner, La battaglia di Parma, in "Atti del congresso internazionale di scienze storiche", 1906.
  • Gianfranco Stella, Parma, ed. Quaderni parmensi, Parma, 1988
  • Adele Vittoria Marchi, Parma e Vienna: cronaca di tre secoli di rapporti fra il ducato di Parma Piacenza e Guastalla e la corte degli Asburgo, Artegrafica Silva, Parma, 1988 - ISBN 88-7765-006-0
  • Giancarlo Gonizzi, La battaglia di San Pietro, ed. Aurea Parma, Parma, 2004
  • Cristina Ruggero, La forma del pensiero. Filippo Juvarra. La costruzione del ricordo attraverso la celebrazione della memoria, 2008, Campisano Editore, Roma.

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