Discussione:Palazzo San Gervasio

Ultimo commento: 14 anni fa, lasciato da Yuma in merito all'argomento discorso dell'Arciprete
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gli interventi che ti ho rollbackato erano anche buoni, la voce è tutta da riscrivere, ma se devi contribuire tieni presenti che si tratta di un enciclopedia e non di un blog, sia i contenuti che la forma devono mantenere un determinato tono asettico e non polemico; se vuoi scrivere scrivi una pagina vera, non un testo dove poi tocchi agli altri utenti renderlo enciclopedico.PersOnLine 19:56, 7 giu 2007 (CEST)Rispondi

discorso dell'Arciprete modifica

sposto qui dalla voce --(Yuмa)-- parliamone 03:30, 13 dic 2009 (CET)Rispondi

Brevi righe tratte dal discorso dell'Arciprete Domenico Cancellare al Consiglio Comunale sulle colonie perdute dai Palazzesi sui Casalei e i Castellani contro il feudatario De Marinis: "Signor Sindaco e Signori Consiglieri, è un anno e più che dalla popolazione ebbi l’incarico dell’annosa questione dei diritti civici, sopra i Castellani e Casaleni a solo ed unico scopo di sottoporla a giureconsulti, specialisti nel dritto antico e nelle leggi feudali, e sapere definitivamente, se quei civici diritti, su quelle terre, non ostante la sentenza della commissione feudale del 23 Agosto 1810, potevano o pur no rivendicarsi. Mi posi all’opera ardua e difficile, e per fare la fedele narrativa all’avvocato da consultarsi, con amore e diligenza, studiai gli unici e soli documenti, che si rattrovano nell’archivio comunale, cioè la convenzione fra il Marchese ed il Decurionato, e la sentenza della Commissione feudale, perché tutti i documenti favorevoli ai cittadini furono preda delle fiamme, quando nel 1821 fu incendiato l’archivio Comunale. Dopo studio diligente e ponderato esame, mi parve che la sentenza della Commissione feudale non riflettesse una lite contenziosa, ma una bonaria transazione di diritti.Ed in fatti nel Supplemento del Bollettino a stampa, in cui è riportata la Convenzione del 12 Marzo si legge : “ Convenzione passata tra il Comune di Palazzo ed il Marchese di Genoano, approvata dalla Commissione feudale con sentenza del 23 Agosto 1810” Se la Commissione approvava con sentenza la Convenzione, questa era omologativi di una transazione. Tale idea trovò il valido appoggio nella sentenza istessa. Il Cancelliere relatore enumera i dieci gravami del Comune contro il Marchese, distinti in dieci articoli, ed immediatamente soggiunge: “Quindi essendo passati tali atti dalla Sommaria nella Commissione feudale, nel momento di doversi decidere tal pendenza, si esibì una Convenzione, passata fra il Comune e l’ex Barone, approvata dal Decurionato ai 12 Marzo 1810”. Da ciò risultava chiaro che la controversia, agitata dinnanzi la Sommaria, e che doveva decidersi dalla Commissione, rimase sopita e dimenticata affatto, e si presentò invece una bonaria Convenzione. Il relatore della sentenza enumera dipoi i dieci capi transatti, corrispondenti ai dieci gravami del Comune e soggiunge: “Esaminata tal Convenzione dal Procuratore Regio, egli fa la seguente conclusione. Attesocchè i compensi offerti dal Marchese non sono equivalenti ai diritti, che spetterebbero al Comune, attesocchè su di altri punti di evidente giustizia non si è fatto, con la Convenzione, diritto alle ragioni del Comune; noi disapproviamo la proposta Convenzione, e dimandiamo che si proceda subito alla decisione della causa nei termini di giustizia”. Quindi luminosamente appariva che dinnanzi la Commissione non fu portata una lite, ma una bonaria Convenzione. Il Procuratore Regio, disapprovata la Convenzione, dimandò di decidersi nei termini di giustizia, ma la causa non ebbe luogo, perché il marchese, sette giorni dopo la disapprovazione, cioè nel 23 Agosto, presentò una nuova istanza, nella quale fece aggiunzioni e detrazioni agli articoli transatti nella Convenzione. E questa istanza fu esaminata, corretta ed approvata dal procuratore regio, il quale scrisse di proprio pugno sei articoli, e nel sesto dichiarò che “dovevano rimanere ferme tutte le atre cessioni fatte nel precedente progetto di Convenzione, a favore del Comune”. Da tutto cioè con sicurezza conchiusi che essendosi portata dinnanzi la Commissione feudale non una lite contenziosa, ma una bonaria transazione, la sentenza era omologativi di una Convenzione. Notai pure che il Regio Procuratore , prima di scrivere i sei articoli, anche di proprio pungo segnò che così doveva decidersi e non altrimenti. Queste parole imperiose, che non si rattrovano in nessuna requisitoria delle tante sentenze contenziose, rafforzarono la mia idea, che cioè non trattatasi di altro, che di una convenzione, e che la Commissione feudale così e non altrimenti doveva omologare, perché il decreto 29 Aprile 1809 dichiara valide solamente quelle concezioni, approvate dal Regio Procuratore. Osservai inoltre che tutte le sentenze di controversia, che stanno registrate nel Bollettino, sono redatte ai sensi del Decreto 27 Febbraio 1809, e che da quell’epoca fino a tutto il 1810, non si legge una sentenza di controversia, in cui siasi omesso l’articolo decimo del Decreto suddetto che di così: “La Commissione darà fuori le sue sentenze motivate, così nel fatto, proponendo i punti di questione, su cui ha deliberato, come nel dritto, allegando le ragioni essenziali, che hanno determinata la sentenza”. A conferma di tutto ciò vidi, che nel giorno 23 Agosto 1810, tre sentenze furono fatte dalla Commissione, una per Palazzo e due pel Comune di Francavilla. Le due sentenze pel Comune di Francavilla sono come tute le altre, che stanno nel Bollettino, cioè a norma del Decreto 27 Febbraio 1809; la nostra sentenza poi è sui generis, senza motivi, né di dritto, né di fatto. Or se la stessa Commissione nel medesimo giorno fa tre sentenze, in due delle quali usa il rito e le formalità richieste per legge, e nella terza tralascia formalità e rito essenziali, usando le sole parole decide e dichiara, vuol dire che non ediceda una lite, ma approvava una concenzione, e che con quella formula rendeva solenni tutti i patti transatti. Era impossibile supporre che la Commissione dovendo sanzionare i diritti sacrosanti di una popolazione, dimenticasse leggi e decreti, mettesse in non cale il suo stesso procedimento tenuto fino allora, e che tenne in prosieguo, in tutte le sentenze contenziose, senza additare una ragione almeno, che la determinasse a sanzionare in tal modo i diritti delle parti. Convinto che la sentenza era omologativa di una transazione, mi fu forza conchiudere che, secondo le norme della Ministeriale 29 Aprile 1809, la Commissione doveva omologare i patti così, come furono approvati dal Regio Procuratore. Egli nell’articolo 4.° riconobbe sui Castellani e Casaleni lo stato dell’attuale possesso, a favore de’ cittadini, cioè i diritti del pascolo, risultanti da reali dispacci e dalla istanza emessa dal Martucci, e le colonie perpetue, perché quei terreni, dissodati a proprie spese de’ cittadini, sotto tal titolo si possedevano. Ciò è provato da pubblici istrumenti di vendite, di permute, di assegni dotali, di disposizioni testamentarie, di autorizzazioni della Regia corte ai tutori ed alle vedove di vendere, nel diritto di colonia, quei terreni, per estinguere i debiti verso il marchese e per alimentare i pupilli, non che dagli istrumenti, nei quali il Marchese istesso prendeva in ipoteca quelle terre, e con suo Rescritto autorizzava a venderle, per rivalersi della moneta di cui andava creditore, e ne faceva quietanze. Ma la Commissione feudale non approvò lo stato dell’attuale possesso, anzi dichiarò quei terreni esenti da usi civici, e quindi non si ottemperò al ministeriale provvedimento 29 Aprile 1809, e violò l’articolo 3.° del Decreto 3 Dicembre 1808, il quale prescriveva, che le difese chiuse per tutto il corso dell’anno, e legittimamente costituite a tenore delle antiche leggi del Regno erano esenti dagli usi civici. E le leggi antiche del regno sono le Prammatiche de Salario e de Baronibus, le quali aborlirono nel 1443 e nel 1536 tutte le difese antiche, e dettarono delle norme, circa la costituzione delle nuove difese, non escluso il Regio assenso. Ora i Casaleni e Castellani non erano né difese chiuse in tutto il corso dell’anno, né legittimamente costituite a tenore delle antiche leggi del Regno. Quindi in me si affacciò più forte la speranza che l’articolo 4.° della sentenza, contrario alle leggi del tempo, perché diverso dall’articolo 4.° del Procuratore Regio, il quale riconosceva i nostri civici diritti nelle parole secondo lo stato dell’attuale possesso, fosse o falso, oppure illegale ed ingiusto, e che nell’uno e nell’altro modo doveva essere rettificato, oppure cassato. Con un certo giubilo manifestai pubblicamente questa idea, ma perché nuova e contro il giudizio di persone illuminate e competenti, le quali per lo spazio di ottantadue anni ritennero la detta sentenza, come contenziosa ed inappellabile, fu accolta fra il plauso generale dei cittadini e fra lo stupore e lo scherno di altri, i quali nella loro inferma mente credettero che tutto il valore dell’ingegno umano erasi spento nel cervello di coloro, che stimarono la sentenza come irretrattabile, e che un prete non poteva avere la forza intellettuale di affermare, che una sentenza non sanziona i diritti delle parti, ma approva una bonaria transazione di diritti. Compartii lo stupore, perchè un prete voleva farlo da avvocato, ma mi dispiacque lo scherno, non per me, perché anche a dire spropositi su materie estranee ai miei studi, doveva sempre essere compatito, ma per gli stessi schernitori, i quali, stante uno scopo sì nobile, e santo, di far bene ad una popolazione, si addimostravano maligni e grossolanamente ignoranti. Ma venne plaudita da tutti quelli, che nella chiarezza e nella forza del ragionamento, videro qualche cosa di serio e di pratico. E siccome non avevano fatto guerra al senso comune, e risentivano fortemente l’amor patrio, nonché il peso e le funeste conseguenze di una decisione illegale ed ingiusta, pubblicamente dichiararono che occorreva sottoporla al giudizio di avvocati competenti, nel diritto antico e nelle leggi feudali, e come un sol uomo si offrirono a sopportare qualsiasi spesa al riguardo. E così ebbero luogo le volontarie offerte, raccolte da apposita Commissione, da Voi Signor Sindaco autorizzata, e dal Brigadiere dei R. Carabinieri, e che una gente malefica e troppo abbietta, volle chiamare questua clandestina a mio profitto. I cittadini, memori del tradimento fatto al compianto sacerdote D. Michele Barbuzzi, che alla fine del secolo passato, con amore e con coraggio, difendeva i diritti della popolazione, e che dalla mano di un infame sicario venne trucidato e gittato nell’Ofanto, vollero che quattro giovani, onesti e coraggiosi, mi avessero accompagnato in Napoli per consultare il commendatore D. Demetrio Strigari, al quale consegnai le copie della Convenzione e della Sentenza, nonché le mie poche e modeste riflessioni, dimandando il suo giudizio autorevole e coscienzioso. Egli lesse le carte, ammise che nella sentenza il carattere omologativo, ed i vizii che violavano le leggi del tempo, ma siccome risultava dalla relazione, che precede la sentenza, che i cittadini non avevano alcun diritto civico sopra i Castellani e Casaleni, conchiuse: che se vi erano diritti da parte della popolazione, bisognava esporli, e documentarli in una memoria, ed allora sarebbe stato il caso di dare un parere chiaro ed esatto. Fatto qui ritorno, considerai la relazione della sentenza, e vidi davvero che nell’art. 4° dei gravami e nel 5.° art. transatto nella Convenzione, i nostri civici diritti non furono tenuti presenti e neanche menzionati. Fra i gravami del Comune presentati al tribunale dell’abolita Sommaria vi era l’art. 5.°, che reclamava le colonie perpetue, sopra i Castellani e Casaleni, ed il diritto del pascolo e della niuna prestazione, quando i terreni non erano seminati. Questo articolo, come tutti gli altri, doveva essere bonariamente transatto; ma non fu così, perché nel corrispondente articolo della Convenzione si parla di ribasso di estaglio del passato affitto, e di un nuovo affitto di 29 anni. Or questo articolo così fraudolentemente transatto, fu così ripetuto e trascritto nella relazione della sentenza, per essere approvata dalla commissione feudale. Ma il Regio Procuratore, che, come si legge nella sua requisitoria del 16 Agosto, teneva presenti gli atti avanzati nell’abolita Sommaria, nel capo 4.° scritto di proprio pugno riconobbe tali diritti nelle parole secondo lo stato dell’attuale possesso. Da tutto ciò rilevai che ci erano i diritti civici su quelle terre, ma non furono transatti, a norma del 5.° gravame dei cittadini. E di vero dall’art. 1.° della Convenzione approvato dal marchese, risulta che i cittadini avevano il diritto di pascere, legnare, ghiandaie, cavar pietre, far carboni ecc. su tutti i sei terzi boscosi, compresi i Casaleni e Castellani. Disapprovata la Convenzione nel 16 Agosto, il Marchese nel 23 detto mese presentò una nuova istanza, e cedette in proprietà a favore del Comune il Crognale, con dichiarazione, che tutti i diritti sopra menzionati si restringessero al solo diritto di legnare sulle tre difese S. Procopio, S. Giulia e Francavilla. Ed il Regio procuratore nell’art. 3.° ritenne su quelle tre difese il solo diritto di legnare a favore de’ cittadini........... Palazzo San Gervasio, 15 Ottobre 1893. Domenico Arciprete Cancellara"

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