Discussione:Storia di Montevarchi

Ultimo commento: 6 anni fa, lasciato da InternetArchiveBot in merito all'argomento Collegamenti esterni modificati

Sullo scorporo modifica

Vista la lunghezza della voce ( si veda Aiuto:Dimensione della voce) si potrebbe procedere allo scorporo ma prima sarebbe opportuno diminuire il numero di citazioni, se non vi saranno opinioni contrarie procederei fra qualche giorno, grazie.--AnjaManix (msg) 12:21, 28 mar 2010 (CEST)Rispondi

Poggio di Cennano modifica

L'identificazione geografica del Poggio di Cennano con l'attuale Poggio dei Cappuccini (sito d'altura, nucleo originario del castello montevarchino), sembrerebbe essere una "distorsione" operata soltanto negli ultimi secoli di storia montevarchina. l'attenta analisi di documenti fondiari relativi al XVI secolo indica, in maniera assoluta, l'appartenza del Poggio di Cennano (con le relative variazioni toponomastiche),alla realtà inerente alla Diocesi di Arezzo, posizionata geograficamente a sud del torrente Dogana (linea di demarcazione tra le Diocesi di Arezzo e Fiesole). L'analisi effettuata trae spunto, come detto, da tutta una serie di documenti fondiari (relativi al periodo 1540 - 1580), che venivano usati ufficialmente per la compravendita, affitto o donazione di beni immobili che normalmente venivano descritti tramite l'ausilio delle relative confinazioni. Il dato rilevato, se correttamente applicato all'origine geografica degli abitanti della "strata de Cennanii" (così indicati negli antichi statuti municipali del 1376),costringerebbe a rivedere criticamente molti aspetti di storia cittadina, in quanto verrebbe di fatto esclusa una presenza reale della chiesa di S. Andrea a Cennano sul Colle dei Cappuccini (in contrapposizione alla chiesa di San Lorenzo), non essendoci più i presupposti di un enclave aretina in territorio fiesolano.

Citazioni modifica

Riporto qui una sezione presente nella voce e composta praticamente solo da lunghissime citazioni. Andrebbe riscritta parafrasando e poi reinserita Jalo 12:52, 29 lug 2014 (CEST)Rispondi

citazione

Il dossier Gambini

Stantibus rebus cioè allo stato attuale delle conoscenze tutte le ipotesi, sufficientemente fondate e documentate, sulle origini del binomio parrocchiale San Lorenzo-Cennano, che però sembrerebbe ben altro che una tipica baruffa toscana tra letteralmente campanili, risultano in qualche modo plausibili e quindi accettabili.

Ne consegue quindi che anche l'opuscolo "Cennanuzzo" pubblicato nel 1910 da Francesco Gambini, parroco della Ginestra, in cui si tenta di spiegare questa bizzarra stranezza abbia una sua valenza storica nonostante le molte sbavature e le numerose imprecisioni. Interessante l'avvertimento di Gambini quasi all'inizio della pubblicazione:

«Due scrittori hanno parlato di Cennanuzzo: il Repetti (Dizionario Storico della Toscana) e il Prof. Ruggero Berlingozzi (Ricordo della festa di Cennanuzzo solennemente celebrata il 16 maggio 1901).

Ma ambedue non ci hanno dato che fugaci, incomplete ed anche non vere notizie. Noi che abbiamo frugato in tante memorie e in tanti documenti, ad essi rimasti ignoti, possiamo essere in grado di parlarne più diffusamente, con maggior precisione e verità. E questo compito non ci riesce nemmeno troppo arduo, avendo raccolto ed ordinato tutto il materiale storico di un nostro nuovo lavoro intitolato «Montevarchi d'una volta - ossia Memorie di Storia e di Cronaca montevarchina del secolo XVII»; lavoro riguardante appunto la storia di quelle due singolari parrocchie paesane e la cronaca delle intestine discordie che per questioni di campanile nascevano tra i due partiti, cennaniano e laurenziano[1]

Interessante perché quel lavoro di Gambini non vide mai la luce o, almeno, non è mai stato reso pubblico ed è oggi introvabile. Se non venne mai portato a termine è probabilmente perché Gambini sulla Montevarchi seicentesca trovò materiale scottante che preferì non rivelare al grande pubblico come invece hanno poi fatto, ma quasi un secolo dopo, Lorenzo Piccioli in "Potere e carità" e Andrea Zagli nei suoi differenti lavori sulla Montevarchi di fine ancien régime. Berlingozzi tuttavia, pubblicando nel 1901 l'inedita "Relazione del presente stato e bisogni della Terra di Montevarchi di Pietro di Fabrizio Accolti, avvertiva che una buona parte dell'archivio della diocesi di Arezzo era andata perduta in un incendio[2] e, con lei, tutte le carte inerenti alla Cennano preseicentesca che era quindi impossibile da studiare.

Non si capisce dunque di che tipo di documenti inediti sia venuto in possesso Gambini, anche perché nel testo non lo dice, e su quali assunti abbia costruito la sua tesi anche se, bisogna dirlo, gli archivi storici diocesani non sono generalmente aperti a tutti gli studiosi o curiosi, come dovrebbero essere, ma disponibili alla consultazione solo per gli amici degli amici degli amici o quantomeno hanno adottato questa politica, e non si sa per ordine di chi magari degli stessi vescovi, quelli della diocesi di Firenze, di Fiesole e di Arezzo come chiunque, semplicemente con una telefonata o una visita di persona, può constatare. Non potendo essere una peculiarità centro-toscana è evidente che le tre istituzioni ecclesiastiche permettono l'accesso alla loro documentazione solo a coloro che, previa presentazione, sono disponibili, o almeno fanno finta di esserlo, a pubblicare non "la verità storica" quale che sia ma una versione edulcorata, per non dire manipolata, dei fatti che non vada troppo a detrimento dell'istituzione stessa. Ragion per cui, tra quelle carte, ci devono essere documenti piuttosto imbarazzanti per non dire di peggio altrimenti non si spiegherebbe questo approccio, chiamiamolo, negazionista. In effetti il caso del monacomonzismo, cioè la monacatura forzata, e quello delle monache-bambine nel monastero di Santa Maria del Latte di Montevarchi, riportato coraggiosamente alla luce da Piccioli proprio dalle ricerche nell'archivio fiesolano, dovrebbe far riflettere, e vergognare, non solo i montevarchini ma anche chi ha permesso che una simile indecenza, anche per quell'epoca, potesse accadere. Siccome Ruggero Berlingozzi era uno storico rigoroso, e in particolare laico, è, quantomeno probabile, che la diocesi di Arezzo lo abbia escluso con una scusa dalla ricerca archivistica mentre abbia aperto le porte a Gambini che era invece un prete ed aveva, in un modo o nell'altro, le conoscenze giuste. Comunque sia Gambini sostiene:

«Quale sia l'origine di codesta chiesa [Cennano], non è difficile stabilirlo, quando si tenga conto di un criterio storico che devesi tenere nella indagine delle antiche chiese parrocchiali. E il criterio è di dover sapere quale sia la loro filialità, e cioè quale sia la loro matrice, o in altri termini quale sia stata la chiesa madre che diè loro la esistenza. Su tal proposito, al riguardo della chiesa di Cennano, non possiamo desiderar di meglio. Documenti e memorie, esistenti nella Curia vescovile di Arezzo e nell'archivio della Propositura dello stesso Cennano, ci dicono chiaramente che essa era «della Diocesi di Arezzo, nel Piviere di S. Giovanni dì Petriolo o Galatrona». Questo fatto quindi ci conduce direttamente alle fonti della sua storia.

È storicamente noto come dalle antichissime Pievi, fondate nei primi tre secoli della Chiesa, partivansi e diramavansi qua e là nei dintorni i cosiddetti Catechisti: i quali, fermandosi in mezzo alle popolazioni tutte campestri o in vicinanza degli antichi castelli, dopo aver convertito alla fede un numero più o meno grande di pagani, fondavano le cosiddette torri Cappelle, che erano dei piccoli oratori destinati a raccogliere e contenere (capere) i neofiti e i catecumeni per la preghiera comune, per la istruzione evangelica e per altri uffici divini. Uno dei Chierici catechisti della vetusta Pieve di Galatrona, dunque, avuta dal Plebano presbytero la missione di evangelizzare gli antichi Montevarchini, salì per tal fine a quell'antico castello: e siccome nei primi tempi del cristianesimo non era troppo facile né senza pericolo penetrar nei Pagi, ossia nei castelli pagani, per predicarvi il Vangelo; così quel Catechista dovette far quello che ordinariamente facevasi dai suoi confratelli; dovette cioè fermarsi e prendere stanza, fuori delle mura castellane, e dopo aver guadagnato alla fede buon numero di quei castellani, fondava la primitiva Cappella, che servir doveva per luogo di riunione comune. E così anche questa entrò a far parte del grande numero di quelle Capellae, delle quali trovasi menzione in tante Bolle, Diplomi e Privilegi dei Codici Diplomatici. Dinanzi a questi dati e circostanze possiamo dunque ricostruire la storia dei fatti.

Nell'ultimo scorcio del terzo secolo della Chiesa, quando già la Pieve di Galatrona si era consolidata pel numero sempre crescente dei fedeli, quando il nucleo dei Catechisti o Coadiutori del Presbyter Plebanus era cresciuto, e questi s'irradiavano qua e là nelle circostanti contrade, fondandovi sempre nuove comunità di fedeli e quindi sempre nuove Cappelle, - un bel giorno partivasi da quella Pieve, colle benedizioni del suo Superiore, un umile Catechista, fisso nel pensiero di portare il lume della, fede, anche a costo di darvi la vita, agli abitatori del lontano Montevarchi, che - come altri popoli del Valdarno - brancolavano nelle tenebre e nelle ombre del paganesimo. Era forse codesta la prima missione che usciva dall'orbita territoriale, compresa dentro tutta quella plaga che dalle sorgenti del Trigesimo (Monteluco) si distende di qua e di là verso la sinistra della bassa Valdambra, e su cui quella Pieve aveva distesa la sua matricità. Codesto sconosciuto Catechista, spoglio di qualunque argomento o mezzo umano, ma fidente in Colui che ai suoi discepoli aveva detto: «Andate per tutto il mondo e predicate il mio Vangelo ad ogni creatura», a capo chino e silenzioso (par di vederlo!) saliva su per uno stretto sentiero attraverso la boscaglia - che a quei tempi rivestiva tutte le circostanti pendici - e giungeva sulla cima del poggio di Cennano.

In presenza dell'antico castello di Montevarchi, che colle sue torri e colle sue mura ciclopiche aggrumate dalle intemperie, sorgeva sulla cima del colle di contro, fermavasi quasi stanco sul margine della via che metteva alla porta. Non perché temesse di entrare colà ove qualche augure o sacerdote pagano teneva soggiogata la coscienza del popolo, ma perché Cristo aveva comandata ai suoi discepoli la prudenza anche nella predicazione del Vangelo, per questo appunto quell'umile servo di Dio soffermavasi colassù circospetto, aspettando di attaccar discorso con qualcuno che uscisse o andasse al castello. Ed ecco che attaccando parola coi primi venuti, colla ispirazione che gli veniva dall'alto, parlava loro di un Dio ignoto, che per la grande opera della redenzione, per la quale aveva profuso su di una croce il sangue e la vita, meritava di essere conosciuto. Far, dunque, conoscer Cristo e questi crocifisso, questo l'assunto della sua predicazione. Onde pur sembra di veder quei primi ascoltatori inarcare a cotale annunzio le ciglia, tendere attentamente le orecchie, apprendere come Cristo, proclamando l'amore, aveva proclamata la fratellanza umana; e, allargando il cuore al fuoco della carità, giubilare nel sentirsi figli di un unico Padre che è nei cieli. Superfluo il dire come codesti primi credenti, accogliendo in sé stessi la semenza evangelica, manifestavano ai parenti, agli amici ed ai conoscenti le gradite impressioni ricevute dalla predicazione dell'uomo della verità.

Superfluo parimenti il dire come di giorno in giorno cresceva il numero dei Montevarchini che andavano ad udir quel servo di Dio e come quindi veniva ad aumentare il numero dei credenti. Basterà dire soltanto che in breve tempo si costituì tra i convertiti quella che chiamavasi una comunità di fedeli. È naturale che da principio, per le persecuzioni che si movevano e minacciavansi, tutto doveva farsi di nascosto: e quelle riunioni, che si tenevano di notte, convocavansi in qualche abitazione privata, ma sempre fuori delle mura e a rispettosa distanza. Cessata però la bufera delle persecuzioni, quella comunità fece come le altre consorelle: non più in una abitazione privata, non più nascostamente e nelle tenebre della notte, ma all'aperto e alla luce del giorno volle far palese la propria credenza. Sul modello di tanti altri già sorti, volle anch' essa il proprio santuario; volle cioè la propria Cappella, affinché fosse il centro delle loro riunioni e come il palladio della fede comune. E poiché da parte dei molti non convertiti pagani - ad onta che si fosse data fin dal 312 la libertà del culto pubblico - potevasi temere qualche persecuzione o per lo meno qualche molestia; per non avere inceppamenti di sorta, si pensò bene di attenersi all'usanza delle altre comunità: si volle cioè che l'Oratorio sorgesse fuori del castello.

Ed ecco infatti che, nel secondo decennio del secolo quarto dopo Cristo, sorse per opera comune fuori delle mura; e precisamente sorse sul declivio meridionale del già descritto colle, sul medesimo punto, forse, ove il primo catechista aveva incominciata la sua missione evangelica. A codesto Oratorio - sia perché se ne fosse fatta la dedicazione nel dì di sant' Andrea 30 novembre, sia perché così si chiamasse quell'antico catechista - si diè il titolo di quel glorioso Apostolo. Ed eccoci così, quasi senza volerlo, risaliti ad assistere alle origini di quella che un millennio di poi doveva diventar la storica Propositura di Sant' Andrea ad Cennanum.

Ed ora che ne conosciamo l'origine - quando storicamente sappiamo qual fosse lo zelo e il fervore dei primitivi cristiani; quando ci è noto in qual conto tenevano quella ch' essi chiamavano la casa di Dio e la porta del cielo; quando è pur risaputo che codesti Oratori erano il centro dei loro pensieri e la meta della loro santificazione - non possiamo distaccarci da codesto primitivo santuario senza che il pensiero vi si soffermi un momento per cogliere come di volo gli avvenimenti che vi si avvicendarono e la vita che per molti secoli vi si svolse.

Edificato quel Santuario, gli antichi Montevarchini, non più adunque nascostamente e fra le tenebre della notte; ma apertamente e in pieno giorno, a uno, a due, a gruppi, si vedevano uscire dalla porta castellana; e tutti composti, a certi giorni e a certe ore, incamminarsi colà ove chiamavali l'adempimento di quelli, che per essere da tutta la comunità praticati, si appellavano atti comuni. E tra quelle devote comitive vedevansi vecchi cadenti, che procedevano lentamente colla calma del giusto aspettante il riposo del regno dei cieli: - erano i proceres, ossia gli anziani, che provetti nella credenza, andavano a consolidarsi sempre più nella fede. Si vedevano uomini più o meno avanzati, con in volto la gioia di chi sa di avere abbandonate le tenebre e le ombre di morte, ed essersi incamminato nella via della salvezza: - erano i neofiti, ossia i novelli battezzati, che andavano a crescer sempre più nella fede e diventar perfetti cristiani. Si vedevano pur dei giovani e dei fanciulli, avanzarsi colla santa baldanza di chi tra breve dovrà compiere nn atto che segnerà nella vita un'epoca tutta novella: - erano i catecumeni, ossia i nuovi discepoli della fede, che andavano a farsi ammaestrar sempre più nella dottrina di Cristo e prepararsi al Sacramento della rigenerazione. Commisti a quei gruppi d' uomini, vedevansi procedere gruppi di donne, vecchie, adulte e zitelle; anch' esse, secondo il tempo della lor conversione, appartenevano al grado delie anziane, o delle neofite o delle catecumene. E tutti codesti fedeli, entrati a capo chino e silenziosi colà dentro, prendendo ciascuno il posto al proprio grado assegnato, con a capo il santo ed amato Catechista, si raccoglievano sotto le grandi braccia della Croce. Spettacolo, codesto, veramente sublime, che rendeva al vivo l'immagine di quanto Cristo aveva comandato: «Et fiet unum ovile et unus pastor».

Ed era pur bello - dopo avere atteso agli atti comuni - vederli uscir di là devotamente composti, e riprender la via del castello con in volto dipinta la sodisfazione d'avere adempiuto ai più sacrosanti doveri. Senza poi dire che colà, anche nei giorni feriali, anche nelle assenze del Catechista, convenivano la mattina e la sera, prima e dopo il lavoro, era pur bello vederli radunati la vigilia delle solennità e darsi lo scambio per cantar tutta la notte inni e salmodie; le cui note, erompendo da quel recinto e ripercotendosi sulle pendici e sulle mura castellane, richiamavano sui fratelli dormenti l'assistenza e la benedizione di Dio.

Colà, le domeniche e le altre festività, era un accorrer degli ostiari e degli accoliti a preparare il necessario al servizio divino e aspettar con ansia il Catechista: e quando questi, compiuti i molteplici uffici, ne ripartiva, era una gara, specialmente dei più giovani, di accompagnarlo per lungo tratto di strada; mentre gl'impotenti ed i vecchi dagli spalti del sagrato lo accomiatavano coll'augurio di un prospero viaggio e di un ritorno migliore.

Da codesto asilo di santità era che i Catecumeni, già abbastanza istruiti, al Sabato Santo e alla vigilia di Pentecoste, si movevano divotamente in bell'ordine, e accompagnati dai propri Padrini, salivano alla matrice di Galatrona, onde assistere alla benedizione del Fonte e poi ricever sul capo le acque battesimali. E quando codesti neofiti ritornavan lassù, era un tripudio comune, una festa universale. - Quivi, in certi giorni, sull'esempio dei primi convertiti, si raccoglievan per le agapi, che erano le refezioni in comune: ed era pur bello vedere assiso alla tavola della sinaxi il ricco accanto al povero, il nobile accanto al plebeo; mentre i cibi somministrati dai facoltosi e mangiati a gloria del Dator d' ogni bene, rallegravano quella santa assemblea raccolta nella fratellanza della carità. Quivi uniti nella religione e nel vincolo dell'affetto, venivano a versare ogni mese l'obolo per le cosiddette collette, onde sovvenire alle vedove, agli orfani, ai poveri della propria e delle altrui comunità: e quivi anche, rinnovellatosi lo slancio dei tempi apostolici, si videro i favoriti dalla fortuna spogliarsi delle loro sostanze e darle all'assemblea, perché tutti godessero di quanto è assoluto padrone il comun Padre celeste. Sublimissimo spettacolo, anche questo, della vera fratellanza, o del vero socialismo, quale fu inteso da Cristo!

Questi, adunque, gli avvenimenti e questa la vita di quel modesto Santuario. E diciamo modesto, affinché il lettore non pensi che fosse qualche monumento di bellezza e di arte. Ormai sparita, per risorgere e rinnovellarsi, l'arte aspettava tempi migliori. Quattro nude pareti a filaretto, un piccolo abside sulla parete posteriore, una modesta mensa accanto all'abside: il tutto ricoperto da un tetto a due spioventi, - questo tutto l'edifizio. Né si creda che vi fosse grande lusso di arredi. Il loculo ove stava la reliquia del Titolare, pochi fiori, alcuni vasi di legno, qualche cero, o qualche lampada al cui lume il catechista spiegava il Vangelo; questo, tutto l'arredamento.

Codesta primitiva Cappella, coll'andar dei secoli, più volte rimase vittima delle invasioni barbariche e delle ingiurie del tempo; ma più volte venne a risorgere; e poiché la fede degli antichi Montevarchini col volger dei secoli andava sempre crescendo, così codesto Oratorio, riedificato ed ampliato, andava crescendo della sua importanza. Tantoché verso il Mille avvenne di esso quello che avvenne di poi di tutte le altre Cappelle filiali di tutte le Pievi.

È noto come intorno al Mille, quando l'Italia era uscita da tutte le invasioni barbariche, la Chiesa ormai si era ben allargata e la fede aveva messe dappertutto salde radici. Ora, se ai Catechisti (che poi diventaron Presbiteri) non riusciva troppo malagevole lo andar volta per volta dalle Pievi matrici alle primitive Cappelle per l'ufficio che dovevano esercitare in mezzo alle respettive comunità, riusciva però troppo malagevole a queste comunità lo andare alla lontana respettiva matrice tanto per ricevere il battesimo e gli altri Sagramenti, quanto per adempiere ad altri doveri. Di qui la necessità che coll'andar del tempo codesti Catechisti dovessero farsi ordinar Sacerdoti per l'amministrazione dei principali Sagramenti: - di qui ancora la necessità che codesti Catechisti Sacerdoti non dovessero periodicamente andare e venire, ma risiedere presso le stesse Cappelle per l'assistenza delle comunità alle loro cure affidate. I popoli quindi chiesero ed ottennero che codesti "Presbiteri coadiutori" della Pieve matrice risiedessero presso le proprie Cappelle (donde presero il nome di Cappellani), sempre però, tanto essi quanto le stesse comunità, sotto la dipendenza della stessa matrice.

A sentir questo bisogno, come era naturale, furono le comunità che abitavano dentro i castelli. I cristiani montevarchini, quindi, tra i popoli del Valdarno, furono dei primi a reclamare il Presbitero presso la propria Cappella. E tutto questo avvenne verso il Mille; ma nel mille, o poco appresso, ai Montevarchini non bastò avere presso di sé il Presbyter Capellanus, ma vollero anche una specie di autonomia dalla Pieve di Galatrona colla erezione del Fonte battesimale: erezione che risale appunto a codesta epoca. Anzi perché l'avvenimento fosse più legittimo e solenne, incominciarono a fare alla propria chiesa delle donazioni ad onore di Dio (come allora dicevasi) e per la salvezza delle, anime loro, onde il Sacerdote che li curava, non avesse bisogno di essere sovvenuto né dalla carità dei fedeli né dalla mensa di Galatrona. Questo fatto portò alla naturale conseguenza che quella chiesa assumesse il privilegio di ciò che dicesi parrocchialità. Anzi possiamo assicurare che un cotal privilegio lo acquistò anche prima delle altre chiese che furon filiali della stessa Pieve.

Quella, dunque, che fin dal secondo decennio del IV secolo fu la Capella Sancti Andreae Apostoli, intorno al Mille diventò la Ecclesia parochialis ad Cennanum, sempre collo stesso titolo e sempre "della Diogesi di Arezzo, nel Pieviere di S. Giovanni di Petriolo o Galatrona".

Superfluo il dire che fin da quell'epoca codesta chiesa addivenne obietto sempre più caro ai Montevarchini: i quali avrebbero avuto in animo di trarla dalla sua primitiva semplicità, di ampliarla e adornarla cogli espedienti dell'arte d'allora. Ma essendosi diffusa la credenza che nel Mille sarebbe finito il mondo, a qual pro accingersi ad un'opera che tra breve doveva aver la sua fine? - Fissi, quindi, in questa idea, preferirono piuttosto di lasciarla quale l'avevano edificata i loro antenati; ed anzi, attaccati come vi erano colla mente e col cuore, mentre tanti popoli accorrevano in Terrasanta per morir colà ove Cristo avrebbe giudicato il mondo congregato, essi preferirono di prendere stanza intorno ad essa, pronti a morir su quel sagrato ove riposavano i loro padri. Ma passata la paura del finimondo, codesta chiesa uscì dalla sua modestia. Mercé l'amore sempre crescente di tutti quei buoni castellani, ebbe più ampie proporzioni: sorse adorna dell'arte, sia pur rudimentale, del tempo; e in tal modo finì per diventare il termine sempre più fisso della loro fede e della loro pietà.»

Non solo. Gambini si dice certo che la chiesa di Cennano fosse addirittura da far risalire a un periodo precedente a quello della fondazione di San Lorenzo:

««Ma (ci diranno i lettori Montevarchini) la chiesa di S. Lorenzo, che la tradizione e le memorie ci dicono esistita entro l'antico Montevarchi, non era forse più antica di quella di Cennano? — Non era forse parrocchia, intorno al Mille, degna anch' essa di ogni apprezzamento?».

Dobbiamo tosto dire che asseriscono cosa contraria alla verità quei Montevarchini che credono la parrocchia di S. Lorenzo essere più antica di quella di Cennano. Tolgono ogni dubbio le osservazioni che, dietro esame di fatti e di memorie, abbiamo già scritte nel nostro inedito lavoro «Montevarchi d' una volta»; e non ci dispiace di metterle anzi tempo a cognizione del pubblico.

È storicamente risaputo che le parrocchie originate dalle primitive Cappelle rimasero fuori delle città e dei castelli non soltanto avanti il Mille, ma anche dei secoli dopo; e che, se intorno al Mille o dopo, troviamo delle parrocchie dentro le mura cittadine o castellane, queste o vi furono traslatate nei secoli intorno al Mille, o furono novelle istituzioni di quei secoli. - Ora, se la parrocchia di S. Lorenzo, indicata dalla tradizione e dalle memorie come esistente dentro il vecchio castello di Montevarchi, fosse più antica di quella di Cennano, ugualmente indicata dalla tradizione e dalle memorie come esistente fuori delle mura castellane, bisognerebbe dire che vi fosse traslatata dal di fuori verso il Mille o qualche secolo dopo, quando appunto venne l'usanza di cotali traslazioni. - Nessuna tradizione però e nessuna memoria ci dicono che fuori delle mura del vecchio castello esistesse una parrocchia di S. Lorenzo; mentre invece e tradizioni e memorie tuttora esistenti ci dicono esservi stata soltanto quella di S. Andrea ad Cennanum.

Bisogna dir dunque che quella parrocchia non fu una traslazione di un'altra preesistente, ma una creazione, o meglio, una istituzione tutta nuova avvenuta nei secoli dopo il Mille; mentre già esisteva fuori delle mura quella di Cennano. Per questi fatti e criteri, adunque, alla parrocchia di Cennano resterebbe assicurata la priorità di tempo sopra quella di S. Lorenzo. Ma questa priorità viene ad esserle assicurata maggiormente anche da altri fatti e criteri. - È un fatto che ambedue quelle parrocchie ebbero una diversa matricità: poiché, mentre quella di Cennano era «della diogesi di Arezzo, nel piviere di S. Giovanni di Petriolo o Galatrona» quella di S. Lorenzo «era della diogesi di Fiesole, nel piviere di S. Pietro ai Capriliam (oggi Cavriglia)».

Questo fatto, evidentemente, dimostrerebbe che ambedue avrebbero avuta una origine diversa; perché, mentre quella di S. Andrea sarebbe stata originata da una primitiva Cappella fondata da un Catechista della Pieve di Galatrona; quella di S. Lorenzo al contrario sarebbe stata originata da un'altra Cappella fondata da un Catechista proveniente dalla Pieve di Cavriglia. Quindi vi sarebbe stata la simultaneità di due fondazioni originate da due Cappelle fondate (se contemporaneamente o no, questo non importa) da due diversi Catechisti in mezzo ad una stessa popolazione. Ma ciò è assolutamente escluso da un altro fatto constatatoci dalla Storia e dall'Archeologia. Poiché fin da quando i Catechisti andavano a fondar delle comunità cristiane, e quindi le relative Cappelle, non si portavano mai in quelle popolazioni ove altri già le avevano fondate. E questo riguardo, tenuto sempre per norma canonica, lo avevano non soltanto per le località che cadevano sotto la giurisdizione della propria matrice, ma molto più per quelle di altre.

D' altra parte (qualora vogliasi supporre che siasi passati sopra cotale riguardo), sapendosi che una sola era la parrocchia cui aveva dato origine la Cappella fondata da un Catechista di Galatrona, non può supporsi nemmeno che la parrocchia di S. Lorenzo sia stata originata da una Cappella fondata entro le mura; perché ciò sarebbe escluso dal fatto ormai noto, che quando i Catechisti andavano a stabilire Comunità di fedeli, mai fondavano le Cappelle dentro i castelli. Se nei secoli intorno al Mille, adunque, trovasi entro il vecchio Montevarchi la parrocchia di S. Lorenzo, questa non poté essere originata da una primitiva Cappella, ma sivvero fu una fondazione ex novo. Ma che la parrocchia di Cennano abbia l'antichità che di fronte a quella di S. Lorenzo le ascriviamo, lo dimostrano anche le memorie scritte, che trovansi esistenti nell'Archivio Cennanese.

Uno dei Proposti di Cennano - Don Giuseppe Pasquali, vissuto nella prima metà del secolo decimottavo - in uno scritto riguardante appunto quella chiesa, appellandosi alla viva voce del popolo, scriveva che «un'antica e comune tradizione indicava quella (dell'antico Cennano) «la prima chiesa che fosse edificata». Oggi quell'antica e comune tradizione, durata fin verso il quarto decennio del secolo passato, si è spenta, essendosi spenti i due partiti cennaniano e laurenziano, che la tenevano accesa; ma la memoria scritta, nella quale si prese premura di raccoglierla quel testimone autentico, rimane; e questa, consona perfettamente ai fatti e criteri storici suesposti, viene a dimostrare che di fronte alla parrocchia - per quanto antica - di S. Lorenzo, l'anteriorità di fondazione spettava a quella di Cennano. Ma a sempre meglio suffragar questa anteriorità ben concorre anche qualche scrittore di cose Montevarchine.

Il Carraresi, che scrisse su «Le origini di Montevarchi e della sua Chiesa maggiore, studiate su di alcuni documenti del secolo XIII», dietro lo studio di quei documenti, ritiene che la istituzione di codesta chiesa maggiore (che sarebbe appunto quella di S. Lorenzo) «si debba ai Conti Guidi e si abbia conseguentemente a ricercare entro il periodo nel quale quei dinasti divennero padroni di Montevarchi e di altre castella del Valdarno». - Il Carraresi, non conoscendo l'epoca precisa nella quale il vecchio Montevarchi dal dominio dei Marchesi di Pierle cadde in quello dei Conti Guidi, ascrivendola però certamente al XII secolo, poté ben concludere che «fu probabilmente nella seconda metà del XII secolo, o tutt'al più nei primissimi anni del successivo che la Canonica(ossia la chiesa di S. Lorenzo) venne istituita, contemporaneamente a tante e tante altre fondazioni religiose, che per atti tra i vivi o di ultima volontà furono fatte da quella potentissima famiglia dei Guidi».

Noi anzi (senza dire che fu, proprio, alla fine del secolo XII che Montevarchi cadde nel dominio dei Conti Guidi, e che quella chiesa fu veramente una loro istituzione in quell'epoca), avendo esaminati e studiati tanti atti di codesta famiglia, riguardanti appunto il fine più o meno religioso di quelle fondazioni - se non temessimo di dilungarci troppo dal nostro soggetto - potremmo rivelare anche il perché di quella fondazione. Basterà accennare soltanto che la fondazione di quella parrocchia, più che uno scopo religioso, ebbe un fine politico e tutto di rivalsa o di ripicco!

Per fondarla, i Conti Guidi, invece di servirsi (come, nel caso, avrebbero dovuto) del Pievano di Galatrona, si servirono di quello di Cavriglia; e di più vollero fondarla dentro le mura, passando - mercé l'opera di quel compiacente Pievano - sopra qualunque riguardo di giurisdizione o di altro. Si comprende però il perché di questa volontà. I feudatari a quei tempi non potevano veder le parrocchie, che coll'andar dei tempi diventavano sempre più centri di abitazioni, fuori o appresso le mura dei loro castelli: e col pretesto che sarebbero state troppo esposte alle incursioni nemiche ( ma in realtà colla paura che a grado a grado sarebbero diventate tanti focolari di libertà e d' indipendenza), a incominciar da qualche secolo dopo il Mille, vollero traslatarle dentro le mura. Così volevano far della Chiesa di Cennano anche i Conti Guidi, come già avevano fatto di altre. Ma i Montevarchini, attaccati com'erano alla loro antica parrocchia, non consentirono e la vollero conservata nel luogo stesso ove erano legate tante care loro memorie.

Guido Guerra il Vecchio (il quale appunto fu il primo di quei dinasti che verso la fine del secolo XII ebbe in suo potere l'antico castello) per far loro un dispetto, ne istituì un'altra dentro le mura, servendosi a tal uopo del Pievano di Cavriglia; e, sottomettendo ad essa il popolo di dentro il castello, lasciava gli abitanti di fuori a quella di Cennano.

Non diremo come questa imposizione draconiana sdegnasse i Montevarchini: i quali, abituati com'erano a riguardarsi tutti d' un medesimo popolo, si videro divisi tra due parrocchie di giurisdizione diversa. Questa appunto fu la prima radice dalla quale poi nel nuovo Montevarchi nacquero i noti due partiti, che a guisa di Guelfi e Ghibellini agitarono il paese fino agli ultimi tempi.

Se Guidoguerra il Vecchio, piuttostochè esser tanto geloso del proprio dominio, senza comprimere quei germi di libertà che incominciavano a germogliare sul sagrato, avesse tenuto conto di un unico campanile, e cioè dell'unica antichissima chiesa di Cennano, senza porle di contro un'altra di diversa giurisdizione, tanti mali avrebbe risparmiati al nuovo paese.

Fu politica, ovvero prepotenza? Noi diciamo che fu l'una e l'altra![4]

A parte l'evidente enfasi pretesca, in parte giustificata dalla necessità di ottenere l'imprimatur vescovile alla pubblicazione, ed escluse certe sue personalissime "intuizioni" che, non suffragate da alcuna documentazione, sono da ritenersi pure invenzioni come la chiamata in causa di Guido Guerra il Vecchio (?), Gambini nel suo lavoro di ricerca su Cennano, che nella seconda parte del testo si rivela poi piuttosto accurato, rilancia dei topos storico-storiografici non del tutto secondari e soprattutto il fatto che nel passaggio dai Bourbon ai Guidi la comunità montevarchina si divise in quella del castello, legata ai nuovi feudatari e aggregata intorno a San Lorenzo e alla diocesi di Fiesole, e in quella del borgo, legata ai vecchi padroni e dotata di una sua propria antichissima parrocchia facente capo alla diocesi di Arezzo. Non solo. Alla base della divisione dei montevarchini in due chiese e due diocesi, anche secondo Gambini, ci sarebbe di fatto una motivazione politica e non religiosa.

Eppure, con tutti i prologhi e i prolegomena del caso, appare, a questo punto, abbastanza evidente che è al momento privo di significato ogni tentativo di stabilire con certezza se sia stata fondata prima Cennano o San Lorenzo, ovvero se sia nato prima l'uovo o la gallina, come si è però fatto a Montevarchi a cavallo tra Ottocento e Novecento a colpi di rivelazioni e pubblicazioni clamorose di documenti che, poi, in realtà aggiungevano poco all'unico fatto storiograficamente accertato: non esiste più o non è ancora stato trovato nessun documento veramente decisivo che possa sciogliere questa questione definitivamente e una volta per tutte. Semplicemente: non c'è o non è disponibile.

Per questo ciclicamente, a ondate, salta fuori un qualche Guido Guerra che, davvero come un deus ex machina, riempie a comodo la voragine documentaria. E questo dal Quattrocento, quando la comunità cominciò a prendere coscienza di sé e quindi a farsi domande sulla sua storia, al Cinquecento con Carlo Bartoli e la favola del Sacro Latte, al Settecento con la battaglia tra il proposto Conti e la Fraternita del Latte, a tempi anche recentissimi e da persone, in questo caso, al di sopra, o quasi, di ogni sospetto come il vetriolesco duo fin de siècle Gambini-Galassi o il patto d'acciaio post-bellico Aldo Anselmi-Monsignor Romagnoli, entrambi, con Dino Tortoli alter-ego repubblicano del mediceo Carlo Bartoli, davvero, antropologicamente parlando, gli ultimi fossili dell'ancien régime ossia veri e propri "Ultimi dei Mohicani".

Anche qui, l'unica notizia certa su un qualcuno dei Guido Guerra in Montevarchi è quella che Guido Guerra V, quello di Dante e della Battaglia di Benevento per capirsi visto che gli storici non sono concordi neppure su come numerarlo, venne sepolto nella chiesa di San Lorenzo perché qui i Conti Guidi avevano una cappella funeraria con quattro loculi. Che Guido Guerra abbia fondato Montevarchi nel fondovalle, che ci possedesse pure delle case o dei palazzi o che ne abbia fatti costruire, che abbia poi donato la reliquia del Sacro Latte all'odierna Collegiata, e tutti i chissà quanti altri miracoli laici gli vengano attribuiti, sono per la maggior parte frottole e, per la storiografia più contemporanea, solo barocche deduzioni, magari anche logiche e in tutto o in parte condivisibili, ma nient' altro che deduzioni.

Collegamenti esterni modificati modifica

Gentili utenti,

ho appena modificato 1 collegamento/i esterno/i sulla pagina Storia di Montevarchi. Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:

Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot

Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 05:17, 30 ott 2017 (CET)Rispondi

  1. ^ Francesco Gambini, Cennanuzzo, Montevarchi, Cecchineri, 1910, pag. 9. Per leggere il testo completo: [1]
  2. ^ Pietro Accolti, Relazione del presente stato e bisogni della Terra di Montevarchi, 1627, ed. a cura di Ruggero Berlingozzi, Montevarchi, Tipografia Varchi, 1901, pag. 37
  3. ^ Gambini, cit. pagg. 12-16
  4. ^ Ibid. pagg. 16-19
Ritorna alla pagina "Storia di Montevarchi".