== In memoria

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Si chiamava Moammed Sceab

Discendente di emiri nomadi suicida perché non aveva più Patria

Amò la Francia e mutò nome

Fu Marcel ma non era Francese e non sapeva più vivere nella tenda dei suoi dove si ascolta la cantilena del Corano gustando un caffè

E non sapeva sciogliere il canto del suo abbandono

L’ho accompagnato insieme alla padrona dell’albergo dove abitavamo a Parigi dal numero 5 della rue des Carmes appassito vicolo in discesa

Riposa nel camposanto d’Ivry sobborgo che pare sempre in una giornata di una decomposta fiera

E forse io solo so ancora che visse Locvizza il 30 settembre 1916



In genere le poesie di Ungaretti traggono spunto da concrete occasioni di vita, la guerra, l’amore, la riflessione sulla poesia stessa, le quali, però, si trasfigurano, grazie al linguaggio analogico del poeta, in qualcosa d’altro, in comunicazione poetica rarefatta e allusiva. In memoria è, almeno di primo acchitto, una lirica in cui lo spunto autobiografico mantiene fino in fondo un marcato carattere narrativo, al quale non è estranea una vena di pensosa meditazione. L’incontro con il giovane arabo è uno dei più significativi per il poeta. Moammed Sceab e Ungaretti si conoscono ad Alessandria d’Egitto, dove frequentano la stessa scuola. In seguito i due giovani si ritrovano ad abitare nello stesso albergo a Parigi. La loro amicizia si nutre, come spesso accade fra i ragazzi, dei medesimi interessi: entrambi sono lettori appassionati, entrambi sono presi dalle discussioni sui temi letterari filosofici all’epoca più dibattuti. Ma mentre Ungaretti trova nella poesia una chiave per attraversare un disagio esistenziale, il suo giovane amico, combattuto tra identità originaria e l’aspirazione a una difficile integrazione, trova solo nella morte una disperata soluzione ai suoi problemi. Raramente Ungaretti utilizza un tono diaristico; questa lirica ne è una delle rare testimonianze. Essa si apre con un verbo che è una determinazione di tempo e di identità (Si chiamava); prosegue con la descrizione del giovane amico (Discendente/ di emirati arabi) e con la narrazione del suo amore per la Francia che lo portò a mutare nome. Decisamente cronachistico è l’orientamento delle due strofe che precedono i versi finali: viene descritto lo sparuto corteo funebre, composto solo dal poeta e dalla padrona dell’albergo; segue la descrizione del cimitero nel sobborgo parigino di Ivry, paragonato, con toni crepuscolari, a una “decomposta fiera”. A questa insolita prospettiva narrativa si oppone il ritmo franto della lirica che riprende lo stile compositivo proprio dell’ Allegria. La divisione in versicoli per lo più brevissimi favorisce l’isolamento di parole-chiave quali “suicida”, Patria, vivere, canto, sempre, ma sembra anche suggerire una lettura frammentata, come per una successione di singhiozzi; l’inserzione di versi più più lunghi, d’altra parte, contribuisce a creare l’effetto di una nenia funebre. L’opposizione presente nella lirica tra dimensione narrativa ed effetti ritmici di spezzatura e frammentarietà può essere anche l’emblema della condizione di chi, come il poeta e l’amico sfortunato, cerca nella vita l’unità e l’assoluto, ma vede la propria ricerca infrangersi e quasi polverizzarsi nell’acquisita consapevolezza del vuoto esistenziale in cui si attua ogni umana esperienza.

• Il dolore e l’arte

Questa poesia, che apre Il porto sepolto, è dedicata a “uno dei miei compagni, che un giorno trovarono morto, perché in nessun paese si poteva accasare, in una stanza dello stesso albergo che abitavamo a Rue des Carmes a Parigi”. Così Ungaretti interpreta il suicidio dell’amico , mettendo in rilievo quanto sia fondamentale per gli uomini potersi “accasare”, ritrovarsi cioè in una casa comune, una patria, una cultura, un’identità condivisa. Queste parole, del 1963, indicano poi esplicitamente l’allargamento di questa tematica a una dimensione universale: “In memoria, rievocazione del suicidio del mio compagno Moammed Sceab, è il simbolo d’una crisi delle società e degli individui che ancora perdura, derivata dall’incontro e scontro di civiltà diverse e dall’urto e conseguenti sconvolgimenti tra le tradizioni politche e il fatale evolversi storico dell’umanità”. Con una lucidità quasi profetica, il poeta centra uno dei problemi oggi più scottanti: quello del complicato rapporto tra civiltà differenti nell’ambito delle società moderne e la crisi che ne deriva. Il canto che Ungaretti dedica alla memoria dell’amico morto è quindi anche un’ammonizione di inquietante attualità. Ma c’è ancora un’altra dimensione che allarga il ventaglio delle ipotesi interpretative: Moammed muore suicida perché era diviso tra la propria identità d’origine e quella che tentava faticosamente di acquisire: non sapeva essere Marcel ma non riusciva più nemmeno ad essere Moammed (vv.10-17), ma anche perché “non sapeva/sciogliere/il canto/del suo abbandono” (vv.18-21): in altri termini, perché non riusciva a esprimere nella poesia il suo tormento esistenziale; non poteva perciò mitigarne l’asprezza.