Disprassia

disturbo della coordinazione e del movimento
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

La disprassia (dal greco πράσσω (prásso) = "fare", quindi dis-prassia = "incapacità di fare qualcosa") può essere definita come l'incapacità o la ridotta capacità di pianificare e organizzare delle azioni intenzionali, finalizzate al raggiungimento di uno scopo specifico; un deficit dei movimenti volontari caratterizzato dall'assenza di altri deficit cognitivi e sensoriali evidenti.

Disprassia
Specialitàneurologia e psicomotricità
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-9-CM315.4
ICD-10F82
MeSHD019957
MedlinePlus001533

Caratteristiche modifica

Le origini della disprassia, attualmente considerata come un disturbo specifico attinente alla sfera dello sviluppo neurobiologico, vengono ricondotte a un rallentamento nell'organizzazione e nella proliferazione delle reti neurali o a una mancanza di collegamento tra le aree anteriori e posteriori del cervello e i fattori di rischio che predispongono a tale deficit includono: il parto pretermine o il peso ridotto del nascituro oppure una lieve sofferenza pre o perinatale durante la gravidanza o al momento del parto.

L'aspetto caratterizzante di questo tipo di deficit è l'alterazione delle sequenze motorie dal punto di vista spaziale e temporale che, generalmente associata a una ridotta capacità di rappresentare gli oggetti, l'intera azione o i suoi elementi costitutivi, rende l'attività motoria inefficace e scorretta, nonché stereotipata e povera di alternative.

Malgrado la pratica continuativa, infatti, le funzioni esecutive acquisite vengono utilizzate in una maniera convenzionale e la povertà di strategie, unita alla ridotta abilità di generalizzazione, rende difficoltosa l'acquisizione di nuovi compiti, il trasferimento di soluzioni già acquisite, la pianificazione delle attività e il controllo delle medesime, la previsione e la verifica dei risultati, nonché l'attivazione di eventuali correzioni.

La Teoria dei Sistemi (Thelen, Smith 1994) e la Teoria dell'Embodied Cognition (Thelen 1995; Iverson, Thelen 1999) inoltre, correlano lo sviluppo motorio allo sviluppo cognitivo e linguistico e, sottolineando lo stretto legame che esiste tra percezione, azione e cognizione, sostengono che lo sviluppo neuro-cognitivo inizi a partire dalla percezione del proprio corpo in relazione all'ambiente, contemporaneamente allo sviluppo delle funzioni motorie e alla capacità di riuscire a controllarle.

Le azioni, quindi, si realizzano attivando dei processi in parallelo che integrano movimento, percezione e cognizione e viste le profonde connessioni tra le funzioni esecutive (FE) e il sistema motorio, cognitivo ed emotivo, la disprassia è molto spesso associata a problemi del linguaggio, nonché di percezione ed elaborazione del pensiero.

Il linguaggio di un bambino disprattico, infatti, si presenta spesso semplificato nella struttura sintattico-grammaticale e alterato negli aspetti articolatori, la percezione risulta inadeguata nell'integrare le informazioni periferiche e nel correlarle con l'azione che si sta compiendo, mentre il pensiero appare infine inadatto nell'organizzazione dei vari contenuti.

Il bambino disprassico modifica

Le caratteristiche che identificano maggiormente un bambino disprassico includono:

  • la goffaggine, caratterizzata da movimenti impacciati e maldestri, alterati nelle sequenze temporali e poco efficaci
  • la scarsa agilità, caratterizzata dalle cadute frequenti, dalla tendenza a inciampare, dalla difficoltà nello svolgere delle attività sportive o nell'andare in bicicletta
  • l'incapacità o la ridotta capacità di scrivere, di disegnare o di usare le forbici
  • l'incapacità o la ridotta capacità di stare fermo e di organizzare dei giochi tranquilli che richiedono delle abilità di motricità fine e una coordinazione oculo-manuale
  • la tendenza a distrarsi continuamente
  • l'incapacità o la ridotta capacità di vestirsi e di compiere attività che rientrano nella normale routine quotidiana
  • le posture inadeguate, che dipendono da una scarsa consapevolezza del proprio corpo e interferiscono, sia sul mantenimento dell'equilibrio, sia sulla coordinazione di azioni e movimenti
  • la difficoltà di orientarsi nello spazio e di trovare il proprio posto in una situazione nuova
  • la scarsa consapevolezza del tempo e del pericolo
  • l'ipersensibilità al contatto fisico e nell'indossare gli abiti in maniera confortevole
  • la difficoltà di organizzarsi e di eseguire delle attività, che richiedono delle sequenze specifiche
  • la facile affaticabilità
  • la lentezza di esecuzione

Le principali tipologie di disprassia modifica

Pur essendo un deficit solitamente generalizzato (disprassia generalizzata), la disprassia può presentarsi con delle forme diverse e quindi contemplare dei disturbi selettivi che possono investire una sola area o abilità, celando o nascondendo altri aspetti deficitari.

Nella pratica clinica infatti, possiamo distinguere: la disprassia delle abilità di vita quotidiana (AVQ) come il vestirsi o il mangiare autonomamente; la disprassia dello sguardo; la disprassia degli arti superiori; la disprassia del disegno; la disprassia della scrittura o disgrafia; la disprassia costruttiva e quella verbale.

La disprassia dello sguardo ad esempio, è caratterizzata: da un'incapacità di fissare l'interlocutore o da una fissazione di durata molto breve; da uno sguardo caotico e iperfisso; da una mancanza di scioltezza nei movimenti di inseguimento durante la lettura e dunque da una tendenza nel saltare da una riga all'altra, nell'omettere delle parole e infine da una difficoltà nello spostare lo sguardo dalla lavagna al foglio e viceversa e quindi nel copiare dalla lavagna.

Il deficit dei movimenti dello sguardo inoltre è spesso correlato con il deficit dell'attenzione per l'incapacità di mantenere la fissazione su un oggetto o di condividere lo sguardo con l'interlocutore, con il deficit della sequenzialità nelle prove di opposizione e separazione delle dita a cui si associano difficoltà manuali e con il deficit della lettura associato alle difficoltà oculo-motorie.

La disprassia della scrittura, invece, non sempre è correlata con la disprassia nel disegno e, visto che il disegno geometrico potrebbe risultare adeguato, i bambini disprattici con deficit di sequenzialità dovrebbero evitare l'utilizzo del corsivo, limitandosi all'utilizzo dello stampatello maiuscolo.

Al di là delle diverse difficoltà che presentano, ciò che accomuna i bambini disprattici è l'incapacità di adeguarsi alle richieste dell'ambiente e di compiere azioni ritenute elementari e la consapevolezza dei problemi che affrontano li porta a vivere gli insuccessi personali con un senso di impotenza, rabbia e frustrazione e a non mettersi in comunicazione con il mondo circostante.

Un bambino disprattico, infatti, osserva il comportamento degli altri bambini e inevitabilmente fa dei paragoni con sé stesso e malgrado vorrebbe giocare, integrarsi e comunicare, difficilmente riesce a farlo a causa delle difficoltà nell'organizzare i movimenti deputati alle azioni, ai disturbi del linguaggio e dell'espressione verbale e all'immaturità sul piano sociale.

La percezione della propria inadeguatezza inoltre, unita alle frequenti accuse di essere pigro o poco intelligente, incide sull'autostima del bambino disprattico alimentandone la tristezza e la tendenza a isolarsi; mentre la consapevolezza di non soddisfare le aspettative delle persone che ama e di non raggiungere degli obiettivi ritenuti semplici ed elementari genera una grande sofferenza e diminuisce la propensione a lavorare e impegnarsi.

Se sostenuti adeguatamente, invece, i bambini disprattici sono generalmente vivaci e curiosi, nonché propensi a imparare e a impegnarsi e a esprimere al meglio le loro potenzialità ed è quindi fondamentale individuare il deficit in maniera precoce, possibilmente non più tardi dei 3 anni di età, al fine di attivare un trattamento riabilitativo che incida positivamente sullo sviluppo futuro delle competenze comunicative, sociali e cognitive.

Valutazione, diagnosi e trattamento modifica

Gli strumenti attualmente disponibili per una corretta valutazione e diagnosi della disprassia includono: test motori come l'ABC-2 e l'APCM-2; test cognitivi; test o batterie per la valutazione delle FE; test per la valutazione dell'ambito linguistico.

È importante sottolineare che una diagnosi precisa e precoce rappresenta già di per sé un intervento terapeutico, poiché una diagnosi sbagliata o tardiva priva il bambino di una terapia mirata e di un corretto adeguamento del suo ambiente di vita.

Un contesto sociale e familiare adeguato, infatti, è indispensabile per lo sviluppo delle funzioni adattive (prassie) e per la modificazione dell'architettura cerebrale; mentre la diagnosi precoce, oltre ad attivare una corretta terapia per il potenziamento delle funzioni deficitarie, facilita l'inserimento a scuola permettendo agli insegnanti di riconoscere e valorizzare i punti di forza del bambino, di individuare le sue modalità di apprendimento, di predisporre un percorso educativo e delle strategie didattiche individualizzate, di sostenere l'autostima dl bambino, di collaborare efficacemente con genitori e terapeuti (psicologi, psicomotricisti, logopedisti) e di tracciare un confine chiaro tra ciò che dipende dall'impegno e dalla volontà del bambino e ciò che dipende invece dalle sue difficoltà.

Sia nella valutazione sia nella terapia dei deficit riconducibili alla disprassia, inoltre, è necessario un approccio multisistemico integrato, che comporti la scomposizione delle varie funzioni che sono sottese a specifici compiti al fine di intervenire su ciascuna di esse e inserirle nell'insieme integrato delle funzioni cognitive adattive.

Il fine dell'intervento terapeutico, infatti, deve essere quello di consentire al bambino di agire consapevolmente e intenzionalmente per il raggiungimento dello scopo che si è prefissato e in base alla metodologia implicita nell'APCM-2 (Abilità Prassiche e della Coordinazione Motoria, Sabbadini 2015) e alla suddivisione tra abilità motorie o schemi di movimento e abilità cognitivo-adattive o funzioni prassiche; per ogni attività proposta nel corso della terapia è necessario:

  • valutare le funzioni esecutive implicate;
  • spiegare l'esercizio e descriverlo con cura;
  • stabilire quali rinforzi sono necessari;
  • favorire l'attivazione di processi di autocorrezione e autoregolazione atti ad aumentare l'autonomia personale del bambino.

L'uso di rinforzi positivi consente di individuare i punti di forza del bambino, vale a dire la funzioni maggiormente integre, che andranno a supporto di quelle deboli e deficitarie.

Nel corso dell'età evolutiva, infine, qualunque tipo di intervento richiede un'attenta considerazione del livello di sviluppo e di maturazione delle competenze e funzioni necessarie al bambino e lo scopo di questa valutazione è di evitare l'errore di richiedere compiti e prestazioni troppo difficili, che sono al di sopra delle reali possibilità del bambino e che finiscono per generare ansia e frustrazione.

La motivazione ad apprendere, infatti, si basa sul riconoscimento della propria efficacia, nonché della propria capacità di raggiungere gli scopi e gli obiettivi prefissati ed è in questa prospettiva che terapisti ed educatori, dovrebbero sempre tenere a mente la seguente massima di Albert Einstein: "Non insegno mai nulla ai miei allievi; cerco solo di metterli nella condizione di poter imparare e apprendere nel modo migliore possibile".

Bibliografia modifica

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