Esmat Dowlatshahi

nobildonna iraniana

Esmat Dowlatshahi (in persiano عصمت‌الملوک دولتشاهی‎; Teheran, 1905Teheran, 25 luglio 1995) è stata una nobildonna persiana della dinastia Qajar, consorte secondaria di Reza Shah Pahlavi, penultimo Shah di Persia.

Esmat Dowlatshahi
Consorte imperiale
Stemma
Stemma
In carica15 dicembre 1925 –
16 settembre 1941
Nome completoEsmat ol-Mouluk Dowlatshahi
NascitaTeheran, Sublime Stato della Persia (oggi Iran), 1905
MorteTeheran, Iran, 25 luglio 1995
Luogo di sepolturaCimitero Behesht-e Zahra, Teheran
DinastiaQajar (nascita)
Pahlavi (matrimonio)
PadreGholam Ali Mirza Dowlatshahi
MadreMobtahej Od-dowlah Morad
Consorte diReza Shah Pahlavi
(1923-1944, ved.)
FigliAbdul
Ahmad
Mahmoud
Fatemeh
Hamid
ReligioneIslam sciita

Biografia modifica

Esmat Dowlatshahi nacque nel 1905 a Teheran, nell'allora Sublime Stato della Persia, figlia di Gholam Ali Mirza Mojalal Dowleh Dowlatshahi (1878-1934), della dinastia Qajar, all'epoca regnante, e di sua moglie Mobtahedj-od-Dowleh. Aveva due fratelli e una sorella, Ashraf Saltaneh[1][2][3].

Nel 1923, sposò Reza Pahlavi, allora ministro della guerra[3][4]. Fu la sua quarta e ultima moglie in totale, ma la sua consorte secondaria: la prima moglie di Pahlavi era morta prima del suo secondo matrimonio, e aveva divorziato in quello stesso anno dalla terza, Turan Amirsoleimani, ma la seconda, Tadj ol-Molouk, era ancora viva: non approvò mai che il marito avesse deciso di contrarre matrimoni bigami e nutriva rancore e gelosia verso Esmat e, prima di lei, verso Turan. Ciononostante, Esmat fu la moglie favorita di Pahlavi, e gli diede cinque figli, quattro maschi e una femmina[1][5][6][7].

Nel 1925, Pahlavi depose i Qajar e si proclamò Shah, fondando la sua dinastia e rinominando il paese Stato Imperiale dell'Iran. Anche se fu la sola Tadj, in qualità di moglie principale, a ottenere il titolo di Regina comsorte, Esmat e tutti i suoi figli vissero nel Palazzo di Marmo insieme allo Shah, mentre Turan e suo figlio Gholam Pahlavi vissero in una villa separata. Nel 1941, Pahlavi fu deposto e sostituito con suo figlio maggiore, Mohammed Reza, nato da Tadj. Esmat accompagnò suo marito in esilio alle Mauritius, ma rientrò in Iran dopo pochi mesi. Rimase vedova nel 1944[5][7][8].

 
Lapide di Esmat Dowlatshahi, al centro

Dopo la rivoluzione islamica del 1979, che depose Mohammed e pose fine alla monarchia in Iran, Esmat fu fra i pochi membri della famiglia non costretti all'esilio[8] e, a parte una visita a Johannesburg, in Sudafrica, nel 1980, dove visitò il museo Reza Shah Pahlavi[9], visse in Iran fino alla morte, il 25 luglio 1995[8][10]. Venne sepolta nel cimitero di Behesht-e Zahra a Teheran[11].

Discendenza modifica

Da suo marito, ebbe quattro figli e una figlia:[1]

Note modifica

  1. ^ a b c Dictionary of women worldwide: 25,000 women through the ages, collana Yorkin publications, Gale, 2007, pp. 613-614, ISBN 978-0-7876-9394-7.
  2. ^ (EN) Eileen Pollack, The Jewish Shah, in Fourth Genre: Explorations in Nonfiction, vol. 6, n. 2, 2004, pp. 49–65, DOI:10.1353/fge.2004.0041.
  3. ^ a b (EN) Camron Michael Amin, The Making of the Modern Iranian Woman: Gender, State Policy, and Popular Culture, 1865-1946, University Press of Florida, 2002, p. 115, ISBN 978-0-8130-3126-2.
  4. ^ (EN) Cyrus Ghani e Sīrūs Ghanī, Iran and the Rise of Reza Shah: From Qajar Collapse to Pahlavi Power, Bloomsbury Academic, 27 ottobre 2000, p. 425, ISBN 978-1-86064-629-4.
  5. ^ a b Diana Internet Archive, Equal rights is our minimum demand : the women's rights movement in Iran, 2005, Minneapolis : Twenty-First Century Books, 2011, p. 40, ISBN 978-0-7613-5770-4.
  6. ^ "La principessa iraniana Fatemeh Pahlavi", su news.google.com.
  7. ^ a b (EN) Janet Afary, Sexual Politics in Modern Iran, Cambridge University Press, 9 aprile 2009, p. 194, ISBN 978-1-107-39435-3.
  8. ^ a b c Le mogli di Reza Shah, su www.iichs.org.
  9. ^ "Museo del Sud Africa", su newsroom.ap.org.
  10. ^ Historic Personalities of Iran: Reza Shah Pahlavi, su www.iranchamber.com.
  11. ^ "Cimitero di Behesht-e Zahra", su web.archive.org, 2 ottobre 2013. URL consultato il 15 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 2 ottobre 2013).

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