Guerra dell'Interdetto

Per guerra dell'interdetto si intende la vertenza, fra la Repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio, scoppiata nel 1606 a causa dell'arresto a Venezia di due preti cattolici accusati di reati comuni e dell'adozione da parte della Serenissima di una serie di leggi volte al contenimento della proprietà ecclesiastica.

Guerra dell'Interdetto
Data1606 - 21 aprile 1607
LuogoRepubblica di Venezia
CausaArresto per reati comuni da parte delle autorità veneziane di due religiosi cattolici
EsitoCompromesso tra il Papa e Venezia. Consegna degli ecclesiastici alla Chiesa e ritiro dell'interdetto.
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Nel quadro del predominio spagnolo in Italia, solo la Repubblica di Venezia conservava l'autonomia non solo formale, e come sempre nella sua storia Venezia mantenne rapporti politici ed economici non solo con l'Europa protestante ma anche con le popolazioni islamiche. Nel 1606 l'arresto, ordinato dal Consiglio veneziano dei Dieci, di due religiosi accusati di reati comuni provocò un duro scontro fra la Serenissima e lo Stato Pontificio. A scatenare la reazione del Papato fu il fatto che le autorità veneziane si rifiutarono di riconoscere che il clero costituiva un corpo a sé, con un suo diritto e i suoi tribunali, e che non era sotto la giurisdizione degli Stati. Per cercare di indurre i suoi avversari a tornare sui propri passi, il pontefice Paolo V (1605 - 1621) minacciò di disporre l'interdetto sulla repubblica, ossia di colpirla con una sorta di scomunica collettiva che avrebbe posto Venezia e i suoi domini al di fuori della Chiesa, impedendo ogni forma di amministrazione dei sacramenti: l'ultimatum papale fu respinto e il Papa mise in atto quanto aveva minacciato.

Seguirono mesi caratterizzati da grande tensione e da un conflitto dottrinale, combattuto a colpi di pamphlet, che suscitò l'interesse dei circoli intellettuali e religiosi di tutt'Europa e avrebbe seguitato a destarne per lungo tempo, se è vero che ancora verso la fine del Settecento nel dibattito illuministico in Germania la "Guerra dell'Interdetto", condotta dalla Repubblica di Venezia "con dispendio di intelligenza, fermezza e aristocratica moderazione", fornirà un'efficace rappresentazione della "lotta tra i diritti della sovranità temporale e le pretese di quella spirituale"[1]. Erano di fatto in contrasto due poteri che si affrontavano senza possibilità di conciliazione, quello dello Stato e quello della Chiesa, il primo deciso ad imporre a tutti i suoi sudditi l'obbedienza delle leggi, senza differenza tra laici e clero, il secondo determinato a farsi riconoscere come corpo separato, posto al di sopra delle frontiere e legato all'obbedienza del Papa.

Nella "battaglia di scritture" che infuriò tra Roma e Venezia, il governo veneziano poté valersi di un "consigliere giuridico" d'eccezione, il frate Paolo Sarpi, uomo di cultura e grande storico della Chiesa: lucido e brillante polemista, fu lui a ribattere punto per punto alla pretese romane, accusando il Papato di rompere con la tradizione per imporre un inaudito potere pontificio sulla vita cristiana.

I temi toccati da Paolo Sarpi nella sua difesa dei diritti dello Stato riguardavano una questione di rilevanza europea e la contesa sembrò effettivamente sul punto di trascinare l'intero continente in un nuovo conflitto tra chi si era schierato a fianco della Serenissima (ad esempio l'Inghilterra) e quanti condividevano la posizione papale (in particolare la Spagna). Grazie alla mediazione della Francia, tuttavia, si giunse ad un compromesso: Venezia fu liberata dall'interdetto e i due religiosi arrestati furono affidati all'ambasciatore francese, il quale a sua volta li consegnò alle autorità romane.

Gli ordini religiosi che avevano abbandonato Venezia vi furono riammessi, con la vistosa eccezione dei gesuiti.

  1. ^ J.A. Eberhard, Storia delle controversie tra Papa Paolo V e la Repubblica di Venezia, trad.it. di Hagar Spano, in La teologia politica in discussione, a cura di S. Sorrentino e H. Spano, Fridericiana, Napoli 2012, p. 211.

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