James Clifford

antropologo statunitense

James Clifford (1945) è un antropologo statunitense.

James Clifford

Insegna "History of Consciousness" presso l'Università della California di Santa Cruz. Nell'aprile 1984 ha partecipato, insieme ad altri studiosi, al seminario di Santa Fe, da cui poi è stato ricavato il libro Writing Culture. Nel 1988 ha scritto The Predicament of Culture: Twentieth Century Ethnography, Literature, and Art, tradotto in sette lingue.

La cultura come testo modifica

Con l'opera di James Clifford l'antropologia entra nella sua fase postmoderna e decostruzionista. Il concetto di cultura viene definitivamente messo da parte, e il vero oggetto dell'antropologia è l'antropologo stesso, o meglio il suo io narrante. Questa rivoluzione era già nell'aria con Clifford Geertz e la sua attenzione alla descrizione dell'Altro attuata dall'antropologo, ma con Clifford l'altro diventa la rappresentazione antropologica stessa. Clifford privilegia quindi nell'antropologia la sola parte che finora è stata per lo più ignorata, quella cioè della scrittura e della costruzione del testo attuata dall'antropologo nel suo studio. È lì che avviene la costruzione dell'altro, che dipende dai dispositivi testuali e dalle strategie retoriche adottate. La scrittura etnografica secondo Clifford è determinata da:

  • il contesto;
  • la retorica, cioè da specifiche convenzioni espressive;
  • le istituzioni, poiché la scrittura è influenzata da particolari discipline e destinatari;
  • il genere letterario, solitamente distinguibile da un romanzo o un resoconto di viaggio;
  • la politica;
  • la storia.

Queste variabili determinano quindi la produzione di testi che Clifford definisce altresì finzioni etnografiche, intendendo con questa espressione non che una etnografia è falsa, bensì che è stata costruita, fabbricata a tavolino e come tale è parziale perché inevitabilmente basata sulla selezione e l'esclusione. Tutto questo perché, secondo Clifford, non esiste un elemento preesistente alla scrittura come la cultura, che è semplicemente una finzione etnografica. Nella sua opera principale, Scrivere le culture (1986), Clifford teorizzava queste idee attuando una critica dell'oggetto di studio classico dell'antropologia – il primitivo, l'esotico – e rendendo il testo l'unica cosa che conta, mentre la cultura è ridotta a una true fiction, una finzione reale, una costruzione dell'antropologo.

Scenari postmoderni modifica

Clifford introduce la corrente postmoderna in antropologia. Non va dimenticato che il concetto di cultura è legato a doppio filo alla modernità e come tale non può non essere coinvolto in questa critica decostruzionista. Se il postmoderno, come ha detto Jean-François Lyotard, è caratterizzato dalla fine delle grandi narrazioni, allora la cultura, che è stato lo strumento delle grandi narrazioni attraverso le quali la modernità ha messo in scena l'Altro, è il primo oggetto della critica postmoderna. Il concetto di cultura come insieme complesso è rifiutato, perché tale insieme non può più essere oggetto diretto di esperienza ma non è altro che un artificio costruito dall'antropologo. Sicuramente tra i meriti di Clifford sta quello di aver svelato i particolari artifici narrativi propri dell'etnografia, dall'uso della terza persona al ricorso al genere maschile per indicare gruppi umani: accorgimenti retorici che depurano l'esperienza sul campo dell'antropologo da elementi soggettivi e la incanalano in una serie di sterili convenzioni espositive. Tuttavia il problema di Clifford sta nell'aver trasformato questo difetto dell'antropologia in pregio, legittimandolo, affermando che la riduzione dell'Altro a un testo etnografico, lo spostamento dell'oggetto antropologico dall'altro all'io narrante è positivo.

Non si può fare a meno di rivedere nuovamente apparire una forma estrema di etnocentrismo, che paradossalmente ricompare all'interno di una delle tesi più relativiste mai tratteggiate. L'Altro viene infatti ridotto a una mera proiezione dell'osservatore, è una semplice costruzione basata sulle categorie cognitive proprie e del tutto indifferente alle peculiarità dell'Altro. Clifford sembra proporre come soluzione un'antropologia dialogica dove il testo non è più solo un prodotto dell'antropologo ma il frutto di un incontro tra osservatore e osservato; questa soluzione appare tuttavia difficilmente applicabile viste le rigide premesse poste da Clifford.

Opere modifica

  • (con George E. Marcus) Scrivere le culture. Poetiche e politiche dell'etnografia, Meltemi, Roma, 1998 (ed. or. 1986)
  • I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1993 (ed. or. 1988)
  • Person and Myth: Maurice Leenhardt in the Melanesian World, 1992
  • Strade. Viaggio e traduzione alla fine del secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1999 (ed. or. 1997)
  • Ai margini dell'antropologia: interviste, Meltemi, Roma, 2004 (ed. or. 2003)
  • Returns: Becoming Indigenous in the Twenty First Century, Harvard University Press, 2013

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