Ne bis in idem: differenze tra le versioni

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'''''Ne bis in idem''''' è una [[locuzioni latine|locuzione latina]] che tradotta alla lettera significa «non due volte per la medesima cosa».
Si tratta di un [[brocardo]] che esprime un [[Principi generali|principio del diritto]] in forza del quale un [[giudice]] non può esprimersi due volte sulla stessa [[azione (diritto)|azione]], se si è già formata la [[cosa giudicata]]; per estensione, si ritiene applicabile anche ad altre branche del diritto, ma con un fondamento costituzionale decrescente ovvero limitato all'esigenza di tutela dell'affidamento incolpevole del cittadino.
 
== Diritto penale ==
Si tratta di un [[brocardo]] che esprime un [[Principi generali|principio del diritto]] in forza del quale un giudice non può esprimersi due volte sulla stessa [[azione (diritto)|azione]], se si è già formata la [[cosa giudicata]].
 
In materia penale (sostanziale e processuale) il ''ne bis in idem'' è figlio di un rifiuto di un sistema inquisitorio che non lo ammetteva, in quantocui il giudizio era secondo quell'ottica sempre perfettibile e non dovevano essere posti limiti al potere dell'organo inquisitorio-giudicante. Nel [[sistema accusatorio]] invece vanno rispettati certi termini, tempi e forme: pertanto il ''ne bis in idem'' è un risultato a ciò conseguente, quasi necessario.
== Diritto comparato ==
In Paesi quali [[Stati Uniti]], [[Canada]], [[Messico]], [[Argentina]] o [[India]] è considerato un principio [[costituzione|costituzionale]] che un accusato non possa essere giudicato due volte per lo stesso [[reato]] (''Double Jeopardy'' nel [[Common law|diritto comune]] anglosassone).
Nel diritto italiano<ref>''The objective limits of the ne bis in idem in Italy between national and European rules'' di Fabio Salvatore Cassibba. In: Revista Brasileira de Direito Processual Penal, Vol 4, Iss 3, Pp 953-1002.</ref> il divieto di doppio giudizio si applica principalmente nel caso di una sentenza ormai divenuta [[cosa giudicata]] dopo la conferma della [[Corte suprema di cassazione]]: l'imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato (tranne casi di [[revisione (ordinamento penale italiano)|revisione della condanna]]) e nel caso di anomalie giuridiche in cui un imputato venga processato due volte di seguito dallo stesso tribunale, per lo stesso reato e nello stesso grado di giudizio.
 
== Diritto penale ==
In materia penale (sostanziale e processuale) il ''ne bis in idem'' è figlio di un rifiuto di un sistema inquisitorio che non lo ammetteva, in quanto il giudizio era secondo quell'ottica sempre perfettibile e non dovevano essere posti limiti al potere dell'organo inquisitorio-giudicante. Nel sistema accusatorio invece vanno rispettati certi termini, tempi e forme: pertanto il ''ne bis in idem'' è un risultato a ciò conseguente, quasi necessario.
 
I motivi di massima per cui si ritiene ragionevole che una persona non possa essere processata due volte per la stessa fattispecie di reato possono essere così riassunti:
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* l'essere esposti senza garanzia alla pubblica accusa fu, e potrebbe essere se non regolamentato, uno strumento di tirannìa.
* il cittadino ha il diritto di sapere che il giudizio a cui è stato sottoposto è finale, e non soggetto a ulteriori indagini e cambiamenti<ref>{{Cita web|lingua=en|url=http://www.agd.nsw.gov.au/lawlink/pdo/ll_pdo.nsf/pages/PDO_ruleagainstdoublejeopardy|formato=PDF|titolo=In favor of current rule prohibiting retrial after acquittal|accesso=30 luglio 2009}}</ref>.
=== Nel mondo ===
 
In Paesi quali [[Stati Uniti]], [[Canada]], [[Messico]], [[Argentina]] o [[India]] è considerato un principio [[costituzione|costituzionale]] che un accusato non possa essere giudicato due volte per lo stesso [[reato]] (''Double Jeopardy'' nel [[Common law|diritto comune]] anglosassone).
===Il medesimo fatto===
Nel diritto italiano<ref>''The objective limits of the ne bis in idem in Italy between national and European rules'' di Fabio Salvatore Cassibba. In: Revista Brasileira de Direito Processual Penal, Vol 4, Iss 3, Pp 953-1002.</ref> il divieto di doppio giudizio si applica principalmente nel caso di una sentenza ormai divenuta [[cosa giudicata]] dopo la conferma della [[Corte suprema di cassazione]]: l'imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato (tranne casi di [[revisione (ordinamento penale italiano)|revisione della condanna]]) e nel caso di anomalie giuridiche in cui un imputato venga processato due volte di seguito dallo stesso tribunale, per lo stesso reato e nello stesso grado di giudizio.
===In Italia===
====La ''medesimezza'' del fatto====
Nel codice di procedura penale italiano, all'art. 649<sup>1</sup> viene stabilito che nessuno può essere processato più volte ''«per il medesimo fatto»''. La definizione ha creato notevoli dubbi su cosa dovesse intendersi per "fatto". La dottrina migliore ritiene che l'articolo, mutuando orientamenti passati del codice francese di [[Philippe-Antoine Merlin de Douai|Merlin]], nonché le evoluzioni italiane, si riferisca alla mera condotta che ha causato l'evento, senza riguardo alla sua intensità o alla sua imputazione nel processo precedente.<ref>Così Cordero, "Diritto processuale penale"</ref>
 
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Nel caso di [[reato complesso]] la situazione è differente: il reato complesso è un reato composto da due o più figure autonome di reato (la [[rapina]] è insieme [[furto]] con [[violenza privata]], ad esempio) e, qualora sia stato perseguito per uno solo dei reati autonomi, è perseguibile per gli altri; ma se è stato perseguito e giudicato per il reato complesso nel suo aspetto intero, ovviamente non può poi essere riproposto un processo su uno dei reati autonomi. Questo perché nel primo caso i fatti sono due che compongono un singolo reato, mentre nel secondo caso entrambi i fatti sono presi in considerazione e giudicati unicamente. Questo meccanismo funziona soltanto se entrambe le componenti sono isolatamente punibili come reati, altrimenti restano ingiudicabili separatamente (l'esempio della [[violenza carnale]], dove la violenza privata è reato ma l'atto sessuale preso in considerazione da solo non è punito dalla legge).
 
Il [[reato permanente]] è giudicato soltanto alla ''res deducta'': basta infatti un segmento della condotta per imputare il soggetto di un determinato reato, quindi gli altri segmenti non possono essere giudicati nuovamente purché rispondano al medesimo fatto. Se quindi un soggetto compie il reato ''a'' che comporta ''b'' e nuovamente ''a'', non si può giudicarlo nuovamente, se compie il reato ''a'' che comporta ''b'', viene giudicato e successivamente nasce ''c'', la questione è diversa.
 
Discorso interessante sorge in merito alle cosiddette ''fattispecie alternative'', ovvero quando da una sola condotta una norma penale prefigura vari reati: è il caso, di scuola, dell'art. 616 c.p. (violazione della corrispondenza). Se l'imputato viene assolto, è perseguibile per una situazione diversa, se viene condannato no, perché comunque il reato l'ha commesso e la pena è identica per ogni fattispecie di condotta.
 
===Sviluppo=L'irrevocabilità del principioprovvedimento e deroghedecisorio====
Soffermandosi sul versante interno (principio del cosiddetto “ne bis idem verticale”), è stato scritto che si è assistito in tempi recenti a una progressiva estensione del principio del ''ne bis in idem'' anche a provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell'art. 649 c.p.p.
 
L'applicazione del divieto del bis in idem è stata a lungo rigorosamente subordinata all'esistenza di decisioni giurisdizionali connotate dal requisito dell'irrevocabilità. Anche recentemente è stato ribadito che l'esistenza di una sentenza irrevocabile costituisce condizione tassativa e inderogabile per l'applicazione dell'art. 649 (Cass., Sez. III, 23 febbraio 2005, P.M. in proc. Massa, rv. 230872).
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La stessa giurisprudenza costituzionale ha indicato una possibilità di ritenere sussistente una “accezione più piena del principio del ne bis in idem”, rilevando come l'operatività del principio di cui all'art. 529 c.p.p. possa essere estesa fino a “comprendere tutte le ipotesi in cui per quel medesimo fatto l'azione penale non avrebbe potuto essere coltivata in un separato procedimento perché già iniziata in un altro” .
La Consulta[[Corte costituzionale]] nelle pronunce 318/2001 e 39/2002 individua cioè un sincretismo tra il divieto di sottoposizione a nuovo giudizio sancito dall'articolo 649 c.p.p. e la formula di improcedibilità dell'articolo 529 c.p.p., laddove questa sanziona un'interdizione all'esercizio dell'azione penale ("l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita") a causa dell'avvenuta consumazione del potere punitivo nell'ambito di un precedente giudizio inerente al medesimo fatto-reato: e ciò perché “(…) la regola della declaratoria dell'effetto preclusivo, sub specie di sentenza di improcedibilità dell'azione penale, è da ritenere espressa in termini generali (…), dovendosi pertanto reputare ininfluente che il nuovo codice, a differenza di quanto comunemente si affermava con riferimento a quello abrogato (art. 90 cod. proc. pen. del 1930), non consideri specificamente tale situazione nell'ambito dell'istituto del ne bis in idem (v. artt. 649, comma 1, e 648, comma 1, cod. proc. pen.)” .
 
Tale filone interpretativo teso a elevare il principio di ''ne bis in idem'' a regola immanente nel sistema è stato recepito con l'innovativa sentenza delle SS.UU. penali che si sono espresse favorevolmente circa l'ammissibilità della pronuncia di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale nelle ipotesi di litispendenza (Cassazione Penale, Sez. U, 28 giugno – 28 settembre 2005, n. 34655, anche per i rilievi che precedono),: si ritenendoritenne ammissibile la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale non attraverso la diretta applicazione della disposizione di cui all'art. 649 c.p.p., ma appunto in virtù di un principio più ampio – di cui tale norma è espressione – il quale, anche in assenza di un provvedimento irrevocabile, “rende la duplicazione dello stesso processo incompatibile con le strutture fondanti dell'ordinamento processuale e ne permette la rimozione con l'impiego dei rimedi enucleabili dal sistema”.
La Consulta nelle pronunce 318/2001 e 39/2002 individua cioè un sincretismo tra il divieto di sottoposizione a nuovo giudizio sancito dall'articolo 649 c.p.p. e la formula di improcedibilità dell'articolo 529 c.p.p., laddove questa sanziona un'interdizione all'esercizio dell'azione penale ("l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita") a causa dell'avvenuta consumazione del potere punitivo nell'ambito di un precedente giudizio inerente al medesimo fatto-reato: e ciò perché “(…) la regola della declaratoria dell'effetto preclusivo, sub specie di sentenza di improcedibilità dell'azione penale, è da ritenere espressa in termini generali (…), dovendosi pertanto reputare ininfluente che il nuovo codice, a differenza di quanto comunemente si affermava con riferimento a quello abrogato (art. 90 cod. proc. pen. del 1930), non consideri specificamente tale situazione nell'ambito dell'istituto del ne bis in idem (v. artt. 649, comma 1, e 648, comma 1, cod. proc. pen.)” .
 
Tale filone interpretativo teso a elevare il principio di ne bis in idem a regola immanente nel sistema è stato recepito con l'innovativa sentenza delle SS.UU. penali che si sono espresse favorevolmente circa l'ammissibilità della pronuncia di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale nelle ipotesi di litispendenza (Cassazione Penale, Sez. U, 28 giugno – 28 settembre 2005, n. 34655, anche per i rilievi che precedono), ritenendo ammissibile la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale non attraverso la diretta applicazione della disposizione di cui all'art. 649 c.p.p., ma appunto in virtù di un principio più ampio – di cui tale norma è espressione – il quale, anche in assenza di un provvedimento irrevocabile, “rende la duplicazione dello stesso processo incompatibile con le strutture fondanti dell'ordinamento processuale e ne permette la rimozione con l'impiego dei rimedi enucleabili dal sistema”.
 
Si noti che secondo un filone giurisprudenziale ormai consolidato, e ricordato nella citata sentenza a Sezioni Unite della Cassazione penale n. 34655/05, la preclusione del "ne bis in idem" giustifica la dichiarazione di impromovibilità dell'azione penale anche in presenza di provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell'art. 649 c.p.p.
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Così rispetto al decreto di archiviazione seguito da riapertura delle indagini da parte dello stesso pubblico ministero senza l'autorizzazione del giudice prescritta dall'art. 414 c.p.p. ; ancora, la pronuncia di non luogo a procedere emessa ex art. 425 c.p.p. pur se non ricompressa fra quelle dell'art. 649 si ritiene impedisca ugualmente l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto contro la medesima persona ove in concreto manchino le condizioni per la sua revocabilità. Se poi la sentenza è stata emessa per estinzione del reato, l'effetto preclusivo è irreversibile e del tutto assimilabile a quello di cui all'art. 640 c.p.p., poiché non è possibile configurare neppure in via ipotetica la sopravvenienza di presupposti per un nuovo esercizio dell'azione penale. Diversamente la sentenza di non doversi procedere pronunciata per mancanza della querela non impedisce l'esercizio di un secondo giudizio, qualora sia successivamente (ma tempestivamente) proposta rituale querela.
 
Insomma: “(…) l'art. 649 costituisce un singolo, specifico, punto di emersione del principio del ''ne bis in idem'', che permea l'intero ordinamento dando linfa a un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va attribuito, pertanto, il ruolo di principio generale dell'ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell'art. 12 delle Preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario referente dell'interpretazione logico-sistematica.”
 
Migliore dottrina ha rilevato al proposito come esista nel nostro ordinamento processuale un principio garantistico generale volto a tutelare l'individuo dai rischi connessi alla possibilità di una duplicazione a suo carico di processi penali per il medesimo fatto, come riconosciuto anche dalla sentenza 34655/05 SS.UU. citata: tale principio troverebbe vari riconoscimenti positivi, diversificati a seconda della “intensità dell'effetto preclusivo”, adducendo diversi esempi di manifestazione del principio suddetto al di fuori dalla nozione di giudicato, come:
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E ancora, CGCE 28 settembre 2006 Causa C-467/04, Francesco Gasparini, secondo cui «il principio ne bis in idem, sancito all'art. 54 della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata il 19 giugno 1990 a Schengen, si applica a una decisione di un giudice di uno Stato contraente, pronunciata in seguito all'esercizio di un'azione penale, con cui un imputato viene definitivamente assolto in ragione della prescrizione del reato che ha dato luogo al procedimento penale».
 
Si ricordi poi, la sentenza CGCE 28 settembre 2006 C-150/05, '''Jean Leon Van Straaten''', secondo cui: «''il principio del ''ne bis in idem'', sancito all'art. 54 della detta convenzione, trova applicazione a una decisione dell'autorità giudiziaria di uno Stato contraente con cui un imputato è definitivamente assolto per insufficienza di prove''». E ciò sul presupposto di fondo secondo cui: «senza che sia necessario pronunciarsi sul problema se un'assoluzione non fondata su una valutazione del merito possa rientrare nell'ambito di applicazione di tale articolo, si deve constatare che un'assoluzione per insufficienza di prove si fonda su una siffatta valutazione».
 
Ai fini della presente memoria risulta essere di rilievo la sentenza della CGCE 11 dicembre 2008 Causa C-297/07 '''Klaus Bourquain'''. In tale arresto si è giunti ad affermare che il principio "ne bis in idem", sancito dall'art. 54 della Convenzione d'applicazione dell'Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i Governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990, si applica a un procedimento penale avviato in uno Stato contraente per reprimere fatti per i quali l'imputato è già stato definitivamente giudicato in un altro Stato contraente, anche qualora, ai sensi del diritto dello Stato in cui esso è stato condannato, la pena inflittagli non abbia mai potuto essere direttamente eseguita a causa di peculiarità procedurali come quelle considerate nel procedimento principale (processo contumaciale francese per cui, se la persona condannata in contumacia compaia prima che la pena sia estinta per prescrizione, detta pena non viene eseguita ma viene avviato un nuovo procedimento in presenza dell'imputato; peraltro nel caso di specie era intervenuta anche una legge di amnistia ed era intervenuta prescrizione del reato; il secondo procedimento era stato aperto in Germania). Il carattere definitivo è affermato dalla CGCE anche in tale ove si trattava di una sentenza pronunciata in contumacia, che conferiva la possibilità di apertura del procedimento nei confronti del condannato successivamente comparso Tuttavia, tale possibilità di apertura non è considerata dirimente dalla Corte europea, in aderenza al non celato obiettivo d9i garantire la libera circolazione nel territorio europeo, diritto che verrebbe svilito o leso ove la definitività di una decisione penale venisse fatta dipendere dalle particolarità dei vari ordinamenti giuridici.