Alberico Biadene: differenze tra le versioni

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|AnnoNascita = 1900
|LuogoMorte = Venezia
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte = 1985
|Attività = ingegnere
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|PostNazionalità = , ricordato per il [[disastro del Vajont]]
|Immagine = Ing. Alberico Biadene (1971).jpg
|Didascalia = Alberico Biadene in Cassazione nel 1971.
}}
 
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Dopo i primi smottamenti della frana, si fece prendere dal panico e decise di abbassare il livello dell'acqua della diga. Nelle varie relazioni che inviava al [[ministero dei lavori pubblici]], omise di riportare o minimizzò i continui segnali di pericolo che provenivano dal [[monte Toc]]: smottamenti, strani rombi e scosse sismiche. Solo la sera prima del disastro informò il [[geologo]] [[Francesco Penta]], che era a [[Roma]], delle prove effettuate su modellino di Nove di [[Vittorio Veneto]], e che la quota di sicurezza fissata durante gli esperimenti era stata superata a settembre.
 
Il 20 febbraio [[1968]], il [[giudice istruttore]] del tribunale di [[Belluno]] Mario Fabbri, depositò la sentenza del [[procedimento penale]] contro Biadene e altri dieci imputati. Per Biadene emise mandato di cattura, ma il dirigente si rese irreperibile. Il 25 novembre incominciò il processo di primo grado, che si tenne a [[L'Aquila]] e non a Belluno per [[legittimaLegittima suspicione|legittimo sospetto]] a motivo dei problemi di ordine pubblico, presieduto dal giudice Marcello Del Forno, e si concluse il 17 dicembre [[1969]]. La [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] revocò il mandato di cattura contro Biadene, mai eseguito. L'accusa abruzzese chiese ventuno anni di reclusione per Biadene, ma venne condannato a sei, di cui due condonati, per omicidio colposo plurimo, colpevole di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero. La prevedibilità della frana non venne riconosciuta.
 
Il 26 luglio [[1970]], incominciò a L'Aquila il [[Corte d'Appello|processo d'appello]], sotto la presidenza del giudice Bruno Fracassi. Il 3 ottobre, la sentenza riconobbe la totale colpevolezza di Biadene, che venne riconosciuto colpevole di frana, inondazione e degli omicidi. Venne condannato a sei anni, di cui tre condonati.
 
Dal 15 al 25 marzo [[1971]], a Roma si svolse il processo di Cassazione, presieduto dal giudice Giovanni Rosso, che riconobbe definitivamente Biadene responsabile del disastro, d'inondazione aggravata dalla previsione dell'evento, e degli omicidi. La sentenza avvenne quindici giorni prima della scadenza dei sette anni e mezzo dell'avvenimento, giorno nel quale sarebbe intervenuta la prescrizione, e Biadene espiò la pena erogata. Condannato a cinque anni di reclusione (due per il disastro e tre per gli omicidi), di cui tre condonati dall'amnistia per motivi di salute, che scontò in carcere a [[Venezia]], divenne un detenuto modello. Sistemò la biblioteca e l'impianto di riscaldamento, guadagnandosi così uno sconto di pena di solo un anno e sei mesi per [[Liberazione anticipata|buona condotta]]. Nel [[1972]], all'uscita del penitenziario, salutò i cronisti a bordo di un motoscafo dell'Enel e si recò in vacanza a [[Cortina d'Ampezzo|Cortina]].<ref>{{cita web|url=httpshttp://necrologie.messaggeroveneto.gelocal.it/news/60389?refresh_ce|titolo=Quell'onda che spazzò duemila vite|editore=Messaggero Veneto|data=2017}}</ref>
 
Morì a Venezia nel [[1985]].