Elmo di Agris: differenze tra le versioni

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|grandezza immagine = 380px
|titolo = 'Casque d'Agris'
|artista = sconosciuto
|artista = probabilmente un artista celtico vissuto in Italia meridionale o Sicilia
|artista2 =
|data = ca. [[350 a.C.]]
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La superficie della paragnatide non è continua ma si presenta finemente traforata. I vuoti sono attraversati da [[filigrana (oreficeria)|filigrane]] auree formate da [[Granulazione (oreficeria)|granuli d'oro]] che descrivono dei decori: è proprio uno di questi fili d'oro a fornire l'unica rappresentazione figurativa, con un piccolo motivo teratomorfo-zoomorfo costituito da una testa mostruosa di animale dal muso lungo (una sorta di cane o lupo) dagli occhi esorbitanti e le corna da ariete; il corpo serpentiforme prende origine a destra da un ricciolo spiraliforme e si sviluppa verso sinistra in un meandro in forma di [[yin e yang]] che si prolunga, sempre verso sinistra, a descrivere una voluta al cui estremo è la testa<ref name="J. Gomez de Soto"/><ref>Il dettaglio può essere apprezzato nella immagine in testa all'articolo, al suo massimo ingrandimento, in uno dei vuoti simmetrici della paragnatide, quello a sinistra (il vuoto a destro ha perso, o è privo di decoro)</ref>. Si tratta di un elemento iconografico il cui significato può essere forse rintracciato nella [[mitologia celtica]]: sebbene privo di precedenti e di confronti per l'epoca, un motivo simile ricorre invece nella molto più tarda arte gallo-romana, ma si riscontra anche in realizzazioni artistiche alla periferia del [[Celti|mondo celtico]] come nel [[calderone di Gundestrup]], dove un mostro simile è brandito dalla mano sinistra di quello che si interpreta comunemente come il dio [[Cernunnos]]<ref name="J. Gomez de Soto"/>.
 
La realizzazione artistica è di livello molto elevato, con grande profusione di elementi decorativi diversi, di tipoorigine vegetale, interamente astratti (tranne uno), disposti dall'artista in una elaboratissima composizione la cui trama va a coprire l'intera superficie disponibile<ref name="J. Gomez de Soto"/>: fin dalla sua scoperta, il casco di Agris è stato considerato come uno dei grandi capolavori dell'arte celtica, fortemente influenzato dall’arte greca dell’Italia meridionale e della Sicilia. Si tratta indubbiamente di un artista celtico che viveva in Italia meridionale o in Sicilia; gli studiosi sono concordi nel collocarlo a [[Taranto]] o in [[Campania]] [https://shs.hal.science/file/index/docid/455391/filename/Agris_l_archeologue.2.pdf]. Condiderato un capolavoro, ha fattofacendo mostra di sé in diverse esposizioni mondiali sui Celti, come quella allestita a [[Venezia]] nel 1991, nelle sale di [[Palazzo Grassi]], o come la mostra sull'"Arte dei Celti" (''L'art des Celtes''/''Kunst des Kelten'') tenutasi a [[Berna]] nel 2009<ref name="J. Gomez de Soto"/>, sulla copertina del cui catalogo campeggiava proprio l'immagine dell'elmo.
 
===Destinazione cerimoniale===
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==Origine==
GliNon studiosisi collocanoconosce comeil zonaluogo di realizzazione: l’Itslial'elmo meridionalerappresenta oun ''unicum'' per la Sicilia:zona, privo com'è di qualsiasi precedente locale, mentre diverse similitudini stilistiche permettono di accostarlo a prodotti dell'arte celto-grecaitalica. dellaSi zonaritiene tuttavia che sia molto probabile di Tarantotrovarsi odi infronte Campania.a Siun prodotto locale: si tratterebbe quindi di un esempio della vasta irradiazione di un nuovo originale stile artistico maturato in ambiente greco-italico, ''stile vegetale continuo'' (detto anche ''stile di Waldalgesheim'', nella nomenclatura originale della fondamentale opera di [[Paul Jacobsthal]]<ref>[[Paul Jacobsthal]], ''Early Celtic Art'', 2 voll., [[Clarendon Press]], 1944</ref>), dalla località [[Renania-Palatinato|renana]] che ne ha restituito per prima molte importanti testimonianze.
 
Lo ''stile vegetale continuo'' è il frutto di un'originale e coerente ''facies'' dell'arte celtica, maturata grazie ai contatti culturali con i centri di produzione [[Magna Grecia|greci]] ed [[Etruschi]] della [[penisola italiana]], a seguito delle [[invasione celtica della penisola italiana|invasioni celtiche]] del primo quarto del [[IV secolo a.C.]] e del conseguente insediamento di popolamenti celtici nell'[[Etruria padana]] e aree limitrofe<ref name="Kruta2 121">{{cita libro| Venceslas| Kruta| wkautore=Venceslas Kruta|La grande storia dei Celti. La nascita, l'affermazione e la decadenza| 2004| [[Newton & Compton]]| Roma|ISBN= 88-8289-851-2|pagine=121}}</ref><ref name=Kruta46>[[Venceslas Kruta]], ''I Celti e il Mediterraneo'', p. 46.</ref>. Tali effetti si sarebbero ripercossi ben presto a nord delle [[Alpi]]: la loro assimilazione e rielaborazione innescò una fase di rinnovamento dell'arte celtica: tra gli esempi di questa fase artistica, oltre al reperto di Agris, si può citare un altro capolavoro, l'[[elmo di Canosa]] in bronzo e corallo, capolavoro datato intorno al 330 a.C., proveniente da [[Canosa di Puglia]] e conservato al [[Antikensammlung Berlin|Antikensammlung]] del sistema dei [[Musei statali di Berlino]].
 
Il casco di Agris si propone come espressione di una fase di transizione alla nuova voga decorativa dello "stile vegetale continuo", in un'area periferica rispetto all'epicentro di irradiazione celto-grecoitalico. In effetti, da un punto di vista stilistico, il casco è ancora debitore della fase artistica precedente, quella che [[Paul Jacobsthal]], nella sua fondamentale periodizzazione stilistica dell'arte celtica, aveva indicato come ''Early style'' (primo stile), in voga al [[V secolo a.C.]]: tuttavia, la presenza di alcuni elementi tipici dello stile vegetale continuo, e il trattamento riservato agli elementi decorativi più tradizionali, permettono di riconoscere l'influenza della moda artistica che andava affermandosi nel secolo IV, diquello provenienzadell'[[invasione magnoceltica greca.della penisola italiana|espansione italiana dei Celti]]<ref name="J. Gomez de Soto"/>. Proprio sulla base di tali considerazioni stilistiche, si è potuto datare l'opera tra il secondo quarto e la metà del IV secolo a.C.<ref name="J. Gomez de Soto"/>.
 
L'oro potrebbe provenire dalle miniere dei monti dell'[[Alvernia]], sul lato ovest nel [[Massiccio centrale]], ben conosciute nell'[[antichità]] e il cui sfruttamento è documentato almeno fin dal V secolo a.C.<ref name="J. Gomez de Soto"/>.