Guerra d'Etiopia: differenze tra le versioni

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Basta documentarsi un po' e si riesce a non oscurare la verità e mettersi il prosciutto sugli occhi. Il riferimento alla canzonetta è una curiosità.
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La '''guerra d'Etiopia''' (nota anche come '''campagna d'Etiopia''') fu un conflitto armato che si svolse tra il [[3 ottobre]] [[1935]] e il [[5 maggio]] [[1936]] e vide contrapposti il [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] e l'[[Impero d'Etiopia]]. Condotte inizialmente dal generale [[Emilio De Bono]], rimpiazzato poi dal [[Maresciallo d'Italia|maresciallo]] [[Pietro Badoglio]], le forze italiane invasero l'Etiopia a partire dalla [[colonia eritrea]] a nord, mentre un fronte secondario fu aperto a sud-est dalle forze del generale [[Rodolfo Graziani]] dislocate nella [[Somalia italiana]]. Nonostante una dura resistenza, le forze etiopi furono soverchiate dalla superiorità numerica e tecnologica degli italiani e il conflitto si concluse con [[Occupazione di Addis Abeba|l'ingresso delle forze di Badoglio nella capitale Addis Abeba]].
 
La guerra fu la campagna coloniale più grande della storia<ref>Eguagliata solo successivamente dai [[Guerra d'Algeria|francesi in Algeria]] e dagli [[Guerra del Vietnam|statunitensi in Vietnam]], sempre se sia corretto fare un paragone con queste due guerre. Vedi: {{cita|Dominioni|p. 5}}.</ref>: la mobilitazione italiana assunse dimensioni straordinarie, impegnando un numero di uomini, una modernità di mezzi e una rapidità di approntamento mai visti fino ad allora. Fu un conflitto altamente simbolico, dove il [[Storia del fascismo italiano|regime fascista]] impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale e di rinsaldamento interno del regime stesso, volute da [[Benito Mussolini]]<ref name=Rochat35/>, con l'obiettivo a lungo termine di orientare l'emigrazione italiana verso una nuova colonia popolata da italiani e amministrata in regime di ''[[apartheid]]'' sulla base di una rigorosa separazione razziale<ref name=Traverso>{{cita libro|autore=Enzo Traverso|titolo=La violenza nazista. Una genealogia|editore=Il Mulino|città=Bologna|anno=2002|ISBN=978-88-15-13785-2|p=81}}</ref>. In questo contesto i vertici militari e politici italiani non badarono a spese per il raggiungimento dell'obiettivo: il [[Duce]] approvò e sollecitò l'invio e l'utilizzo in Etiopia di ogni arma disponibile e non esitò ad autorizzare l'impiego in alcuni casi di [[armi chimiche]], in contrapposizione all'utilizzo illegale, da parte delle truppe Etiopi, dei proiettili cosiddetti "dum-dum", ad espansione, solitamente utilizzati al tempo per la caccia agli elefanti, il cui riferimento è presente anche nella famosa canzonetta militare italiana dell'epoca chiamata "l'Abissino vincerai".
 
L'aggressione dell'Italia contro l'Etiopia ebbe rilevanti conseguenze diplomatiche e suscitò una notevole riprovazione da parte della comunità internazionale: la [[Società delle Nazioni]] decise d'imporre delle [[sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni economiche]] contro l'Italia che furono ritirate nel luglio 1936 senza peraltro aver provocato il benché minimo rallentamento delle operazioni militari. Nel complesso, la campagna di Etiopia fu un successo militare dell'Italia fascista, ottenuto in tempi brevi e con grande risonanza propagandistica, ma conseguito comunque ai danni di un esercito tribale, privo di equipaggiamenti pesanti e armi moderne, senza addestramento alla guerra moderna, che però durante le prime fasi del conflitto riuscì a contrattaccare l'esercito invasore e a contendere ampie porzioni di territorio in modo efficace nonostante l'incolmabile divario tecnologico<ref>{{cita libro|autore=[[Pasquale Villani]]|titolo=L'età contemporanea|editore=Il Mulino|città= Bologna|annooriginale=1983|anno=1993|ISBN=88-15-02704-1|p. 446}}</ref>.
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Le potenze europee non fornirono alcun sostegno concreto all'Etiopia. Il caso più clamoroso fu quello del Regno Unito: se infatti pubblicamente cercava di mediare, segretamente teneva posizioni ambigue nonostante il forte sostegno popolare all'Etiopia che, fondendo in parte [[anticolonialismo]], [[antifascismo]] e [[antimperialismo]], cresceva forte in Gran Bretagna e in tutta Europa contro la guerra che Mussolini si apprestava a iniziare. Vi furono manifestazioni a sostegno dell'Etiopia in tutto il mondo, da Parigi a Londra, da [[Damasco]] a [[Nairobi]], da [[Città del Capo]] a [[Città del Messico]], ma in generale non vi fu una mobilitazione sensibile come avvenne per la [[Guerra civile spagnola|guerra di Spagna]]: solo poche centinaia di persone sposarono la causa etiopica andando a infoltire le file dell'esercito del negus<ref>{{cita|Dominioni|p. 14}}.</ref>. In gioco c'era il fragile equilibrio postbellico, ma le nazioni europee stettero a guardare. Un maggiore impegno fu profuso dalle delegazioni nazionali della [[Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale|Croce Rossa]], le quali inviarono in Etiopia uomini, materiali, medicine e unità sanitarie; a livello ufficiale il comitato internazionale della Croce Rossa mantenne un atteggiamento neutrale, condannando flebilmente alcune violazioni internazionali commesse dagli italiani ma senza portare fino in fondo le denunce, assumendo in sostanza una politica arrendevole nei confronti della diplomazia fascista<ref>{{cita|Dominioni|p. 15}}.</ref>.
 
Manca una completa documentazione sull'afflusso di armi in Etiopia nel corso di quell'anno, ed è difficile valutare la consistenza dell'arsenale etiopico allo scoppio del conflitto. Le stime italiane indicavano come le forze nemiche, valutate in circa 280-{{formatnum:350000}} uomini, fossero per circa un quarto «fornite di buona istruzione militare all'europea» e dotate di fucili a ripetizione di vari modelli e calibri, ma in prevalenza moderni e con circa 150 cartucce per soldato. Nel complesso l'esercito del negus poteva contare su circa un migliaio di mitragliatrici e fucili mitragliatori con abbondante munizionamento, circa 200 pezzi di artiglieria di piccolo calibro in gran parte antiquati, qualche decina di cannoni antiaerei e anticarro (compresi 30 cannoni anticarro da 37&nbsp;mm prodotti dalla [[Rheinmetall|Rheinmetall-Borsig]] per i quali lo stesso Hitler accordò il permesso di acquisto<ref>{{cita libro|autorecognome=Manfred Funke|nome= Manfred|titolo= Sanktionen und Kanonen|editore= Droste Verlag|città= Düsseldorf|anno= 1970|p= 37}}</ref>), di qualche carro armato e di una decina di velivoli<ref name=DelBoca355>{{Cita|Del Boca II|p. 355}}.</ref>. In sostanza, la situazione militare dell'esercito etiopico è riassumibile nelle parole dell'inviato del ''[[The Times]]'' George Steer, il quale scrisse: «non hanno artiglieria, non hanno aviazione e la proporzione di armi automatiche e di fucili moderni è patetica». Ancor più vistosa fu però la mancanza di preparazione e istruzione dei soldati e degli ufficiali: i vecchi capi abissini, fatta eccezione forse per ras Immirù, grasmac Afeuork e cagnasmac Mellion{{#tag:ref|I quali ricevettero buona istruzione dalla missione militare belga negli anni 1930. Vedi: {{cita|Del Boca|p. 380}}.|group=N}}, erano soprattutto amministratori con scarse conoscenze militari e solo un soldato su cinque era preparato ad affrontare una guerra moderna. Hailé Selassié, perfettamente al corrente di questa situazione, confidava soprattutto negli alunni della ''Ecole de Guerre'' di Olettà, dalla quale voleva che uscissero i veri quadri dell'esercito; purtroppo però i 138 alunni della scuola, seppur considerati di buon livello culturale, non ebbero mai l'occasione di distinguersi durante la guerra, ma costituirono invece il primo nucleo di resistenza etiopica dopo la fine delle operazioni italiane<ref>{{cita|Del Boca II|p. 357}}.</ref>.
 
[[File:Addis Ababa, Ethiopia. Medical supplies for the front, including bales of cotton.jpg|miniatura|Forniture mediche in arrivo alla stazione di Addis Abeba]]
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[[File:Soldati italiani dopo l'occupazione di Gondar.jpg|thumb|Soldati italiani dopo l'occupazione di Gondar; da notare l'ironico cartello alle loro spalle]]
 
Nel frattempo, mentre i due eserciti si organizzavano per affrontare lo scontro decisivo a Mai Ceu, il 15 marzo il segretario del partito [[Achille Starace]] diede inizio alla sua personalissima [[marcia su Gondar]], partendo da Asmara con una colonna di {{formatnum:3348}} camicie nere e bersaglieri, 500 automezzi carichi di viveri e 6 pezzi d'artiglieria. Dopo un'avanzata di oltre 300 chilometri lungo un vecchio percorso tracciato nel 1906 dall'ufficiale Malugani<ref>{{cita|Del Boca II|p. 609}}.</ref>, il 1º aprile Starace entrò nella città santa di Gondar senza aver sostenuto nemmeno uno scontro con le truppe abissine. Ciò fu dovuto soprattutto al fatto che il ras che controllava la zona, Ajaleu Burrù, era stato comprato dagli italiani e che, per proteggere Starace e facilitarne l'impresa, oltre alle truppe eritree del generale Cubeddu (mandate in avanscoperta lungo tutto il percorso per neutralizzare anticipatamente eventuali assalitori) Badoglio aveva dato ordine a due squadriglie aeree di vigilare sulla colonna per tutta la durata della marcia. Nemmeno il comando supremo perse mai il contatto radio con le truppe di Starace, le quali godevano di particolari privilegi e intorno alle quali si sarebbe dovuto creare un alone di entusiasmo che «ridondasse a vantaggio del partito»<ref>{{cita libro|autorecognome=[[Silvio Bertoldi]]|nome= Silvio|wkautore=Silvio Bertoldi|titolo= Camicia Nera. Fatti e misfatti di un ventennio italiano|editore= Rizzoli Bur|città= Milano|anno= 2001|p= 215|ISBN= 88-17-12744-2}}</ref>. Favorito dal collasso degli eserciti abissini, Starace continuò la sua avanzata raggiungendo dapprima il [[lago Tana]], proseguì poi verso [[Bahar Dar]] (24 aprile), [[Debre Tabor]] (28 aprile), fino alle rive del [[Nilo Azzurro]] e quindi a [[Debra Marcos|Debrà Marcòs]], che fu raggiunta il 20 maggio dopo una marcia di 1700 chilometri<ref>{{cita|Del Boca II|p. 613}}.</ref>.
 
[[File:AO-Etiopia-1936-C-mitraglieri-Alpini-sull-Amba-Aradam.jpg|miniatura|sinistra|Alpini tra le rocce dell'Amba Aradam azionano una Fiat-Revelli Mod. 1914]]