Basilicata: differenze tra le versioni

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Nel 1735, la Basilicata passò sotto il dominio dei [[Borbone di Napoli]]. Sull'onda dei fatti del 1799, [[Avigliano]], ancor prima di [[Napoli]],<ref>{{Cita web|url=http://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1607:avigliano-1799-un-intera-comunita-infervorata-dalla-democrazia-repubblicana&catid=64&Itemid=28|accesso=21 ottobre 2020|titolo=Avigliano 1799. Un’intera comunità infervorata dalla democrazia repubblicana|sito=nuovomonitorenapoletano.it}}</ref> piantò l'[[albero della libertà]] e proclamò la [[Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]]; da lì i moti si estesero in tutta la regione, ma la rivoluzione venne soffocata dall'[[Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo|esercito sanfedista]] del [[cardinale Ruffo]], soggiogando le città di Potenza, Melfi, [[Tito (Italia)|Tito]] e [[Picerno]].
 
I francesi ritornarono sette anni più tardi, nonostante la resistenza della popolazione (che, in gran parte, manifestò fedeltà alla corona borbonica),<ref>Francesco Saverio Nitti, ''L'Italia all'alba del secolo XX'', Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, 1901, p.110-111</ref> ponendo sotto assedio città come [[Massacro di Lauria|Lauria]], [[Resistenza di Maratea|Maratea]] e [[Viggiano]]. I francesi riorganizzarono l'assetto amministrativo e spostarono la sede dell'allora [[provincia di Basilicata]] da Matera a Potenza.<ref>{{Cita libro|titolo=Potenza capoluogo (1806 - 2006). Edizione speciale per il Bicentenario di Potenza capoluogo. Vol. I-II.|anno=2008|editore=Edizioni Spartaco|città=Potenza}}</ref> [[Charles Antoine Manhès]], fissando il suo quartier generale a Potenza, attuò una repressione molto violenta ma efficace contro il [[brigantaggio]] che imperversava nelle campagne basilicatesi e calabresi. lese. L'imperatore dei francesi nominò quindi il fratello [[Giuseppe Bonaparte|Giuseppe]] "Re di Napoli". Intanto nelle province del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] (soprattutto in [[Basilicata]] e [[Calabria]]) tornò ad organizzarsi la [[Insurrezione calabrese|resistenza antinapoleonica]]: fra i vari capitani degli insorti filoborbonici (tra cui vi erano sia militari di professione che banditi comuni) si distinsero, in [[Calabria]] e [[Terra di Lavoro]], il brigante di [[Itri]] [[Michele Pezza]], detto ''Fra Diavolo'', e in [[Basilicata]] il colonnello [[Alessandro Mandarini]] di [[Maratea]]. La repressione del moto antifrancese fu affidata, principalmente, ai generali [[André Massena]] e [[Jean Maximilien Lamarque]] i quali riuscirono a frenare la ribellione, anche se con espedienti estremamente crudeli, come accadde ad esempio nel cosiddetto [[massacro di Lauria]], perpetrato dai soldati di Massena.Con il ritorno dei Borbone, nel 1848 le forze radicali tentarono, senza successo, di costituire a Potenza un governo provvisorio, dopo che [[Ferdinando II di Borbone|Ferdinando II]] aveva ritirato la costituzione liberale, a pochi mesi dalla promulgazione.
 
=== Unità d'Italia e brigantaggio ===