Banda della Magliana: differenze tra le versioni

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{{quote|Già dall'epoca del mio ricovero agli arresti domiciliari presso Villa Gina, avevo constatato il totale raffreddamento dei rapporti con gli altri componenti della banda; raffreddamento che si era tradotto nella cessazione dell'assistenza economica sia a me che alla famiglia subito dopo il nuovo provvedimento di cattura. In conseguenza del fatto che non potevo avere contatti con l'esterno mi trovai completamente isolato dal resto della banda e quindi impossibilitato a spiegare le ragioni per le quali era opportuno che io restassi in clinica sino a che non fosse intervenuto un provvedimento di scarcerazione, chiarendo l'equivoco per il quale sarebbe stata una soluzione opportunistica quella di non evadere. Ovviamente, attesa la gravità dei reati dei quali dovevo rispondere e per i quali mi trovavo detenuto, era impensabile che potessi restare a Roma una volta fuggito. Pertanto non ritenni di riprendere contatti con i componenti della banda che in quel momento si trovavano in libertà, ma preferii farmi aiutare da mio fratello Roberto, il quale avrebbe dovuto, per come fece, trovarsi nei pressi della clinica con un'autovettura. Il personale addetto alla sorveglianza non fu da me corrotto. Mi limitai ad approfittare della loro buona fede, in quanto, convinti che io fossi veramente malato e paralizzato come davo a credere, durante la notte si limitavano a controllare che io fossi a letto e non stazionavano nella stanza. Alle quattro di notte, dopo aver messo nel letto un cestino e un cuscino che dessero l'impressione che qualcuno vi dormisse, scavalcai la finestra della mia camera posta al primo piano, e con un lenzuolo mi calai nel cortile, scavalcai la bassa inferriata di recinzione e con una certa difficoltà, considerato il lungo periodo di degenza, durante il quale ero stato sempre attento a non fare movimenti con le gambe, affinché non venisse scoperta la mia simulazione, raggiunsi l'auto nella quale mi aspettava mio fratello. Voglio aggiungere che della paralisi dei miei arti si erano convinti anche i componenti della banda, i quali anche per questo, ritenendomi ormai finito, avevano smesso di darmi assistenza economica|Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 3 dicembre 1992<ref name="Abbatino-19921203" />}}
 
Un mese dopo l'evasione dalla clinica Abbatino decise che Roma era diventata troppo pericolosa per lui, stretto tra la morsa della polizia e dei suoi ex amici della banda scelse allora di fuggire in Sud America, dove gli uomini della squadra mobile romana e della Criminalpol riuscirono a scovarlo solo sei anni dopo, il [[24 gennaio]] del [[1992]], in un elegante residence alla periferia di [[Caracas]]. Gli investigatori che gli davano la caccia intercettarono infatti una sua telefonata, la sera di [[capodanno]] del [[1991]], che permise loro di individuarlo: «Noi ogni anno a Natale e Capodanno eravamo lì ad ascoltare se arrivava una telefonata di auguri alla famiglia e per sei anni non è mai arrivata.» racconta il vicequestore della Mobile Nicolò D’Angelo «Ma il sesto anno è arrivata e questo ci ha permesso di arrestarlo.»<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/gennaio/26/sorpreso_Venezuela_boss_della_Magliana_co_0_92012610022.shtml|autore=Cesare de Simone|titolo=Sorpreso in VenezeulaVenezuela il boss della Magliana|pubblicazione=Corriere della Sera|editore=|data=26 gennaio 1992|accesso=3 luglio 2012}}</ref>
 
Le autorità italiane avviarono immediatamente le pratiche per il trasferimento del boss in Italia e, il [[4 ottobre]] dello stesso anno, Abbatino fu espulso dal [[Venezuela]] e preso in consegna dagli uomini della Mobile e riportato in patria dove decise subito di intraprendere un percorso di collaborazione con la magistratura, spinto da un grosso sentimento di rivalsa nei confronti dei suoi ex amici, aumentato anche dal fatto che, durante la sua latitanza, si erano resi protagonisti dell'omicidio del fratello Roberto, torturato a morte per cercare di scoprire il rifugio di ''Crispino''. Il suo corpo, completamente massacrato e con il petto squarciato da una coltellata finale, riaffiorò alcuni giorni dopo dal fiume Tevere, all'altezza di Vitinia. «Potevo evadere tranquillamente e non sono stato aiutato.» racconta Abbatino «Poi c’è stata la morte di mio fratello e credo che i responsabili siano stati loro, se non materialmente moralmente perché c’era da parte della banda un sodalizio per cui andavano protetti anche i familiari. Ormai ero rimasto solo e non sapevo più da che parte stare. Non mi fidavo più di nessuno.»<ref>{{Cita web|url=http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=591|autore=|titolo=Italian Tabloid - I segreti della Banda della Magliana|editore=La Storia Siamo Noi|data=|accesso=4 luglio 2012}}</ref>