Sant'Ambrogio: differenze tra le versioni

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Dopo cinque anni di avvocatura a [[Sirmio]], nel [[370]] fu incaricato quale governatore della provincia romana ''Aemilia et Liguria'', con sede a [[Milano]], dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore [[Valentiniano I]]. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra [[arianesimo|ariani]] e [[cattolici]] gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni.<ref>Robert Wilken, "The Spirit of Early Christian Thought" (Yale University Press: New Haven, 2003), pp. 218.</ref><ref name="Michael Walsh 1991 pp. 407">Michael Walsh, ed. "Butler's Lives of the Saints" (HarperCollins Publishers: New York, 1991), pp. 407.</ref>
 
Nel [[374]], alla morte del vescovo ariano [[Aussenzio di Milano]], il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo [[Paolino di Milano|Paolino]] racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio [[vescovo]]!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un [[chiesa cattolica|cattolico]] come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di [[teologia]].<ref>Paolino, ''Vita di
Ambrogio'', 6</ref>
 
[[Paolino di Milano|Paolino]] racconta che, al fine di dissuadere il popolo di Milano dal farlo nominare vescovo, Ambrogio provò anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la [[tortura]] di alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi all'autorità dell'imperatore [[Valentiniano I|Flavio Valentiniano]], cui Ambrogio era alle dipendenze. Fu allora che accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di [[Dio]] nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il [[battesimo]] e, il [[7 dicembre]] [[374]], venne [[ordine sacro|ordinato vescovo]].<ref>Paolino, ''Vita di Ambrogio'', 7-8</ref><ref>[[Indro Montanelli]], ''Storia di Roma'', Rizzoli, 1957</ref> Riferendosi alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte:<ref>Ambrogio, ''Lettera fuori coll. 14 ai Vercellesi'', 65</ref>
{{Citazione|Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami.}}
 
Nonostante, come scrisse più tardi, si sentisse «rapito a forza dai tribunali e dalle insegne dell'amministrazione al sacerdozio»<ref>Ambrogio, ''De officiis'', I, 1, 4</ref>, dopo la nomina a vescovo, Ambrogio prese molto sul serio il suo incarico e si dedicò ad approfonditi studi [[Bibbia|biblici]] e teologici.
 
=== Episcopato ===
[[File:Francisco de Zurbarán 032.jpg|thumb|Ambrogio con le insegne episcopali]]
==== Gli impegni pastorali ====
Quando divenne vescovo, adottò uno stile di vita ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri (eccetto il necessario per la sorella [[Santa Marcellina|Marcellina]]).
 
Uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto di prigionieri<ref>[[Giacomo Biffi]], Relazione al [[Meeting di Rimini]], 29-08-1997</ref><ref>C. Pasini, ''I Padri della Chiesa. Il cristianesimo dalle origini e i primi sviluppi della fede a Milano'', op. cit., pp. 169-170</ref>. Di fronte alle critiche mosse dagli [[Arianesimo|ariani]] per il suo gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. [...] I [[sacramenti]] non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro ciò che non si compra con l'oro» (''De officiis'', II, 28, 136-138)
 
La sua sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la conversione nel [[386]] al [[cristianesimo]] di [[Agostino d'Ippona|Sant'Agostino]], di fede [[manicheismo|manichea]], che era venuto a Milano per insegnare retorica.
 
Ambrogio fece costruire varie [[Basiliche paleocristiane di Milano|basiliche]], di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono alle attuali basiliche di [[Basilica di San Nazaro in Brolo|San Nazaro]] (sul [[decumano]], presso la Porta Romana, allora era la ''Basilica Apostolorum''), di [[basilica di San Simpliciano|San Simpliciano]] (sulla parte opposta), di [[Basilica di Sant'Ambrogio|Sant'Ambrogio]] (collocata a sud-ovest, era chiamata originariamente ''Basilica Martyrum'' in quanto ospitava i corpi dei santi martiri [[Gervasio e Protasio]] rinvenuti da Ambrogio stesso; accoglie oggi le spoglie del santo) e di [[Basiliche paleocristiane di Milano|San Dionigi]].
 
Il ritrovamento dei corpi dei santi martiri [[Gervasio e Protasio]] è narrato dallo stesso Ambrogio, che ne attribuisce il merito ad un presagio, per il quale egli fece scavare la terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi [[Nabore e Felice]]. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito importato dalla Chiesa orientale) nella ''Basilica Martyrum''; durante la traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di nome Severo riacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei confronti degli [[Arianesimo|ariani]], che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo, e negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica.
 
Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compiendo fondamentali riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia cristiana, e ancor oggi a Milano vi è una scuola che tramanda nei millenni questo antico canto.
 
==== Politica ecclesiastica ====
L'importanza della sede occupata da Ambrogio, teatro di numerosi contrasti religiosi e politici, e la sua personale attitudine di uomo politico lo portarono a svolgere una forte attività di politica ecclesiastica. Egli scrisse infatti opere di [[morale]] e [[teologia]] in cui combatté a fondo gli errori dottrinali del suo tempo; fu inoltre sostenitore del primato del [[vescovo di Roma]], contro altri vescovi (tra i quali [[Palladio]]) che lo ritenevano pari a loro.
 
Si mostrò in prima linea nella lotta all'[[arianesimo]], che aveva trovato numerosi seguaci a Milano e nella corte imperiale. Si scontrò per questo motivo con l'[[Giustina (imperatrice)|imperatrice Giustina]], di fede ariana e probabilmente influì sulla politica religiosa dell'imperatore [[Graziano]] che, nel [[380]], inasprì le sanzioni per gli eretici e, con l'[[editto di Tessalonica]], dichiarò il cristianesimo [[religione di Stato]]. Il momento di massima tensione si ebbe nel [[385]]-[[386]] quando, dopo la morte di Graziano, gli ariani chiesero insistentemente con l'appoggio della corte imperiale una basilica per praticare il loro culto. L'opposizione di Ambrogio fu energica tanto che rimase famoso l'episodio in cui, assieme ai fedeli cattolici, "occupò" la basilica destinata agli ariani finché l'altra parte fu costretta a cedere. Fu in questa occasione, si racconta, che Ambrogio introdusse l'usanza del canto [[antifona]]le e della preghiera cantata in forma di inno, con lo scopo di non fare addormentare i fedeli che occupavano la basilica. Fu inoltre determinante per la vittoria di Ambrogio nella controversia con gli ariani il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e Protaso, che avvenne proprio nel [[386]] sotto la guida del vescovo di Milano, il quale guadagnò in questo modo il consenso di gran parte dei fedeli della città.
 
Fu infine forte avversario del [[paganesimo]] "ufficiale" romano, che dimostrava in quegli anni gli ultimi segni di vitalità; per questo motivo si scontrò con il senatore [[Quinto Aurelio Simmaco]] che chiedeva il ripristino dell'altare e della statua della [[Vittoria (divinità)|dea Vittoria]] rimossi dalla [[Curia (storia di Roma)|Curia romana]], sede del Senato, in seguito a un editto di Graziano nel [[382]].
 
==== Rapporti con la corte imperiale ====
[[File:Anthonis van Dyck 005.jpg|thumb|left|[[L'imperatore Teodosio e sant'Ambrogio|Sant'Ambrogio rifiuta l'ingresso in chiesa all'imperatore]], nel dipinto di [[Van Dyck]]. Molto probabilmente questo episodio non avvenne mai: Ambrogio preferì non arrivare allo scontro pubblico con l'imperatore, ma lo redarguì in privato]]
 
Il potere politico e quello religioso al tempo erano strettamente legati: in particolare l'imperatore, a cominciare da [[Costantino I|Costantino]], possedeva una certa autorità all'interno della [[Chiesa (istituzione)|Chiesa]], nella quale il primato [[San Pietro apostolo|petrino]] non era pienamente assodato e riconosciuto. A questo si aggiunsero la posizione di Ambrogio, vescovo della città di residenza della corte imperiale, e la sua precedente carriera come avvocato, amministratore e politico, che lo portarono più volte a intervenire incisivamente nelle vicende politiche, ad avere stretti rapporti con gli ambienti della corte e dell'aristocrazia romana, e talvolta a ricoprire specifici incarichi diplomatici per conto degli imperatori.
 
In particolare, nonostante il convinto lealismo verso l'[[impero Romano]] e l'influenza nella vita politica dell'impero, i suoi rapporti con le istituzioni non furono sempre pacifici, soprattutto quando si trattò di difendere la causa della Chiesa e dell'ortodossia religiosa. Gli storici bizantini gli accreditarono questo atteggiamento come ''parrhesia'' (παρρησία), schiettezza e verità di fronte ai potenti e al potere politico, che traspare a partire dal suo rapporto epistolare con l'imperatore [[Teodosio I|Teodosio]].
 
Essendo Ambrogio precettore dell'imperatore [[Graziano]], lo educò secondo i principi del Cristianesimo. Egli predicava all'imperatore di rendere grazie a Dio per le vittorie dell'esercito e lo appoggiò nella disputa contro il senatore Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare alla [[Vittoria (divinità)|dea Vittoria]] fatto rimuovere dalla [[Curia (storia di Roma)|Curia romana]]
 
Chiese poi a Graziano di indire il [[concilio di Aquileia]] nel settembre del [[381]] per condannare due vescovi eretici, secondo i dettami dei vari concili ecumenici ed anche secondo l'opinione del Papa e dei vescovi ortodossi.<ref>Graziano avrebbe voluto convocare un concilio numeroso, ma Ambrogio lo esortò a convocare un numero limitato di vescovi, affermando che per appurare la verità ne bastavano pochi e che non era il caso di incomodarne troppi, facendo loro affrontare un viaggio faticoso (Neil B. McLynn, ''Ambrose of Milan: Church and Court in a Christian Capital'', University of California Press, 1994. pp. 124–5.).</ref> In questo concilio Ambrogio si pronunciò contro l'[[arianesimo]].
 
Ambrogio influì anche sulla politica religiosa di [[Teodosio I]]. Nel [[388]], dopo che un gruppo di cristiani aveva incendiato la [[sinagoga]] della città di [[Callinico]], l'imperatore decise di punire i responsabili e di obbligare il vescovo, accusato di aver istigato i distruttori, a ricostruire il tempio a suo spese. Ambrogio, informato della vicenda, si scagliò contro questo provvedimento, minacciando di sospendere l'attività religiosa, tanto da indurre l'imperatore a revocare le misure.
 
Nel [[390]] richiamò severamente l'imperatore, che aveva ordinato un massacro tra la popolazione di [[Tessalonica]], rea di aver linciato il capo del presidio romano della città: in tre ore di carneficina erano state assassinate migliaia di persone, attirate nell'arena con il pretesto di una corsa di cavalli. Ambrogio, venuto a conoscenza dell'accaduto, evitò una contrapposizione aperta con il potere imperiale (con il pretesto di una malattia evitò l'incontro pubblico con Teodosio) ma, per via epistolare, chiese in modo riservato ma deciso una «penitenza pubblica» all'imperatore, che si era macchiato di un grave delitto pur dichiarandosi [[cristiano (religione)|cristiano]], pena l'esclusione dai sacri riti («Non oso offrire il sacrificio, se tu vorrai assistervi», ''Lettera 11''). Teodosio accettò di rimettersi alla volontà del vescovo e fece atto di pubblica penitenza nella notte [[Natale]] di quell'anno, momento in cui venne assolto e riammesso ai sacramenti.
 
Dopo questo episodio la politica religiosa dell'imperatore si irrigidì notevolmente: tra il [[391]] e il [[392]] furono emanati una serie di decreti (noti come [[decreti teodosiani]]) che attuavano in pieno l'editto di Tessalonica: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue<ref>''Codex Theodosianus'', 16.10.10</ref>; furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero nuovamente al paganesimo<ref>''Codex Theodosianus'', 16.7.4</ref> e nel decreto emanato nel [[392]] da [[Costantinopoli]], l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di [[Lex Iulia maiestatis|lesa maestà]], punibile con la condanna a morte<ref>''Codex Theodosianus'', 16.10.12.1</ref>.
 
Nel [[393]] Milano fu coinvolta nella lotta per il potere tra l'imperatore [[Teodosio I]] e l'usurpatore [[Flavio Eugenio]]. In aprile Eugenio varcò le Alpi e puntò alla conquista della città, in quanto capitale d'Occidente. Ambrogio partì e andò ritirarsi a [[Bologna]]. Durante un soggiorno temporaneo a [[Faenza]] scrisse una lettera ad Eugenio. Poi accettò l'invito della comunità di [[Firenze]], ove rimase per circa un anno. La guerra per il controllo dell'impero fu vinta da Teodosio. Nell'autunno del [[394]] Ambrogio fece ritorno a Milano.
 
== Pensiero e opere ==
[[File:St.Peter am Wimberg Kirche - Kanzel 4 Ambrosius.jpg|thumb|Rilievo gotico raffigurante Ambrogio. Tra gli attributi del santo c'è il miele, simbolo della dolcezza delle prediche e degli scritti]]
Fortemente legata all'attività pastorale di Ambrogio fu la sua produzione letteraria, spesso semplice frutto di una raccolta e di una rielaborazione delle sue omelie e che quindi mantengono un tono simile al parlato.
 
Per il suo stile dolce e misurato del suo parlato e della sua prosa, Ambrogio venne definito «dolce come il miele» e tra i suoi attributi compare perciò un [[alveare]].
 
=== Esegesi ===
Oltre la metà dei suoi scritti è dedicata all'[[esegesi]] [[Bibbia|biblica]], che egli affronta seguendo un'interpretazione prevalentemente allegorica e morale del testo sacro (in particolare per quanto riguarda l'[[Antico Testamento]]): ad esempio, ama ricercare nei patriarchi e nei personaggi biblici in generale figure di Cristo o esempi di virtù morali. Fu proprio questo metodo di lettura della Bibbia ad affascinare [[Sant'Agostino]] e a risultare determinante per la sua conversione (come egli scrisse nelle ''Confessioni'' V, 14, 24).
 
Secondo Gérard Nauroy, «per Ambrogio l'[[esegesi]] è un modo fondamentale di pensare piuttosto che un metodo o un genere: [...] ormai egli "parla la Bibbia", non più con la giustapposizione di citazioni dagli stili più diversi, ma in un discorso sintetico, eminentemente allusivo, "misterico" come la Parola stessa».<ref>Gérard Nauroy, ''L'Ecriture dans la pastorale d'Ambroise de Milan'', in ''Le monde latin antique et la Bible''. A cura di J. Fontaine e C.. Pietri, Parigi 1985. Citato in Pasini, ''I Padri della Chiesa. Il cristianesimo delle origini e i primi sviluppi della fede a Milano'', op. cit.</ref> Per Ambrogio la lettura e l'approfondimento della conoscenza biblica costituiscono un elemento fondamentale della vita cristiana:
{{Citazione|Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'[[Antico Testamento|Antico]] e del [[Nuovo Testamento]], perché in entrambi bevi [[Cristo]]. [...] La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima|Ambrogio, ''Commento al Salmo I'', 33}}
 
Tra le opere esegetiche spiccano l'esauriente commento al Vangelo di Luca (''Expositio evangelii secundum Lucam'') e l'''[[Exameron]]'' (dal greco "sei giorni"). Quest'ultima opera, ispirata ampiamente all'omonimo ''Exameron'' di [[Basilio di Cesarea]], raccoglie, in sei libri, nove omelie riguardanti i primi capitoli della [[Genesi]] dalla [[creazione (teologia)|creazione]] del cielo fino alla [[creazione dell'uomo]]. Anche in questo caso, il racconto della creazione è occasione di evidenziare insegnamenti morali desunti dalla natura e dal comportamento degli animali e dalle proprietà delle piante; in questo senso l'uomo appare ad Ambrogio necessariamente legato con tutto il [[creato]] dal punto di vista non solo biologico e fisico, ma anche morale e spirituale.
 
=== Morale e ascetismo ===
Un altro gruppo significativo consiste nelle opere di argomento morale o ascetico, tra le quali risalta il ''De officiis ministrorum'' (talvolta abbreviato in ''De officiis''), un trattato sulla vita cristiana rivolto in particolare al clero ma destinato a tutti i fedeli. L'opera ricalca l'[[De officiis|omonimo scritto]] di [[Cicerone]], che si proponeva come manuale di etica pratica indirizzato al figlio (cui è dedicato) rivolto soprattutto a questioni politico-sociali. Ambrogio riprende il titolo (indirizzando l'opera ai suoi "figli" in senso spirituale, cioè il clero e il popolo di Milano), la struttura (il libro è ripartito in tre libri, dedicati all<nowiki>'</nowiki>''honestum'', all'''utile'' e al loro contrasto risolto nell'identificazione tra i due) e alcuni elementi contenutistici (tra i quali i principi della morale stoica, come il dominio della razionalità, l'indipendenza dai piaceri e dalla vanità delle cose, la virtù come sommo bene). Questi elementi sono rivisti con originalità in chiave cristiana: agli ''exempla'' tratti dalla storia e dalla mitologia classica, Ambrogio sostituisce ad esempio storie ed esempi tratti dalla Bibbia. In generale, è lo stesso orientamento del testo a non essere più etico-filosofico ma prevalentemente religioso e spirituale, come egli spiega fin dall'inizio: «Noi valutiamo il dovere secondo un principio diverso da quello dei filosofi. Essi considerano beni quelli di questa vita, noi addirittura danni» (''De officiis'', I, 9, 29). Allo stesso modo, le virtù tradizionali vengono rilette cristianamente e accettate alla luce del [[Vangelo]]: la ''[[Fede (divinità)|fides]]'' (lealtà) diventa la fede in [[Cristo]], la prudenza include la devozione verso [[Dio]], esempi di [[fortezza]] divengono i [[martiri]]. Alle virtù classiche si aggiungono le virtù cristiane: la [[carità]] (che già esisteva nel mondo latino, ora assume un significato più interiore e spirituale), l'[[umiltà]], l'attenzione verso i poveri, gli schiavi, le donne.
 
Altre cinque opere sono dedicate alla [[verginità]], specialmente quella femminile (''De virginibus'', ''De viduis'', ''De virginitate'', ''De instituzione virginis'' e ''Exhortatio virginitatis''). Ambrogio esalta la verginità come massimo ideale di vita cristiana, sulla scia della tradizione cristiana da [[San Paolo]] («colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio», {{passo biblico2|1 Cor|7,38}}) fino al contemporaneo [[San Girolamo|Girolamo]], senza tuttavia negare la validità della vita matrimoniale. La scelta della verginità è ritenuta l'unica vera scelta di emancipazione per la [[donna]] dalla vita coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente in questo senso il fatto che il matrimonio costituisca solo un contratto economico e sociale, che non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: «Davvero degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di essere messa all'asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri chi offre il prezzo più alto» (''De virginibus'', I, 9, 56). Per questo Ambrogio incoraggia i genitori ad accettare la scelta di verginità dei figli e i figli a resistere alle difficoltà imposte dalla famiglia («Se vinci la famiglia, vinci anche il mondo», ''De virginibus'', I, 11, 63).
 
=== Società e politica ===
[[File:St Ambrose.jpg|thumb|Ambrogio assolve Teodosio dopo l'episodio di Tessalonica]]
Nel confronto con la società e gli ideali del mondo latino, Ambrogio accolse i valori civili della romanità con l'intento di dare ad essi nuovo significato all'interno della religione cristiana. Nel suo ''Esamerone'' esalta l'istituzione [[repubblica]]na (di cui l'antica [[repubblica romana]] era secondo lui un ammirevole esempio) prendendo spunto dalla spontanea organizzazione delle [[Gruidae|gru]], che si dividono il lavoro avvicendandosi nei turni di guardia:
{{Citazione|Che c'è di più bello del fatto che la fatica e l'onore comuni a tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma passi dall'uno all'altro senza eccezioni come per una libera decisione? Questo è l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica repubblica, quale conviene in uno stato libero.|''Esamerone'', VIII, 15, 51}}
Nella visione di Ambrogio inoltre potere e dell'autorità, intesi come servizio («Libertà è anche il servire», ''Lettera 7''), dovevano essere sottomessi alle leggi di [[Dio]]. Prendendo ispirazione dal racconto della [[Corona Ferrea|corona imperiale]] e del morso di cavallo realizzati, secondo la tradizione, da [[Costantino]] con i chiodi della croce di Gesù, nel discorso funebre di Teodosio egli elogiò la sottomissione dell'imperatore a Cristo, dimostrata ''in primis'' dall'episodio di Tessalonica:
{{Citazione|Per quale motivo [ebbero] "una cosa santa sul morso" se non perché frenasse l'arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni che, come cavalli, nitrivano smaniosi di piaceri, perché potevano impunemente commettere adulteri? Quali turpitudini conosciamo dei Neroni e dei Caligola e di tutti gli altri che non ebbero "una cosa santa sul morso"!|''In morte di Teodosio'', 50}}
Di fronte al dispotismo e alla dissolutezza che avevano caratterizzato il comportamento di non pochi imperatori romani, Ambrogio vide nel cristianesimo una possibilità per "redimere" il potere imperiale e renderlo giusto e clemente. Nella sua idea, infatti, il [[cristianesimo]] avrebbe dovuto sostituire il [[paganesimo]] nella società romana senza per questo negare e distruggere le istituzione imperiali («Voi [pagani] chiedete pace per le vostre divinità agli imperatori, noi per gli stessi imperatori chiediamo pace a Cristo», ''Lettera 73 a Valentiniano II''), ma anzi dando ai valori romani la nuova linfa offerta dalla morale cristiana.
 
Ambrogio richiamò infine la società romana nella quale era sempre più accentuato il divario tra ricchi e poveri; alla sperequazione economica, Ambrogio contrapponeva infatti la morale del [[Vangelo]] e della tradizione biblica. Così egli scrive nel ''Naboth'':
{{Citazione|La [[terra]] è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo sul suolo? [...] Tu [ricco] non dai del tuo al povero [quando fai la carità], ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi.|''Naboth'', 1,2; 12, 53}}
 
=== Antigiudaismo ===
{{Vedi anche|Antisemitismo#Antigiudaismo teologico}}
Per Ambrogio era fondamentale la storia di [[Israele]] come popolo eletto: da qui la grande presenza dell'[[Antico Testamento]] nel rito ambrosiano, le numerosissime sue opere di commento agli episodi della storia ebraica, la conservazione della sacralità del [[sabato]], ecc. Tuttavia, come era comune nel cristianesimo dei primi secoli, forte era anche la volontà di mostrare l'originalità cristiana rispetto alla tradizione giudaica (che non aveva riconosciuto [[Gesù]] come Messia) e di affermare l'indipendenza e le prerogative della Chiesa nascente.
 
Ad esempio, nell<nowiki>'</nowiki>''Expositio Evangelii secundum Lucam'' (4, 61), commentando un passo del [[vangelo di Luca]] in cui un uomo invaso dallo spirito di un demonio impuro, grida: «Ah! Che c'è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? So chi tu sei: il Santo di Dio», Ambrogio critica aspramente l'incredulità della gente circostante:
{{Citazione|Chi è colui che aveva nella [[sinagoga]] spirito immondo di demonio, se non la folla dei giudei che, come stretta da spire serpentine e legata dai lacci del diavolo, simulata la purità del corpo, profanava con le immondezze della mente interiore? Ebbene: era nella sinagoga l'uomo che aveva lo spirito immondo; perché lo Spirito Santo lo aveva ammesso. Era entrato infatti il diavolo dal luogo da cui Cristo era uscito. Insieme, si mostra la natura del diavolo non come ostinata, ma come opera ingiusta. Infatti quello che attraverso una natura superiore professa il Signore, con le opere lo nega. E in questo appare la sua malvagità [del demonio] e l'ostinazione dei giudei, poiché così [il demonio] spandé tra la folla la cecità della mente furiosa; affinché la gente neghi, colui che i demoni professano. O eredità dei discepoli peggiore del maestro! Quello tenta il Signore con le parole, essi con l'agire: egli dice "Buttati!" (Luc. IV, 9), questi sono assaliti perché [lo] buttino.}}
 
==== L'episodio di ''Callinicum'' ====
Le cronache storiche riportano un episodio che può essere considerato rivelatore dell'atteggiamento di Ambrogio nei riguardi degli ebrei. Nel [[388]], a ''Callinicum'' (''Kallinikon'', sul fiume [[Eufrate]], in Asia, l'attuale [[al-Raqqa]]), una folla di cristiani diede l'assalto alla sinagoga e la bruciò. Il governatore romano condannò l'accaduto e, per mantenere l'ordine pubblico, dispose affinché la sinagoga venisse ricostruita a spese del vescovo. L'imperatore [[Teodosio I]] rese noto di condividere quanto deciso dal suo funzionario.<ref>Per un'ampia descrizione dell'episodio:
* Antonietta Mauro Todini, ''Aspetti della legislazione religiosa del IV secolo'', La Sapienza Editrice, Roma, 1990, pag. 3 e segg.;
* Thomas J. Craughwell, ''Santi per ogni occasione'', Gribaudi, 2003, pag.49;
* Lucio De Giovanni, ''Chiesa e stato nel Codice Teodosiano'', Tempi moderni, pag.120;
* Giovanni De Bonfils, ''Roma e gli ebrei'', Cacucci, 2002, pag. 186;
* {{en}} James Hastings, ''Encyclopedia of Religion and Ethics '', Kessinger Publishing, 2003, pag. 374</ref>
 
Ambrogio si oppose alla decisione dell'imperatore e gli scrisse una lettera (''Epistulae variae'' 40) per convincerlo a ritirare l'ingiunzione di ricostruire la sinagoga a spese del vescovo: {{Citazione|Il luogo che ospita l'incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? Il patrimonio acquistato dai cristiani con la protezione di Cristo sarà trasmesso ai templi degli increduli?... Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: - Tempio dell'empietà ricostruito col bottino dei cristiani -... Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi...}}
 
Citando dalla lettera di Ambrogio a Teodosio (''Epistulae variae'' 40,11):
{{Citazione|Ma ti muove la ragione della disciplina. Che cosa dunque è più importante, l'idea di disciplina [mantenimento dell'ordine pubblico] o il motivo della religione?}}
 
Nell'epistola Ambrogio si attribuì la responsabilità dell'incendio: {{Citazione|Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga, sì, sono stato io che ho dato l'incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato<ref>Walter Peruzzi, ''Il cattolicesimo reale'', Odradek, Roma, 2008</ref>}} Ambrogio affermò inoltre che quell'incendio non era affatto un delitto e che se lui non aveva ancora dato l'ordine di bruciare la sinagoga di Milano era solo per pigrizia e che bruciare le sinagoghe era altresì un atto glorioso.
 
Ambrogio non volle salire sull'altare finché l'imperatore non abolì il decreto imperiale riguardante la ricostruzione della sinagoga a spese del vescovo. Secondo la visione del vescovo, nella questione della religione l'unico foro competente da consultare doveva essere la Chiesa cattolica la quale, grazie ad Ambrogio, divenne la religione statale e dominante. In questa impresa lo scopo era quello di avvalorare l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, affermando anche la superiorità della Chiesa sullo Stato in quanto emanazione di una legge superiore alla quale tutti devono sottostare.
 
=== Mariologia ===
Sebbene non si possa parlare di una mariologia vera e propria (intesa come pensiero sistematico), sono numerosi nell'opera di Ambrogio i riferimenti a [[Maria (madre di Gesù)|Maria]]: spesso, quando si presenta l'occasione, egli si rifà alla sua figura e al suo esempio.
 
La sua venerazione per Maria nasce soprattutto dal ruolo attribuitole nella storia della salvezza. Maria è infatti madre di Cristo, e dunque modello per tutti i credenti che, come lei, sono chiamati a "generare" Cristo:
{{Citazione|Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto e perciò aveva conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio: se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo|Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 19. 24-26}}
Ambrogio difende strenuamente la verginità di Maria, soprattutto in relazione al mistero di Cristo: egli infatti, proprio perché nato da vergine, non ha contratto il peccato originale. Maria è anche la prima donna a cogliere i "frutti" della venuta di Cristo:
{{Citazione|Non c’è affatto da stupirsi che il Signore, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la sua opera proprio da Maria: se per mezzo di lei Dio preparava la salvezza a tutti gli uomini, ella doveva essere la prima a cogliere dal Figlio il frutto della salvezza|Esposizione del vangelo secondo Luca, II, 17}}
Maria è inoltre modello di virtù morali e cristiane, in primo luogo per le vergini («Nella vita di Maria risplende la bellezza della sua castità e della sua esemplare virtù») ma anche per tutti i fedeli; di lei vengono esaltate la sincerità (la verginità «di mente»), l'umiltà, la prudenza, la laboriosità, l'ascesi.<ref>Ambrogio, ''De virginibus'', 2, 6-18, citato in L. Gambero, ''[http://books.google.com/books?id=n_OOuqamJmAC Testi mariani del primo millennio]'', Città Nuova, 1990</ref>
 
== Milano e il rito ambrosiano ==
[[File:IMG 5838 - Milano - San Bernardino alle ossa - Androne - S. Ambrogio - Foto Giovanni Dall'Orto 21 febr 2007.jpg|thumb|left|Sant'Ambrogio con in mano il flagello contro i nemici di Milano, in un bassorilievo quattrocentesco]]
{{vedi anche|Rito ambrosiano}}