Canzone (metrica): differenze tra le versioni

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La '''canzone''', dal [[Lingua occitana antica|provenzale]] "[[canso]]", è un genere metrico formato da un numero variabile di [[strofa|strofe]] dette [[stanza (poesia)|stanze]], di solito 5, 6 o 7, più eventualmente una stanza più piccola, detta congedo/commiato, in cui il poeta si rivolge direttamente al lettore o al componimento stesso.
 
==Struttura metrica==
Della BEESTIAA
Ciascuna strofa di una canzone è divisa in due parti, una detta ''fronte'' divisa in piedi con un numero identico di versi e con uguale disposizione di versi (lo schema rimico, invece, può variare); l'altra, chiamata '' coda'' o ''[[sirma (metrica)|sirma]]'' (termine derivante dal greco σύρμα, ''strascico,'' talvolta anche ''sìrima''), può rimanere indivisa oppure può dividersi in due parti chiamate ''volte'', cioè periodi metrici strutturalmente identici come nel caso dei piedi. Fronte e sirma sono di solito uniti da un verso chiamato chiave o ''concatenatio'' (dal latino "collegamento") .<ref> Non così – ad esempio – la canzone di Cavalcanti ''Io non pensava che lo cor giammai'', articolata come segue: FRONTE: ABBC (primo piede), BAAC (secondo piede); CHIAVE: assente; SIRMA (Divisa): DeD (prima volta), FeF (seconda volta).</ref> Alla fine della canzone, può trovarsi un ''congedo'' che consiste in una strofa più breve con una struttura metrica ripresa dalla sirma, o da parte di essa, e che ha lo scopo di specificare il significato o fine della canzone.
 
Generalmente i [[verso|versi]] che compongono la canzone sono [[endecasillabo|endecasillabi]] misti a [[settenario|settenari]] e le [[rima|rime]] di regola sono disposte in modo che la chiave (il primo verso della sirma, chiamato anche ''diesi''), faccia rima con l'ultimo verso della fronte.
 
La ''chansòn'' viene considerata dai provenzali il genere lirico per eccellenza, infatti i [[trovatore|trovatori]] provenzali, che erano abituati a comporre insieme le parole e la musica, consideravano inscindibile l'unità di ''vers'' e ''son'', cioè di parola e di melodia, essendo abituati ad imparare in modo rigoroso sia a comporre in versi sia a comporre in [[musica]].
 
Già a partire dalla [[Scuola siciliana]] e in seguito nel [[Stilnovismo|Dolce Stil Novo]], che si rifà alla tradizione provenzale, nel sistema dei generi romanzi la canzone è il metro per eccellenza e lo stesso [[Dante Alighieri]], nel ''De vulgari eloquentia'', colloca fra i generi metrici la canzone al primo posto.
 
Le forme di canzone che costituiscono senza dubbio un modello duraturo nella tradizione italiana sono quelle di [[Dante Alighieri|Dante]] e soprattutto di [[Francesco Petrarca|Petrarca]], ma oltre alle canzoni petrarchesche, nell'evoluzione della canzone che va dal [[XIII secolo|Duecento]] al [[XIV secolo|Trecento]], esistono altre due varietà di canzone: la canzone pindarica e la canzone libera o leopardiana.
 
La [[canzone pindarica]] o [[ode]] [[Pindaro|pindarica]] ha le sue origini nel [[XVI secolo|Cinquecento]] ed è costituita di strofe, antistrofe ed epodo come dal modello greco, dove le strofe e le antistrofe sono collegate da rime uguali e hanno lo stesso numero di versi con prevalenza, di solito, dei settenari sugli endecasillabi, mentre l'epodo, che ha rime diverse è, in genere, più breve.
 
La canzone libera o [[canzone leopardiana|leopardiana]] risale ad [[Alessandro Guidi]] che compone canzoni con strofe indivise e schema molto variabile sia per il numero dei versi, sia per la struttura della strofa, conosciute con il nome di "canzoni a selva" (endecasillabi e settenari).
 
Da questa base parte [[Giacomo Leopardi]] che, più di ogni altro, esprime questa libertà di composizione pur non dimenticando le forme della canzone petrarchesca.
 
==Note==