Grande incendio di Roma: differenze tra le versioni

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Il '''grande incendio di Roma''' scoppiò nell'antica città di [[Roma antica|città di Roma]] nel [[64]], al tempo dell'[[imperatore romano]] [[Nerone]].<ref name="TacitoXV41,2"/><ref name="TacitoXV38,2"/>
 
==Storia==
L'incendio scoppiò la notte tra il 18 e il 19 luglio del [[64]] (''ante diem XV Kalendas Augustas, anno DCCCXVII a.U.c.''<ref name="TacitoXV41,2">{{cita|Tacito|Annali, XV, 41.2}}.</ref>) nella zona del [[Circo Massimo]] e infuriò per nove giorni complessivamente secondo [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] (sei secondo Svetonio<ref name="SvetonioNero38,2"/>), propagandosi in quasi tutta la città.<ref name="TacitoXV38,2">{{cita|Tacito|Annali, XV, 38.2-40.2}}.</ref> [Eugen Cizek|Cizek] sostiene che il primo incendio durò per sei giorni e poi continuò per altri tre nel solo [[Campo Marzio]]. Il 27 luglio tutto era terminato.<ref name="Cizek276">{{cita|Cizek 1986|p. 276}}; {{CIL|6|826}}.</ref>
{{Citazione|Iniziò in quella parte del [[Circo Massimo|Circo]] che confina lungo il [[Palatino]] e il [[Celio]], dove il fuoco, scoppiato nelle botteghe che contenevano prodotti altamente infiammabili, divampò subito violento, alimentato dal vento, e avvolse il [[Circo Massimo|Circo]]circo in tutta la sua lunghezza, visto che non esistevano palazzi con recinti o templi cinti con mura o qualcosa che potesse fermare le fiamme.|{{cita|Tacito|Annali, XV, 38.2}}.}}
 
Delle [[14 regioni di Roma|quattordici regioni]] (quartieri) che componevano la città, tre (la [[Regio III Isis et Serapis|III, Iside e Serapis]], attuale colle Oppio, la [[Regio XI Circus Maximus|XI, Circo Massimo]], e la [[Regio X Palatium|X, Palatino]]) furono totalmente distrutte, mentre in altre sette rimanevano solo pochi ruderi rovinati dal fuoco.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 40.2}}; {{cita|Segala & Sciortino 2005|p. 5}}.</ref><ref name="Cizek277">{{cita|Cizek 1986|p. 277}}.</ref> Erano salve solo le ''regiones'': ''[[Regio I Porta Capena|I Capena]], [[Regio V Esquiliae|V Esquiliae]], [[Regio VI Alta Semita|VI Alta Semita]] e [[Regio XIV Transtiberim|XIV Transtiberim]]''.<ref name="Vandenberg186"/> I morti furono migliaia e circa duecentomila i senzatetto. Numerosi edifici pubblici e monumenti andarono distrutti, insieme a circa 4.000 ''[[insula|insulae]]e'' e 132 ''[[domus]]''.
 
Gli scavi condotti nelle aree maggiormente interessate dall'evento hanno spesso incontrato strati di cenere e materiali combusti, quali evidenti tracce dell'incendio. In particolare sono stati rinvenuti, in alcuni casi, frammenti di arredi metallici parzialmente fusi, a riprova della violenza delle fiamme e delle elevatissime temperature raggiunte.
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[[File:Quo Vadis poster.jpg|thumb|upright=1.0|left|Locandina del film del [[1913]], ''[[Quo vadis? (film 1913)|Quo Vadis]]'' dove si vede [[Nerone]] intento a decantare l'incendio di Roma, quasi fosse l'[[Guerra di Troia|incendio di Troia]].]]
 
{{Citazione|Questi provvedimenti per quanto di carattere popolare cadevano nel vuoto, poiché si era diffusa la voce che proprio nel momento in cui Roma bruciava egli fosse salito sul palcoscenico del suo palazzo e avesse cantato la [[Guerra di Troia|distruzione di Troia]], paragonando il disastro presente alle antiche sventure.|{{cita|Tacito|''[[Annales (Tacito)|Annales]]'' XV, 39.3}}.|''Quae quamquam popularia in inritum cadebant, quia pervaserat rumor ipso tempore flagrantis urbis inisse eum domesticam scaenam et cecinisse Troianum excidium, praesentia mala vetustis cladibus adsimulantem''|lingua=la
}}
L'incendio, iniziato presso il [[Circo Massimo]], sarebbe stato alimentato dal vento e dalle merci delle botteghe, estendendosi rapidamente all'intero edificio.<ref name="TacitoXV38,2"/> Sarebbe quindi risalito sulle alture circostanti, diffondendosi con grande rapidità senza trovare impedimenti. I soccorsi sarebbero stati ostacolati dal gran numero di abitanti in fuga e dalle vie strette e tortuose.<ref name="Vandenberg183"/><ref>{{cita|Tacito|''Annali'', XV, 38.3-6}}.</ref>
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[[Nerone]], che si trovava ad [[Antium|Anzio]], sarebbe tornato in città quando le fiamme ormai lambivano la sua residenza che egli aveva costruito per congiungere il palazzo (sul Palatino) e gli ''[[Horti Maecenatis]]'' (''Domus Transitoria'') e non sarebbe riuscito a salvarla.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 39.1}}.</ref> Si sarebbe occupato di soccorrere i senza tetto, aprendo i monumenti (il [[Pantheon (Roma)|Pantheon]], le [[Terme di Agrippa|terme]], il ''[[Porticus Vipsania]]'' e i ''[[Saepta Iulia]]''<ref name="Vandenberg190">{{cita|Vandenberg 1984|pag. 190}}.</ref>) ed i giardini di [[Marco Vipsanio Agrippa|Agrippa]] sul [[Campo Marzio]], allestendovi dei baraccamenti e facendo arrivare i viveri dai dintorni. Il prezzo del grano sarebbe stato inoltre abbassato a tre [[Sesterzio|sesterzi]] il [[moggio (unità di misura)|moggio]].<ref name="TacitoXV39,2">{{cita|Tacito|''Annali'', XV, 39.2}}.</ref>
 
Tali provvedimenti, emessi secondo [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]], per ottenere il favore popolare, non avrebbero tuttavia ottenuto lo scopo, a causa della diffusione di una voce, secondo la quale l'imperatore si era messo a cantare della [[Guerra di Troia|caduta di Troia]], davanti all'infuriare dell'incendio visibile dal suo palazzo.<ref name="TacitoXV39,2"/>
 
====Il secondo incendio e i danni====
Al sesto giorno l'incendio si sarebbe arrestato alle pendici dell'[[Esquilino]], dove erano stati abbattuti molti edifici per fare il vuoto davanti all'avanzata delle fiamme. Tuttavia scoppiarono altri incendi in luoghi aperti e le fiamme fecero questa volta meno vittime, ma distrussero un maggior numero di edifici pubblici.<ref name="TacitoXV40,1">{{cita|Tacito|Annali, XV, 40.1}}.</ref> Questo secondo incendio sarebbe divampato a partire da alcuni giardini di proprietà di [[Tigellino]], [[prefetto del pretorio]] e amico dell'imperatore: questa origine avrebbe, secondo [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]], fatto nascere altre voci, sul desiderio dell'imperatore di fondare una nuova città e darle il suo nome:<ref name="TacitoXV40,2">{{cita|Tacito|Annali, XV, 40.2}}.</ref>
{{Citazione|plusque infamiae id incendium habuit, quia praediis Tigellini Aemilianis proruperat videbaturque Nero condendae urbis novae et cognomento suo appellandae gloriam quaerere.|{{cita|Tacito|Annali, XV, 40.2}}.}}
 
[[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] passa quindi a descrivere i danni: dei [[14 regioni di Roma augustea|quattordici quartieri]] di Roma solo quattro erano rimasti intatti, mentre tre erano stati completamente rasi al suolo e altri sette conservavano solo pochi ruderi degli edifici.<ref name="TacitoXV40,2"/> Elenca quindi alcuni antichi templi (tra cui [[tempio della Luna (Roma)|quello della Luna]], fatto erigere da [[Servio Tullio]]; quello di [[tempio di Giove Statore (VIII secolo a.C.)|Giove Statore]] dell'epoca di [[Romolo]]) e santuari andati perduti (come l'[[ara massima di Ercole invitto]] e un [[casa delle Vestali|santuario di Vesta]] con i [[penati]] del popolo romano), oltre alla [[Regia (Roma)|''Regia'']] di [[Numa Pompilio]], e cita le opere di arte greca e i testi antichi scomparsi.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 41.1}}.</ref> Come scrive Dimitri Landeschi nel suo "[[Nerone]], il grande incendio di Roma e la congiura di Pisone", "il numero complessivo dei morti dovette essere di molte decine di migliaia, e certamente ancora più elevato sarà stato il numero dei feriti e degli invalidi; del resto la capitale di [[Nerone]] contava non meno di un milione di abitanti, forse due, e solo un terzo della città sfuggì alle devastazioni dell'incendio. Il grande incendio di Roma trasformò la città in un agglomerato informe di rovine e di cadaveri disseminati qua e là. Da quel momento Roma, per quanto rapidi fossero stati i lavori di ricostruzione non fu la stessa di prima, e non lo sarebbe stata per molti anni ancora."
 
==== La ricostruzione ====
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[[File:Domus Aurea pianta generale.png|thumb|upright=1.8|Pianta generale della ''Domus Aurea'' (al centro in verde), posta tra il [[Palatino]] (a sud-ovest) e gli ''[[Horti Maecenatis]]'' (nord-est), che sorse sulle ceneri del grande incendio del 64.]]
 
La ricostruzione della città viene descritta a partire dalla ''[[Domus aurea]]'', la nuova residenza che l'imperatore si sarebbe fatto edificare approfittando del disastro.<ref name="TacitoXV42,1">{{cita|Tacito|Annali, XV, 42.1}}.</ref> La riedificazione sarebbe avvenuta quindi nel resto della città secondo ampie vie diritte e isolati di limitata altezza, con vasti cortili interni e portici davanti alle facciate, che [[Nerone]] avrebbe promesso di pagare a sue spese.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 43.1-2}}.</ref>
 
Tacito cita inoltre una serie di regole stabilite da [[Nerone]]: che gli edifici non potessero avere muri in comune e che alcune parti fossero costruite in [[Pietra sperone|pietra gabina]] o albana, considerate refrattarie al fuoco.<ref name="TacitoXV43,3"/> I proprietari avrebbero inoltre dovuto curare che fosse sempre pronto il necessario per spegnere gli incendi. Per assicurare un maggiore diffusione dell'acqua portata dagli [[Acquedotti di Roma antica|acquedotti]], sarebbero inoltre stati repressi gli usi abusivi da parte dei privati.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 43.4}}.</ref>
 
L'imperatore si sarebbe inoltre occupato di far sgombrare le macerie, facendole portare nelle paludi di [[Ostia (città antica)|Ostia]] nei viaggi di ritorno delle navi che risalivano il Tevere verso Roma con il grano.<ref name="TacitoXV43,3">{{cita|Tacito|Annali, XV, 43.3}}.</ref> La riedificazione degli edifici sarebbe infine stata incentivata da premi in denaro, che potevano essere riscossi entro un anno, una volta completata la casa.<ref>{{cita|Tacito|Annali, XV, 43.2}}.</ref>
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{{Citazione|Seguì un disastro, non si sa se dovuto al caso o alla perfidia del principe, in quanto le fonti tramandano entrambe le versioni, ma certamente più grave e più spaventoso di ogni altro che si sia mai abbattuto su Roma per la violenza del fuoco.|{{cita|Tacito|Annali, XV, 38.1}}.}}
 
[[Nerone]] per evitare di essere sospettato, avrebbe dunque accusato come colpevoli i seguaci del [[Cristianesimo]], che Tacito descrive come «una setta invisa a tutti per le loro nefandezze».<ref name="TacitoXV44,2"/> Secondo lo storico, prima sarebbero stati arrestati quanti confessavano e quindi, su denuncia di questi, ne sarebbero stati condannati moltissimi, ma, ritiene Tacito, non tanto a causa del crimine dell'incendio, quanto per il loro "odio del genere umano":
{{Citazione|igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis convicti sunt.|{{cita|Tacito|Annali, XV, 44.4}}.}}
Quelli che andavano a morire erano esposti anche alle beffe. Alcuni erano coperti dalle pelli di animali e morivano dilaniati dai cani, altri erano crocifissi, altri ancora erano invece arsi vivi come se fossero torce per illuminare le tenebre, al calare del sole.<ref name="TacitoXV44,4">{{cita|Tacito|Annali, XV, 44.4}}.</ref>
 
Descrive quindi i supplizi a cui i cristiani sarebbero stati sottoposti per opera di [[Nerone]], che nonostante la loro colpevolezza, secondo lo storico, causavano pietà, in quanto puniti non per il bene pubblico ma per la crudeltà di uno solo:
{{Citazione|unde quamquam adversus sontes..., tamquam non utilitate publica, sed in saevitiam unius absumerentur.|{{cita|Tacito|Annali, XV, 44.5}}.}}
 
===Svetonio===
Lo storico [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] nella sua opera sui primi imperatori (''De vita Caesarum'', anche conosciuta con il titolo italiano di "[[Vite dei Cesari|Vite dei dodici Cesari]]"), nella vita dedicata a [[Nerone]], ci offre un breve resoconto dell'incendio, fortemente ostile verso questo imperatore: lo accusa direttamente di aver incendiato la città, in quanto disgustato dalla bruttezza degli antichi edifici e dalle vie strette:
{{Citazione|nam quasi offensus deformitate veterum aedificiorum et angustiis flexurisque vicorum, incendit urbem.|{{cita|Svetonio|''Nerone'', 38.1}}.}}
 
Svetonio riporta quindi una serie di avvenimenti, in genere citati anche da Tacito, dandone tuttavia un'interpretazione fortemente ostile a [[Nerone]]:
*gli incendiari, visti all'opera secondo Svetonio da alcuni senatori nelle loro stesse proprietà, sono direttamente identificati con i suoi servi ("''cubicularios''");<ref name="SvetonioNero38,1">{{cita|Svetonio|''Nerone'', 38.1}}.</ref>
*gli edifici abbattuti in corrispondenza di dove poi sorgerà la "''Domus aurea''", descritti come magazzini (''horrea'') con i muri in pietra, tanto da richiedere l'intervento delle macchine da guerra, potrebbero far parte delle operazioni descritte da Tacito e volte ad arrestare il fronte dell'incendio con la creazione di un'area vuota, mentre per Svetonio il motivo va ricercato nel desiderio dell'imperatore di ottenere lo spazio per il suo nuovo palazzo;<ref name="SvetonioNero38,1"/>
*la scena di [[Nerone]] che canta della caduta di Troia viene riportata non come una voce popolare, ma come certamente avvenuta, aggiungendo i particolari del suo svolgersi sulla cosiddetta "torre di Mecenate" e che l'imperatore avrebbe indossato i propri abiti di scena;<ref name="SvetonioNero38,2">{{cita|Svetonio|''Nerone'', 38.2}}.</ref>
*l'imperatore si curò dell'eliminazione delle macerie e dei cadaveri, secondo Svetonio, esclusivamente per poter saccheggiare tutto ciò che rimaneva tra le rovine;<ref name="SvetonioNero38,3">{{cita|Svetonio|''Nerone'', 38.3}}.</ref>
*infine si aggiunge il particolare che le province e i privati offrirono contributi in denaro per la ricostruzione: secondo Svetonio quelli che l'imperatore avrebbe sollecitato rischiarono di mandare in rovina le [[provincia romana|province]].<ref name="SvetonioNero38,3"/>
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[[File:Nero 1.JPG|thumb|upright=1.0|Busto di [[Nerone]] ([[Musei capitolini|Musei Capitolini]], [[Roma]]), che alcuni storici antichi additarono come il vero responsabile dell'incendio, per potersi appropriare dei terreni devastati e costruirvi la ''[[Domus Aurea]]''.]]
 
Nella monumentale ''Storia di Roma'' scritta da [[Cassio Dione]] agli inizi del [[III secolo]], i libri che trattano del regno di [[Nerone]] ci sono giunti soltanto in una [[epitome]] (riassunto), compilata dal monaco bizantino Giovanni Xiphilinus nell'[[XI secolo]]. Anche in questo caso la responsabilità dell'incendio è attribuita direttamente a [[Nerone]].<ref name="DioneLXII16,1">{{cita|Cassio Dione|LXII, 16.1}}.</ref>
 
Il resoconto dell'incendio inizia riferendo come da lungo tempo [[Nerone]] accarezzasse l'idea di veder perire una città tra le fiamme durante la sua vita, come [[Priamo|Priamo di Troia]].<ref name="DioneLXII16,1"/> Viene descritto quindi il modo in cui i suoi uomini avrebbero appiccato incendi in diverse parti della città, fingendo risse tra ubriachi o generando numerosi disordini e rendendo impossibile capire quanto stava accadendo. Si ebbe pertanto una grande confusione, che accrebbe il numero delle vittime.<ref>{{cita|Cassio Dione|LXII, 16.2-7}}.</ref>
 
L'incendio durò diversi giorni e secondo Dione, molte case sarebbero state distrutte da uomini che manifestavano la volontà di salvarle e altre furono incendiate da quegli stessi che erano venuti ad offrire assistenza come i ''[[vigiles]]''; gli stessi soldati avrebbero mirato più a propagare l'incendio che a spegnerlo.<ref name="DioneLXII17,1">{{cita|Cassio Dione|LXII, 17.1}}.</ref> Le fiamme venivano alimentate e diffuse anche dal vento.<ref name="DioneLXII17,2">{{cita|Cassio Dione|LXII, 17.2}}.</ref>
 
Dione racconta che intanto l'imperatore sarebbe salito sul tetto del suo palazzo e avrebbe cantato accompagnandosi con la lira un brano sulla [[guerra di Troia|"Presa di Troia"]].<ref>{{cita|Cassio Dione|LXII, 18.1}}.</ref> Erano bruciati tutto il [[Palatino]] e due terzi della città.<ref>{{cita|Cassio Dione|LXII, 18.2}}.</ref> I sopravvissuti si lamentavano, maledicevano gli autori dell'incendio, riferendosi più o meno nascostamente a [[Nerone]], e giravano antiche profezie legate alla fine della città.<ref>{{cita|Cassio Dione|LXII, 18.3-4}}.</ref>
 
Infine si citano le contribuzioni, volontarie o sollecitate, per la ricostruzione, da parte di comunità o di privati cittadini, che Nerone stesso raccolse. Secondo Dione Cassio i Romani stessi vennero privati della [[Fornitura di grano per la città di Roma|distribuzione gratuita di frumento]].<ref>{{cita|Cassio Dione|LXII, 18.5}}.</ref>
 
===Altre fonti===
*[[Gaio Plinio Secondo|Plinio il Vecchio]], descrivendo l'età di alcuni alberi, disse che durarono fino al tempo dell'incendio dell'imperatore [[Nerone]] (''ad Neronis principis incendia''), sembrando attribuire anch'egli la colpa a quest'ultimo.<ref>{{cita|Plinio il Vecchio|''Naturalis historia'', XVII, 1-5}}.</ref>
*Un'iscrizione di Roma cita per l'incendio una durata di nove giorni complessivi.<ref>{{CIL|6|826}}.</ref>
* Dell'incendio parla anche [[Eutropio]], che riprende probabilmente come fonti Tacito e Svetonio e attribuisce la colpa all'imperatore per il suo desiderio di vedere uno spettacolo come quello dell'incendio di Troia:
{{Citazione|Urbem Romam incendit, ut spectaculi eius imaginem cerneret, quali olim Troia capta arserat.|{{cita|Eutorpio|''[[Breviarium ab Urbe condita]]'', VII, 9-14}}.}}
*Anche [[Paolo Orosio]] e [[San Girolamo]] accusarono [[Nerone]] di aver appiccato il fuoco.<ref>{{cita|Orosio|VII, 7}}; {{cita|San Girolamo|''Chronicon'', 183}}.</ref>
 
==Controverse interpretazioni della moderna storiografia==
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[[File:Jan Styka - Nero at Baiae.jpg|thumb|left|upright=1.4|L'imperatore Nerone a [[Baia (Bacoli)|Baia]], dove sembra abbia progettato la costruzione della ''[[Domus Aurea]]'' sull'esempio di alcune ville romane di quel tratto di costa (olio su tela di Jan Styka).<ref name="SegalaSciortino13">{{cita|Segala & Sciortino 2005|p. 13}}.</ref>]]
 
La colpa dell'incendio venne inoltre considerata quasi unanimemente di [[Nerone]], la cui figura ci è stata tramandata dagli storici suoi contemporanei come quella di un odioso tiranno, attribuendogli motivazioni quali il desiderio di trarre ispirazione per il suo canto dalla distruzione di una città, ovvero la necessità di trovare spazio per l'erezione della [[Domus Aurea]], o ancora l'aspirazione a tramandare il suo nome per aver compiuto un radicale rinnovamento urbanistico della città.<ref>{{cita|Vandenberg 1984|pp. 191-193}}.</ref>
 
Gli atti di [[Nerone]] furono quindi interpretati nella maniera più negativa: l'abbattimento degli edifici sulle pendici dell'Esquilino che fu probabilmente determinato dalla necessità di arrestare l'incendio evitando che continuasse ad alimentarsi, sembra essere stato interpretato come desiderio di seminare ulteriori distruzioni, come in seguito il provvedimento di sgombrare le macerie e i cadaveri a proprie spese fu attribuito al suo desiderio di impadronirsi dei beni lasciati nelle case. I personaggi visti ad appiccare altri focolai di incendio e considerati la più certa prova di colpevolezza dell'imperatore, come riconosce lo stesso Tacito, avrebbero potuto nascondere dietro l'affermazione di ubbidire ad ordini dall'alto la propria attività di saccheggiatori. Altri sostenevano che l'imperatore avesse fatto appiccare l'incendio a fini unicamente speculativi, per distruggere una porzione cittadina limitata e quindi poter avere mano libera sulla ricostruzione, e che la situazione fosse sfuggita di mano per pura casualità causando il disastro.
 
In realtà il racconto dello stesso Tacito riferisce al contrario di una serie di efficaci provvedimenti adottati dall'imperatore nella lotta contro il disastro e la tendenza attuale degli studi vede in molti campi una rivalutazione della figura di [[Nerone]].
 
====Responsabilità dei cristiani====
In alternativa alla versione tradizionale, lo storico [[Gerhard Baudy]], riprendendo una tesi elaborate in precedenza da [[Carlo Pascal]] e [[Léon Herrmann]], ha esposto l'ipotesi secondo la quale furono effettivamente i cristiani ad appiccare volontariamente fuoco a Roma, allo scopo di dare seguito ad una profezia apocalittica egiziana, secondo cui il sorgere di [[Sirio]], la stella del [[Canis Major]], avrebbe indicato la caduta della ''grande malvagia città''<ref>[[Carlo Pascal]], ''L'incendio di Roma e i primi Cristiani'', Torino, E. Loescher, 1900</ref>. Recentemente uno studioso italiano, Dimitri Landeschi, attraverso una accurata ricostruzione storica dei drammatici avvenimenti che si svolsero a Roma negli anni 64 e 65 d.C., ha avanzato l'ipotesi che ad incendiare Roma non fosse stato [[Nerone]] ma, con ogni probabilità, un pugno di fanatici appartenenti alla frangia più estremista della comunità cristiana di Roma, con la complicità morale di taluni ambienti dell'aristocrazia senatoria, in mezzo a cui si celavano i veri ispiratori di quella scellerata operazione. Landeschi, nel formulare la sua ipotesi, riprende e sviluppa tesi analoghe avanzate in passato da storici quali Carlo Pascal, Gerhard Baudy e Giuseppe Caiati.
 
===Accusa e condanna dei cristiani===
{{Vedi anche|Persecuzione dei cristiani nell'Impero romano#Persecuzione di Nerone}}
[[File:Siemiradzki Christian Dirce.jpg|thumb|upright=1.8|''[[Primi martiri della Chiesa romana|Una martire cristiana]]'', giace a terra sotto gli occhi di [[Nerone]] (olio su tela del pittore Henryk Siemiradzki, [[1897]], [[Varsavia]], National Museum).]]
 
[[Publio Cornelio Tacito|Tacito]], nell'ambito del lungo racconto dell'incendio precedentemente citato, attribuisce l'accusa rivolta ai cristiani di aver provocato l'incendio al desiderio di [[Nerone]] di stornare i sospetti dalla sua persona e la considera falsa, ma contemporaneamente fornisce di essi un'immagine fortemente negativa:<ref name="TacitoXV44,2"/>
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I Romani avevano inizialmente distinto con difficoltà i cristiani dalle altre sette [[Ebraismo|giudaiche]] e [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] riporta un provvedimento dell'imperatore [[Claudio (imperatore romano)|Claudio]] che cacciava i giudei da Roma a causa dei tumulti nati sulla spinta di "Chrestus".<ref>{{cita|Svetonio|''Claudio'', 25.4}}: {{citazione|impulsore Chresto tumultuantes|}}</ref>
 
Lo stesso [[Svetonio]] conferma anche che [[Nerone]] aveva mandato i cristiani al supplizio e li definisce "una nuova e malefica superstizione", senza tuttavia collegare questo provvedimento all'incendio.<ref>{{cita|Svetonio|''Nerone'', 16}} {{Citazione|afflicti suppliciis Christiani, genus hominum superstitionis nouae ac maleficae|}}</ref>
La questione riguarda il tema delle [[Persecuzione dei cristiani nell'impero romano|persecuzioni romane anticristiane]] e si inserisce nella complessa e molto dibattuta problematica [[Storiografia|storiografica]] della ricostruzione del [[Origini del cristianesimo|cristianesimo delle origini]] e dei suoi rapporti con lo [[Impero romano|stato romano]], che coinvolge la figura degli [[Apostolo|apostoli]] [[Pietro apostolo|Pietro]] e [[Paolo di Tarso|Paolo]], entrambi, secondo la tradizione, [[martirio (Cristianesimo)|martirizzati]] proprio in questa occasione.<ref>Tertulliano, ''Scorpiace'', 15, 2-5; Lattanzio, ''De mortibus persecutorum'', 2, 4-6; Orosio, ''Historiarum'', VII, 7-10; Sulpicio Severo, ''Chronicorum'', 3, 29.</ref> In particolare, secondo alcune fonti<ref>[[Origene]] è citato nella ''Storia Ecclesiastica'' di [[Eusebio di Cesarea]] al libro III, I, 1-3, e specifica che fu crocifisso a testa in giù</ref>, Pietro fu crocifisso, mentre Paolo decapitato, benché l'effettiva presenza di entrambi a Roma e il loro martirio siano dibattuti da alcuni storici<ref>Pieter Willem van der Horst, review of Otto Zwierlein, ''Petrus in Rom: die literarischen Zeugnisse. Mit einer kritischen Edition der Martyrien des Petrus und Paulus auf neuer handschriftlicher Grundlage'', Berlin: Walter de Gruyter, 2009, in ''Bryn Mawr Classical Review'' [http://bmcr.brynmawr.edu/2010/2010-03-25.html 2010.03.25]. Un'altra recensione del testo è: James Dunn, review of Zwierlein 2009, in ''Review of Biblical Literature'' [http://www.bookreviews.org/bookdetail.asp?TitleId=7189 2010]</ref>.
 
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**{{en}} [https://en.wikisource.org/wiki/Moral_letters_to_Lucilius Moral letters to Lucilius] — traduzione in inglese.
* {{Cita libro|autore=[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]]|titolo=De Vita Caesarum|pagine=libri V-VI|url=http://la.wikisource.org/wiki/De_vita_Caesarum_libri_VIII|cid=Svetonio|lingua=latino}} {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}
** {{it}} [http://www.progettovidio.it/svetonioopere.asp De vita Caesarum] — traduzione in italiano di Progettovidio;
** {{en}} [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Suetonius/12Caesars/home.html De vita Caesarum] — testo latino, traduzione in inglese su [[LacusCurtius]].
* {{Cita libro|autore=[[Publio Cornelio Tacito|Tacito]]|titolo=Annales|pagine=libro XV|url=https://la.wikisource.org/wiki/Ab_excessu_divi_Augusti_(Annales)|cid=Tacito|lingua=latino}} {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}
** {{it}} [http://www.progettovidio.it/tacitoopere.asp Annales] — traduzione in italiano di Progettovidio;
** {{en}} [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Tacitus/home.html Annales] — traduzione in inglese di Chicago University.
 
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==Collegamenti esterni==
*{{en}}[http://www.pbs.org/wnet/secrets/case_rome/ ''Secrets of the dead'']: serie della PBS che investiga gli indizi secondo cui [[Nerone]] eluse il Senato bruciando Roma
*{{cita web|http://www.eyewitnesstohistory.com/rome.htm|Tacito descrive il grande incendio|lingua=en}}
*{{cita web|http://www.phrases.org.uk/bulletin_board/1/messages/2950.html|''Fiddling While Rome Burns'', Post online del 13 dicembre 1999|lingua=en}}