Storia del fascismo italiano: differenze tra le versioni

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=== La repressione e i rapporti con ''cosa nostra'' ===
{{Vedi anche|Cosa nostra durante il fascismo}}
Durante il fascismo la lotta alla mafia venne affidata a [[Cesare Mori]], ricordato come il ''prefetto di ferro'', inviato nell'isola nel maggio del 1924 dove condusse una dura repressione delle attività criminose di [[cosa nostra]] in [[Sicilia]]. In questo periodo venne arrestato il boss [[Vito Cascio Ferro]]. Dopo alcuni arresti eclatanti di capimafia, anche i vertici di Cosa nostra non si sentivano più al sicuro e scelsero due vie per salvarsi: una parte emigrò negli USA, andando ad ingrossare le file di [[Cosa nostra statunitense]], mentre un'altra restò in disparte. Il "prefetto di ferro" coinvolse anche personalità di spicco del [[Partito Nazionale Fascista|PNF]] come [[Alfredo Cucco]], che fu espulso dal partito.
Il [[governo Mussolini]] condusse anche una dura repressione delle attività criminose di [[cosa nostra]] in [[Sicilia]], soprattutto con l'invio del prefetto [[Cesare Mori]] nell'isola nel maggio del 1924. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, questi risultati furono condizionati dalle relazioni che vi furono fra mafiosi ed esponenti politici locali che aderirono al fascismo, che avrebbe strumentalizzato la repressione al fine di ottenere maggior consenso; nonostante ciò le vicende sono ancora oggi oggetto di dibattito e studio nell'ambito della [[storiografia]] italiana.
 
Il [[governo Mussolini]] condusse anche una dura repressione delle attività criminose di [[cosa nostra]] in [[Sicilia]], soprattutto con l'invio del prefetto [[Cesare Mori]] nell'isola nel maggio del 1924. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, questi risultati furono condizionati dalle relazioni che vi furono fra mafiosi ed esponenti politici locali che aderirono al fascismo, che avrebbe strumentalizzato la repressione al fine di ottenere maggior consenso; nonostante ciò le vicende sono ancora oggi oggetto di dibattito e studio nell'ambito della [[storiografia]] italiana.
 
Nel [[1928]] Mori fu nominato senatore e nel [[1929]] collocato a riposo. I limiti della sua azione fu lui stesso a riconoscerli in tempi successivi: l'accusa di mafia veniva spesso avanzata per compiere vendette o colpire individui che nulla c'entravano con la mafia stessa, come fu con Cucco e con il [[Antonino Di Giorgio|generale Antonino Di Giorgio]]. Alcuni mafiosi erano membri del PNF, a conoscenza e con il favore di Benito Mussolini. Il principe Lanza di Scalea fu uno dei candidati nelle liste del PNF per le amministrative di Palermo mentre a Gangi il barone Antonio Li Destri,<ref name="Ciconte"/> pure candidato del PNF, era protettore di banditi e delinquenti. Il carabiniere Francesco Cardenti così riferisce: ''"Il barone Li Destri al tempo della maffia era appoggiato forte ai briganti che adesso si trovano carcerati a Portolongone (Elba) se qualcuno passava dalla sua proprietà che è gelosissimo diceva: Non passare più dal mio terreno altrimenti ti faccio levare dalla circolazione, adesso che i tempi sono cambiati e che è amico della autorità [...] Non passare più dal mio terreno altrimenti ti mando al confino''"<ref name="LupoP217">{{cita libro |autore=Salvatore Lupo |titolo=Storia della mafia: dalle origini ai giorni nostri |p=217 |ISBN=88-7989-903-1}}</ref>. Altri mafiosi iscritti al PNF erano Sgadari e Mocciano.<ref name="LupoP217"/>
 
I mezzi usati dalla Polizia nelle numerose azioni condotte per sgominare il fenomeno mafioso portarono ad un aumento della sfiducia della popolazione nei confronti dello Stato. Mori fu comunque il primo investigatore italiano a dimostrare che la mafia può essere sconfitta con una lotta senza quartiere, come sosterrà successivamente anche [[Giovanni Falcone]]. La mafia dà segni di vita già prima dello sbarco alleato del luglio 1943. Nel 1932, nel centro di [[Canicattì]], vengono consumati tre omicidi «le cui modalità di esecuzione ed il mistero profondo in cui rimangono tuttora avvolti» rimandano a «delitti tipici di organizzazioni mafiose»; intorno a [[Partinico]], alla metà degli anni trenta, si verificarono «incendi, danneggiamenti, omicidi [...] a sfondo eminentemente associativo»; ma si potrebbero citare molti altri episodi dei quali la stampa non parla, cui il regime risponde con «qualche condanna alla fucilazione e con una nuova ondata di invii al confino».<ref name="LupoP217"/> Alcuni mafiosi erano membri del PNF, a conoscenza e con il favore di Benito Mussolini.
 
=== La repressione e i rapporti con la camorra ===