Maggioriano: differenze tra le versioni
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* ''Novella Maioriani'' 12, ''De aurigis et seditiosis'', di cui rimane solo il titolo
La legislazione di Maggioriano andò quindi a toccare una serie di argomenti estremamente rilevanti, di ordine sociale ed economico: l'Augusto si occupò di regolare le tasse e i relativi procedimenti di esazione (''Novella Maioriani'' 2 e 5), il ruolo dei curiali e gli abusi dei funzionari (''Novella Maioriani'' 3, 5 e 7), sulle questioni ereditarie legate alla Chiesa (''Novella Maioriani'' 6 e 11). I provvedimenti di Maggioriano si rifacevano all'indirizzo legislativo
==== Politica fiscale e monetazione ====
[[File:Tremissis - Visigoti per Maggioriano - RIC X 3747-9.jpg|thumb|upright=1.4|left|[[Tremisse]] coniato da un sovrano [[visigoti|visigoto]] a nome di Maggioriano: la moneta fu coniata ad [[Arles|Arelate]] tra il 457 e il 507 dai Visigoti, ma recava l'effigie e il nome dell'imperatore romano, corrotto in <span style="font-variant:small-caps">iviivs haiorianvs</span>. Queste monete, coniate dai Visigoti a imitazione delle monete imperiali, contenevano meno oro degli originali; per questo motivo, probabilmente, Maggioriano decretò che gli esattori delle tasse dovessero accettare tutte le monete d'oro al loro valore nominale, tranne quelle ''galliche'', di valore inferiore
A differenza dei suoi predecessori, Maggioriano comprese che avrebbe potuto governare efficacemente solo con l'appoggio della aristocrazia senatoriale, cui intese restituire un ruolo di rilievo; contemporaneamente, l'imperatore volle anche contenerne gli abusi, in quanto molti senatori erano ormai abituati a coltivare il proprio potere locale a scapito del potere centrale, giungendo persino a non pagare le tasse e a non rimettere allo stato centrale quelle riscosse. Questo atteggiamento danneggiava tutto l'apparato statale, poiché il peso delle tasse ricadeva sui possidenti terrieri di rango inferiore, sui cittadini e sui funzionari locali, come i [[decurione|decurioni]], responsabili di rifondere tutte le tasse non esatte, portando a un fenomeno di abbandono della carica cui aveva già dovuto fare fronte l'imperatore [[Flavio Claudio Giuliano|Giuliano]] (361–363). Del resto, dato l'elevato credito fiscale pregresso, l'imperatore era cosciente del fatto che una politica di rigore nell'esazione delle tasse non avrebbe avuto successo senza un condono che cancellasse gli enormi debiti dell'aristocrazia con l'erario statale.<ref name="mathisen" />
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L'11 marzo [[458]] fu promulgata la ''Novella Maioriani'' 2, intitolata ''De indulgentiis reliquorum'' («Remissione dei debiti pregressi»), una legge con la quale l'imperatore rimise tutti i debiti fiscali maturati fino al 1º gennaio di quell'anno da parte dei proprietari terrieri; la stessa legge toglieva il diritto di esigere le tasse a tutti gli ufficiali pubblici, che avevano dimostrato di tenere per sé la maggior parte delle tasse raccolte, riconsegnandolo ai soli governatori. Anche la successiva ''Novella Maioriani'' 5, promulgata il 4 settembre e intitolata ''De bonis caducis sive proscriptorum'' («Le proprietà abbandonate e quelle appartenenti ai proscritti»), aveva lo scopo di riordinare il fisco imperiale, proibendo abusi nella raccolta: ordinava al ''[[comes privatae largitionis]]'' Ennodio di ammonire i giudici provinciali a non perpetrare frodi ai danni del fisco imperiale trattenendo per sé parte delle tasse esatte.<ref name="mathisen" />
L'8 maggio [[458]] fu promulgata la ''Novella Maioriani'' 3, ''De defensoribus civitatum'' («I difensori civici»), con la quale l'imperatore intendeva rinvigorire la figura del ''defensor civitatis'', nata per rappresentare gli interessi dei cittadini vessati dall'amministrazione pubblica, specie per quanto riguardava le questioni fiscali: la figura non era caduta in disuso, ma aveva perso di efficacia, in quanto tale carica era ricoperta proprio da coloro che vessavano la popolazione. Il 6 novembre dello stesso anno Maggioriano promulgò la ''Novella Maioriani'' 7, intitolata «I decurioni e la ricezione in eredità e l'alienazione delle proprietà e altre questioni», con la quale perdonava le passate infrazioni, ma impediva ai decurioni di abbandonare il proprio rango sposando schiave o donne imparentate con umili fattori e proibiva loro di alienare i propri terreni.<ref name="mathisen" />
Maggioriano coniò monete d'[[oro]], [[argento]] e [[bronzo]]. La monetazione aurea, coniata in grandi quantità, lo raffigura, con poche eccezioni, con un ritratto con elmo, lancia e scudo con [[Monogramma di Cristo|chi–rho]], girato verso destra; si tratta di una tipologia derivata da una rara emissione di [[Ravenna romana|Ravenna]] di [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] e utilizzata in quantità solo da Maggioriano, mentre fu abbandonata dai suoi successori. Le prime emissioni di [[solido (moneta)|solidi]] furono probabilmente prodotte a Ravenna
La monetazione argentea fu prodotta quasi esclusivamente dalle zecche galliche; si ritiene che sia possibile che queste monete non fossero prodotte affatto da Maggioriano, ma piuttosto fossero coniate da [[Egidio (generale romano)|Egidio]] dopo la morte del suo imperatore, per dimostrare il mancato riconoscimento del suo successore, [[Libio Severo]]. Maggioriano produsse grandi quantità di [[nummo|nummi]] di gran peso, principalmente nelle zecche di Milano e Ravenna, e alcuni [[contorniato|contorniati]], principalmente a Roma ma probabilmente anche a Ravenna.<ref name="mathisen" /><ref name=vagi />
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==== Rapporti con l'aristocrazia senatoriale ====
[[File:Tremissis Avitus-RIC 2402.jpg|thumb|upright=1.4|[[Avito|Eparchio Avito]], predecessore di Maggioriano sul trono imperiale, si alienò il sostegno dell'aristocrazia senatoriale romana appuntando esponenti dell'aristocrazia gallo-romana di cui faceva parte ai principali posti dell'amministrazione imperiale; fu rovesciato proprio da Maggioriano, il quale non ripeté lo stesso errore e ruotò le cariche principali tra gli esponenti di entrambe le aristocrazie
Maggioriano comprese anche che uno degli errori del suo predecessore [[Avito]] era stato quello di fare affidamento sull'aristocrazia senatoriale di una sola parte dell'impero, nel caso di Avito la [[Gallia]], che invece non aveva riconosciuto Maggioriano. Quando dunque riprese militarmente il controllo di questa regione, decise di guadagnarsi il favore dell'aristocrazia senatoriale locale rendendola compartecipe alla gestione del potere
Una testimonianza del suo atteggiamento verso i senatori è costituita dal messaggio che inviò al Senato al momento della sua elezione a imperatore, in cui prometteva che non avrebbe prestato orecchio ai delatori, molto temuti in quanto causa, talvolta artificiosamente creata dagli imperatori stessi, della caduta di personaggi importanti.<ref name=novella1 /> Che Maggioriano abbia tenuto fede alla sua promessa è attestato da un episodio riportato da Sidonio Apollinare, in cui al poeta sarebbe stato attribuito un libello anonimo contro alcuni personaggi di rilievo: Maggioriano, invitato a pranzo il poeta, disinnescò con arguzia l'attacco.<ref>L'episodio avvenne nel [[461]] ed è raccontato da Apollinare in una lettera (''Lettere'', i.11.2–15) a un amico ({{cita|Mathisen 1998}}).</ref>
Va però notato come una parte della legislazione di Maggioriano andasse a inserirsi nel contrasto politico tra le due famiglie più potenti dell'Italia tardo imperiale, quello tra la ''[[gens Anicia]]'' e la ''[[gens Decia|gens Caeionia–Decia]]'', schierandosi per la prima, malgrado un esponente di quest'ultima famiglia, Cecina Decio Basilio, ricoprisse l'importante incarico di [[Prefetto del pretorio d'Italia]]. Maggioriano non esitò infatti a rifarsi più volte alla politica dell'imperatore Valentiniano, dando alla propria legislazione un'impronta molto più vicina agli interessi della ''gens Anicia'', ed è dunque molto verosimile che né Basilio né Ricimero (il cui nome non compare tra coloro che promossero le Novelle maiorianee) fossero molto contenti dell'impostazione scelta dall'Augusto; non è un caso che la
==== Protezione dei monumenti di Roma ====
Già a partire dall'inizio del IV secolo i monumenti di [[Roma]] e, in genere, gli edifici di certo pregio rimasti in stato di abbandono per cause diverse, erano utilizzati in misura crescente come vere e proprie cave per materiali edilizi pregiati, in quanto tale pratica risultava più economica e pratica rispetto all'importazione da luoghi remoti, talora resi difficili o impossibili da raggiungere nelle province (specie a seguito del «regime di quasi autarchia imposto alla penisola dai Vandali»);<ref>Così [[Paolo Delogu]], ''Le invasioni barbariche nel meridione dell'impero: Visigoti, Vandali, Ostrogoti'', Atti del convegno svoltosi alla Casa delle culture di Cosenza (24-26 luglio 1998), Soveria Mannelli, Rubettino, 2001, p. 336. ISBN 88-4980-064-9. Nel mondo antico il commercio di marmi pregiati e altri materiali pesanti da costruzione avveniva in gran parte via mare, non essendo tecnicamente possibile o economicamente conveniente il trasporto via terra, se non nei tratti più brevi possibili dalla cava al porto di imbarco e da quello di sbarco al cantiere di costruzione.</ref><ref>In alcuni periodi, tuttavia, si ha testimonianza di talune importazioni a Roma di materiali lapidei grezzi e semilavorati – quantunque esclusivamente dalla Grecia e dall'Asia Minore – accompagnati da indizi che tali importazioni corrispondessero anche all'avvento di generali in grado di porre sotto scacco i barbari, come [[Stilicone]]; si avanza inoltre l'ipotesi che almeno una parte dei materiali d'importazione utilizzati nel periodo, anche accanto a materiali di spoglio, provenissero in realtà da depositi imperiali e privati ove erano rimasti accantonati anche per decine e decine di anni (cfr. Serena Ensoli e [[Eugenio La Rocca]] [a cura di], [http://books.google.it/books?id=USiAdRTlS6MC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0 ''Aurea Roma: dalla città pagana alla città cristiana''], catalogo della mostra [Palazzo delle Esposizioni, 22 dicembre 2000 – 20 aprile 2001], Roma, L'Erma di Bretschneider, 2000, pp. 341–350. ISBN 88-8265-126-6).</ref> i magistrati romani concedevano, dietro petizione, l'uso di marmi, pietre e mattoni di recupero da demolizione per lavori di costruzione, consentendo così la distruzione degli antichi monumenti. Per far fronte a questo fenomeno<ref>Il primo intervento legislativo noto a tutela dei monumenti di Roma risale al I secolo. Nel [[71]] un decreto del Senato, su iniziativa dell'imperatore [[Tito Flavio Vespasiano]], vietava la demolizione di edifici al fine di ricavarne marmi con fini di lucro. È tuttavia con il trasferimento della capitale da Roma e con la crisi dell'impero occidentale che il fenomeno si fa di proporzioni allarmanti, inducendo l'emissione di numerosi provvedimenti di tutela. All'inizio del IV secolo l'imperatore [[Costanzo Cloro|Costanzo]] proibisce con un editto il saccheggio dei sepolcri, prevedendo la confisca degli edifici nei quali il materiale di spoglio ricavato era reimpiegato. Il nono libro del [[Codice teodosiano]] ([[439]]), contiene norme volte alla prevenzione e alla sanzione della spoliazione dei sepolcri al fine di ricavarne materiali da costruzione (cfr. Giuseppe Baldassarre, Ruggero Francescangeli, Dipartimento di Geologia e Geofisica dell'Università di Bari, ''[http://www.lapideiculturali.unifi.it/prin2004/_contents/tempio/Marmiantichi.pdf Marmi antichi – La tutela in duemila anni]'').</ref> Maggioriano promulgò allora una legge (''Novella Maioriani'' 4, promulgata a Ravenna l'11 luglio 459)<ref>Dal testo della ''Novella Maioriani'': «Col pretesto che le pietre servono per opere di utilità pubblica si distruggono le solenni scritture (''sic'') di antichi palazzi e si demoliscono opere grandiose per costruire chissà dove cose mediocri e brutte. Da qui nascono gli abusi per cui persino chi costruisce una casa privata ha l'audacia di portare via dai monumenti pubblici il materiale che gli occorre, col favore dei giudici; e invece dovrebbe essere proprio l'amore dei cittadini a provvedere alle restaurazioni necessarie a che le città conservino il loro splendore. Decretiamo pertanto con una legge che non contempla eccezioni che per quanto riguarda tutti gli edifici eretti dagli antichi per utilità o per ornamento pubblico siano essi templi o monumenti d'altro genere è proibito che essi siano distrutti o deteriorati. Qualunque magistrato che permetta una cosa simile sarà punito con una multa di cinquanta libbre d'oro. A qualunque funzionario subalterno o ''numerarius'' che gli presti obbedienza e non si opponga ai suoi ordini sarà invece comminata la pena della fustigazione e del taglio delle mani per aver offeso, invece che protetto, i monumenti antichi...» (cfr. Giuseppe Baldassarre, Ruggero Francescangeli, Dipartimento di Geologia e Geofisica dell'Università di Bari, ''[http://www.lapideiculturali.unifi.it/prin2004/_contents/tempio/Marmiantichi.pdf Marmi antichi – La tutela in duemila anni]'').</ref> che riservava all'imperatore o ai senatori la potestà di decidere se vi fossero le condizioni estreme che giustificassero la demolizione di un edificio antico; la pena per i magistrati che si arrogavano il diritto di concedere i permessi era di 50 libbre d'oro, mentre i loro subordinati sarebbero stati frustati e avrebbero avuto entrambe le mani amputate.<ref name="Gibbon 1781" />
=== Morte ===
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