Feudalesimo: differenze tra le versioni

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=== La storiografia e il feudalesimo ===
con cui si è abituati a fare ad esso riferimento a partire dalla metà del [[XVIII secolo]], cioè in piena età [[illuminismo|illuministica]]. [[Alfonso Longo]], ad esempio, che nel [[1773]] succedette a [[Cesare Beccaria]] nella cattedra di Istituzioni civili ed economiche a [[Milano]] (il cui corso, mai pubblicato, fu poi recuperato in volume),<ref name=Vian>{{Cita|Vianello, 1942}}</ref> lo definisce una forma di governo "tutta imperfetta nelle sue parti, erronea nei principii e disordinata nei mezzi". Ed, in effetti, fu sempre considerata cardinale dagli Illuministi l'interezza della sovranità, mentre, soprattutto a partire dal [[Capitolare di Quierzy]] ([[877]]),<ref name=Mont109>{{Cita|Montanari, 2006|p. 109}}.</ref> la sicurezza del possesso del feudo rese più lassi i vassalli e più disposti a seguire il proprio arbitrio, assecondando l'inosservanza delle leggi in favore della forza, svuotando di potere i tribunali, opprimendo il popolo.
La storia dei gatti é bella
Istituzioni economiche e sociali come il pascolo comune o le corporazioni contraddicevano in modo troppo forte lo spirito borghese che largamente informava lo spirito illuminista. Questa sorta di avversione prese corpo nella riforma, avviata da [[Giuseppe Bonaparte]] e proseguita da [[Gioacchino Murat]], tramite una serie di [[leggi eversive della feudalità|leggi]] emanate tra il [[1806]] e il [[1808]], della soppressione della feudalità nel [[regno di Napoli]], lo stato dello stivale in cui più radicata era la forma feudale di governo, istituendo anche una [[commissione feudale|commissione]] incaricata di risolverne le liti<ref>Oltre ai classici contributi di [[Pasquale Villani|P. Villani]], ''Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione'', [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]], Bari 1962 e ''La feudalità dalla riforme all'eversione'', in «Clio», 1965, pp. 600-622, cfr. A. M. Rao, ''Mezzogiorno e rivoluzione: trent'anni di storiografia'', in «Studi storici», 1996, nº 37, pp. 981-1041; A. Mele, ''La legge sulla feudalità del 1806 nelle carte Marulli'', in S. Russo (a cura di), ''All'ombra di Murat. Studi e ricerche sul Decennio francese'', Edipuglia, Bari 2007, pp. [http://books.google.it/books?id=R9H9RSUqI5EC&pg=PA87&lpg=PA87 87-109]</ref>.
Il [[XIX secolo]] sembrò cercare un punto di vista più neutro nei confronti del feudalesimo: a quei tempi, avversario della borghesia non è più l'Ordinamento feudale ma il sovrano assoluto. [[François Guizot]] distingueva tra un influsso "sullo sviluppo interiore dell'individuo" e quello sulla società, ravvisando nel primo il motore di "sentimenti energici" e "bisogni morali". Il [[XX secolo]], soprattutto con ''[[Les Annales]]'', approfondì lo studio della produzione dei beni, dei rapporti di proprietà e delle condizioni di lavoro più di quanto non fosse stato fatto fino ad allora. In ogni caso, almeno nella percezione comune, neppure questi studi fecero uscire il feudalesimo da una considerazione generale fortemente polemica.
Fu [[Alfons Dopsch]] il primo a tentare di scardinare lo schema tradizionale, basato sul principio per cui il feudalesimo fosse sempre strettamente legato alla pratica dell'economia naturale. Dopsch fa invece notare che il feudalesimo è sopravvissuto in certi stati anche fino al [[XVII secolo]], mentre in essi lo scambio monetario era ormai del tutto "moderno". Lo studioso, insomma, propone cause politiche e costituzionali per la definizione di questo ordinamento. Però è da considerare che il feudalesimo menzionato da Dopsch (quello dell'[[Austria]] e del [[Meclemburgo]]) non era ormai più il feudalesimo dei baroni riottosi. Bloch finisce per rinunciare al riferimento all'economia naturale, preferendo parlare di una "carestia monetaria". [[Henri Pirenne]] trovò nella disgregazione dello Stato la cifra del feudalesimo, sottolineando come fu impossibile ai conquistatori germanici di continuare la solidità statale che fu dell'[[Impero romano]]. Pur riconoscendo la necessità dei principi di delegare la difesa del territorio ai vassalli, resta, secondo Pirenne, che il giuramento feudale riconosce comunque il re come detentore del potere, tanto che furono paesi altamente feudalizzati come l'[[Inghilterra]] e la [[Francia]] - come nota Lopez - a dare all'Europa i primi Stati unitari. Sempre il Lopez nota come il principio di feudalità rimarcava l'elemento di reciprocità giuridica dell'obbligazione, per quanto questo genere di transazioni di diritti non fosse certo disponibile per l'universalità delle genti ma solo dei potenti.
[[Maurice Dobb]] fa corrispondere il feudalesimo all'istituto del servaggio, cioè l'obbligo imposto al produttore di adempiere alle pretese economiche del ''dominus'' (spesso genericamente intese come "doni alla dispensa del signore"). Dobb torna quindi, in qualche modo, al giudizio settecentesco, accentuando, però, una nota [[Classe sociale|classista]] che prima non aveva questo rilievo.
 
== Elementi fondamentali del rapporto vassallatico-beneficiario ==