Scipione Ammirato: differenze tra le versioni

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Nato da una nobile famiglia di origine toscana, venne avviato dal padre agli studi di [[diritto]] a [[Napoli]], ma ne fu distratto dai suoi interessi umanistici. Frequentò i circoli letterari partenopei, e divenne intimo amico dei poeti [[Berardino Rota]] e [[Angelo Di Costanzo]] e del botanico [[Bartolomeo Maranta]], scelto dall'Ammirato come personaggio del dialogo ''Il Rota, overo delle imprese'' (e il Maranta sceglierà Scipione quale interlocutore del suo ''Lucullianorum quaestionum'' nel 1564).<ref name=Favaro>{{cita pubblicazione|autore=Maiko Favaro|titolo=Sulla concezione dell'impresa in Scipione Ammirato|pubblicazione=Italianistica: Rivista di letteratura italiana|volume=38|numero=2|pp=285-298|anno=maggio-agosto 2009}}</ref><ref name=q>{{harvnb|I trasformati|p=21}}</ref> Intrapresa la carriera ecclesiastica, per alcuni anni risiedette a [[Venezia]], dove divenne segretario del [[Patriziato (Venezia)|patrizio veneto]] Alessandro Contarini. A Venezia approfondì i suoi interessi letterari e strinse amicizia con [[Pietro Aretino]], [[Sperone Speroni]], e [[Vittoria Colonna]].<ref name=A >{{Cita libro|editore=A & C Black|curatori=Peter Bondanella, Julia Conway Bondanella, Jody Robin Shiffman|titolo= Cassell Dictionary Italian Literature |accesso= 2 giugno 2019|data= 2001|url= https://books.google.it/books?id=TXBFC7Q41eUC&pg=PA11&dq |p= 11}}</ref> Collaborò alla stampa, curata da [[Girolamo Ruscelli]], dell'''[[Orlando furioso|Orlando Furioso]]'', cui egli prepose gli ''Argomenti'' in rima. Costretto ad abbandonare il servizio di Contarini a causa di uno scandalo, Ammirato si recò in un primo tempo a Roma, dove entrò al servizio di [[papa Pio IV]]. Nel 1558 tornò a Lecce, dove fondò, insieme a Pompeo Paladini, l'Accademia dei Trasformati, di cui fu «Principe» col nome di «Proteo».<ref name=Favaro/>
 
Datosi allo studio assiduo delle opere di [[Platone]], verso il 1560 compose il dialogo ''[[s:Il dedalione o ver del poeta|Il dedalione o ver del poeta]]'' (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VII 12)<ref>Edito in: {{cita libro|curatore=Bernard Weinberg|titolo=Trattati di poetica e retorica del Cinquecento|volume= 2|città=Bari|editore=[[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli]]|anno=1970|pp=477-512}}</ref>, dedicato a [[Gerolamo Seripando]], arcivescovo di Salerno, e presentato manoscritto dieci anni più tardi nell'Accademia degli Alterati a Firenze.<ref>{{Cita libro|editore=[[Salerno editrice]]|autore=Enrico Malato|titolo=Storia della letteratura italiana: La critica letteraria dal due al novecento|accesso=2 giugno 2019|data=2003|p=376}}</ref><ref>{{Cita libro|autore1= [[Giulio Ferroni]]|autore2= Amedeo Quondam|titolo= La "Locuzione Artificiosa": Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell'età del manierismo|anno=1973 |editore= [[Bulzoni Editore]]|p= 75|citazione= In Firenze, nell'Accademia degli Alterati, l'Ammirato presentò nel 1571 il manoscritto del dialogo ''Il Dedalione o ver del poeta'', composto però in Napoli intorno al 1560 e dedicato a Girolamo Seripando, arcivescovo di Salerno ed esponente di rilievo della riforma cattolica}}</ref>
 
Divenuto famoso in tutta Italia, non riuscì tuttavia a ottenere la carica di storiografo regio a Napoli, che [[Angelo Di Costanzo]] aveva proposto per lui, e indignato se ne andò a Firenze (1569), non accettando più alcun incarico nel [[Regno di Napoli]], nonostante le sollecitazioni del viceré. Dal granduca [[Cosimo I de' Medici]], che lo ospitò presso [[Villa medicea della Topaia|Villa La Topaia]], ottenne l'incarico di scrivere le ''Istorie fiorentine'', l'opera che lo rese noto e per la cui stesura poté servirsi del materiale conservato presso l'Archivio Pubblico istituito nel [[1570]]. Promotore dell'Accademia fiorentina degli Alterati, Ammirato divenne una figura importante del panorama culturale cittadino.<ref name=A/> Giovan Battista Attendolo lo proclamò "principe degli storici del suo secolo", e l'[[Accademia degli Umidi|Accademia fiorentina]] "nuovo Livio"; Orlando Pescetti lo pose per la lingua allo stesso livello di [[Pietro Bembo]], [[Giovanni Della Casa|Monsignor della Casa]], [[Leonardo Salviati]], [[Benedetto Varchi]] e Annibale Caro; il suo lavoro sulle ''Famiglie napoletane'' ebbe un grande successo nelle corti di tutta Italia, e suscitò le calorose lodi di [[Traiano Boccalini]] e di [[Annibale Caro]]. I re [[Enrico II di Francia]] e [[Filippo II di Spagna]], i papi [[Papa Clemente VIII|Clemente VIII]] e [[Papa Sisto V|Sisto V]] e i Medici gli spedivano lettere assai lusinghiere, promettendogli immense ricchezze.<ref>{{harvnb|Scarabelli|pp=13-15}}</ref> Nel [[1595]] divenne [[canonico]] della [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|cattedrale di Firenze]]. Dopo aver fatto testamento (11 gennaio 1600) morì il 31 gennaio 1600 e lo stesso giorno fu sepolto in [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|Santa Maria del Fiore]] a Firenze.