Assedio di Roma (537-538): differenze tra le versioni

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== Belisario entra a Roma ==
Mentre [[Vitige]] stringeva un'alleanza con i [[Franchi]], cedendo loro in cambio la Gallia ad est del Rodano (la [[Provenza]]), [[Belisario]] partì da [[Napoli]], affidando la difesa della città a trecento fanti capitanati da Erodiano.<ref name=ProcI14>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XIV|I, 14]]}}.</ref> Si diresse dunque in direzione di [[Cuma]], l'unica altra città fortificata della Campania oltre a Napoli; gli abitanti di Cuma, essendo giunti a conoscenza della sorte di Napoli costretta a subire un saccheggio per aver resistito all'esercito di Belisario e temendo di dover condividere una sorte simile se avessero opposto anch'essi resistenza, si sottomisero spontaneamente permettendo al generale bizantino di entrare in città.<ref name=ProcI14/> Dopo aver rinforzato anche Cuma con una guarnigione adeguata, Belisario, conducendo l'esercito per la [[Via Latina]] lasciando a sinistra la [[Via Appia]], avanzò verso [[Roma]].<ref name=ProcI14/>
 
Nel frattempo, nella Città Eterna, la guarnigione gotica, disperando di riuscire a tenere la situazione sotto controllo, evacuò l'Urbe ritirandosi a [[Ravenna]]. Mentre Belisario entrava a Roma per la [[Porta Asinaria]], i [[Goti]] uscivano per la [[Porta Flaminia]].<ref name=ProcI14/> Riconquistata Roma il 9 dicembre del 536, l'anno undicesimo di regno di [[Giustiniano I]], Belisario inviò Leuderi, comandante della guarnigione gotica, presso Giustiniano con le chiavi della città e si impegnò fin da subito a riparare le mura, in cattivo stato a causa dell'incuria: costruì dei merli, vi aggiunse un secondo bastione per proteggere i difensori dai dardi degli assalitori e le circondò di un fosso largo e profondo.<ref name=ProcI14/> In vista del lungo assedio, fece trasportare dalle campagne circostanti e dalla [[Sicilia]] un'enorme quantità di grano.<ref name=ProcI14/>
 
Mentre era a Roma Belisario ricevette la resa spontanea del Sannio a ovest del fiume Garigliano; già in precedenza gli abitanti della Calabria e dell'Apulia si erano sottomessi spontaneamente a Belisario.<ref name=ProcI15>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XV|I, 15]]}}.</ref> Belisario in breve tempo aveva conquistato tutta l'Italia che al di qua del Golfo Ionico si estendeva fino a Roma e al Sannio, mentre [[Costanziano]] aveva sottomesso la Dalmazia.<ref name=ProcI15/>
 
Belisario, venuto in possesso di tutte le adiacenze di Roma sino al fiume [[Tevere]], le fortificò.<ref name=ProcI16>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XVI|I, 16]]}}.</ref> Inviò poi Costantino alla testa di diversi guerrieri in [[Tuscia]] con lo scopo di sottomettere la provincia; ordinò inoltre a [[Bessa (generale)|Bessa]] di occupare [[Narni]], situata sempre in Tuscia.<ref name=ProcI16/> Narni fu occupata da Bessa senza opporre resistenza, e Constantino ottenne nello stesso modo la sottomissione di [[Spoleto]], [[Perugia]] e di altre città, venendo spontaneamente accolto dai Tusci entro le proprie mura; e presidiata Spoleto, si insediò con le sue truppe a Perugia.<ref name=ProcI16/> Vitige, informato di queste conquiste, spedì in Tuscia un'armata condotta da Unila e Pissa.<ref name=ProcI16/> Costanziano li sconfisse però in una battaglia, e, fatti prigionieri i due comandanti nemici, li spedì a Roma presso Belisario.<ref name=ProcI16/> Vitige, informato della sconfitta, non volle trattenersi ulteriormente a Ravenna, dove rimaneva in attesa di Marcia di ritorno con le truppe dalla Gallia.<ref name=ProcI16/> Inviò dunque Asinario e Uligisalo con un poderoso esercito nella Dalmazia con l'obiettivo di riconquistarla, e con l'ordine di marciare verso Salona non appena giungessero le truppe barbare originarie dalla Svevia.<ref name=ProcI16/> Li munì anche di una flotta per permettere di assediare Salona per terra e per mare.<ref name=ProcI16/> Dopo aver disposto così le cose, Vitige mosse alla volta di Roma, portando con sé, a dire di Procopio, non meno di 150.000 armati, tra fanti e cavalieri, molti dei quali erano catafratti.<ref name=ProcI16/> La cifra di 150.000 soldati sembra tuttavia esagerata, e studiosi moderni l'hanno ridotta a circa 30.000 soldati.
 
Mentre Asinario reclutò truppe di barbari in Svevia, Uligisalo condusse la sua armata in Dalmazia venendo però sconfitto dagli Imperiali nella battaglia di Scardona e costretto a riparare nella città di Burno, dove rimase in attesa di Asinario.<ref name=ProcI16/> Nel frattempo Costanziano, informato dell'arrivo imminente di Asinario con consistenti truppe barbare, temendo per le sorti di Salona, chiamò a sé le truppe a presidio di tutte le fortezze della Dalmazia, e rinforzò le mura della città cingendole con un fosso.<ref name=ProcI16/> Ben presto Asinario e Uligisalo, unite le forze, giunsero ad assediare Salona per terra e per mare, con il supporto della flotta gotica.<ref name=ProcI16/> La flotta gotica fu però distrutta in una battaglia navale dalla superiore flotta bizantina, ma nonostante tutto i Goti continuarono l'assedio per qualche tempo, che fallì comunque.<ref name=ProcI16/>
 
Allorché Belisario venne a conoscenza dell'arrivo imminente dell'esercito di Vitige ad assediare Roma, fu consigliato da alcuni dei suoi ufficiali di richiamare Costantino e Bessa dalla Tuscia in modo da rinforzare l'esercito e poter difendere con maggior efficacia la Città Eterna; Belisario, tuttavia, era restio ad abbandonare le fortezze conquistate nella Tuscia, temendo che fossero conquistate dai Goti che potessero valersene contro gli Imperiali; Belisario, alla fine, ordinò ai due comandanti della Tuscia di tornare a Roma con il grosso delle loro truppe, non prima però di aver rinforzato con guarnigioni adeguate almeno le fortezze della Tuscia più importanti strategicamente, che Belisario non era affatto intenzionato a perdere.<ref name=ProcI17>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XVII|I, 17]]}}.</ref> Costantino, presidiate Perugia e Spoleto, tornò repentinamente a Roma, mentre Bessa fu meno pronto ad eseguire gli ordini e fu assalito in battaglia da un esercito gotico che tentava di riconquistare Narni: Bessa li sconfisse in battaglia ma, assalito da una nuova armata gotica più consistente, fu costretto a rinserrarsi dentro le mura della città.<ref name=ProcI17/> Rinforzata la guarnigione, Bessa lasciò Narni e tornò a Roma con il grosso delle sue truppe.<ref name=ProcI17/>
 
Nel frattempo Vitige, rinunciata all'espugnazione sia di Perugia che di Spoleto che di Narni, ritenendole troppo ostiche da espugnare essendo ben fortificate e difese, marciò verso Roma.<ref name=ProcI17/> A quattordici stadi della città giunse ad un ponte fortificato da poco da Belisario al fine di rallentare la loro avanzata e permettere agli Imperiali di trasportare nell'Urbe una quantità maggiore di provviste.<ref name=ProcI17/> Le truppe della guarnigione posta a difesa del ponte, di fronte alla superiorità numerica dell'esercito nemico, fuggirono tuttavia senza nemmeno combattere, rifugiandosi in Campania invece che a Roma in quanto temevano la punizione di Belisario.<ref name=ProcI17/>
 
Mentre i Goti attraversarono il Tevere senza difficoltà a causa della fuga della guarnigione, Belisario con un esercito di mille cavalieri era uscito dalla città non pensando che i Goti avessero già attraversato il fiume; fu assalito all'improvviso dall'esercito gotico e combatté tra le prime fila per respingere gli attacchi nemici, venendo assistito dal cavallo bianco che cavalcava.<ref name=ProcI18>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XVIII|I, 18]]}}.</ref> I Goti, ritenendo che uccidendo Belisario sarebbe stato più agevole avere la meglio sui Bizantini, tentarono di assalirlo con tutte le forze ma Belisario riuscì a respingere tutti i loro attacchi uccidendo molti guerrieri nemici.<ref name=ProcI18/> Dopo un'aspra battaglia gli Imperiali costrinsero alla fuga i Goti che, tuttavia, rinforzati da nuovi contingenti, tornarono alla controffensiva, costringendo l'esercito di Belisario a ripararsi su un colle.<ref name=ProcI18/> I Goti assalirono l'esercito di Belisario che però riuscì a fuggire e a raggiungere una porta di Roma, chiamata da allora Porta Belisaria, inseguiti dal nemico.<ref name=ProcI18/> I cittadini di Roma non volevano però aprire le porte ai soldati fuggitivi, temendo che così facendo potesse entrare anche l'esercito nemico, e anche se Belisario ordinava di farlo entrare, i suoi soldati dentro le mura non eseguirono i suoi ordini perché sul momento non lo riconobbero essendo il generalissimo coperto di polvere e sudore.<ref name=ProcI18/> Inoltre in città si era diffusa la voce falsa che Belisario fosse stato ucciso nella battaglia combattuta in quello stesso giorno.<ref name=ProcI18/> Mentre i Romani rifiutavano di aprire le porte a Belisario, non avendolo riconosciuto, giunsero in prossimità delle mura i Goti.<ref name=ProcI18/> Belisario, nella disperazione, decise che la battaglia era inevitabile e ordinò ai soldati superstiti al suo comando di assalire i Goti in una battaglia disperata.<ref name=ProcI18/> L'esercito di Belisario riuscì inaspettatamente a vincere l'esercito nemico spingendolo al ritiro.<ref name=ProcI18/> Le truppe a presidio di Roma, dopo la ritirata dei Goti dalle mura, accettarono finalmente di concedere alle truppe di Belisario di entrare in città.<ref name=ProcI18/>
 
== Gli ostrogoti assediano Roma ==
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Gli ostrogoti si posizionarono attorno alla città, costruendo sette accampamenti onde bloccare l'arrivo di rifornimenti e iniziarono i preparativi. Inoltre tagliarono i quattordici [[acquedotti di Roma|acquedotti]] della città per lasciare la popolazione senz'acqua.
 
Belisario, per fronteggiare la situazione, prese i seguenti provvedimenti:<ref>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro I/Capo XIX|I, 19]]}}.</ref>
# per impedire ai Goti di penetrare nella città attraverso gli acquedotti (come aveva fatto Belisario stesso, tra l'altro, per [[assedio di Napoli (536)|espugnare Napoli]] pochi mesi prima), li fece ostruire con un solido muro.
# pose a custodia delle porte uomini fidati. In particolare Belisario decise di sorvegliare egli stesso la Salaria e la Pinciana, mentre affido a Costanziano la custodia della Flaminia. Una porta venne serrata con un cumulo di pietre per impedire a chicchessia di aprirla.
# infine decise, per provvedere ai bisogni della popolazione, di costruire dei rudimentali ma ingegnosi [[mulino ad acqua|mulini ad acqua]] sfruttando le acque del [[Tevere]]. I Goti, avutene notizia da disertori, tentarono di sabotare l'invenzione gettando nelle acque del Tevere alberi e cadaveri. Belisario però riuscì a contrastare i loro tentativi di non far funzionare i mulini ad acqua con delle funi di ferro che andavano da una riva all'altra del Tevere e che impedivano agli oggetti gettati dai Goti nel fiume di proseguire oltre. In questo modo impediva inoltre ai Goti di entrare in città tramite il fiume Tevere.
 
I primi giorni d'assedio crearono i primi disagi della popolazione, non abituati allo stato d'assedio. Venutone a conoscenza, il re dei Goti [[Vitige]] decise di inviare a Belisario alcuni ambasciatori e Albis, che alla presenza del [[senato romano|senato]] e dell'esercito, parlarono a Belisario, invitandolo ad affrontare i Goti in battaglia piuttosto che starsene rinserrato dentro le mura della città per paura di affrontarli; Belisario rifiutò.<ref>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XX|I, 20]]}}.</ref> Quando gli ambasciatori goti comunicarono a Vitige l'infelice esito della loro missione, il re goto decise di attaccare le mura della città: fece dunque costruire varie macchine d'assedio come [[torre d'assedio|torri di legno con ruote]], delle [[scala (utensile)|scale]] tanto lunghe da giungere ai merli delle mura, e quattro [[ariete (arma)|arieti]].<ref name=ProcI21>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro I/Capo XXI|I, 21]]}}.</ref> Belisario rispose ponendo sulle mura delle [[balista|baliste]], macchine da guerra molto simili alle [[balestra (arma)|balestre]], degli onagri (macchine che gettano sassi) e altre macchine da guerra chiamate ''lupi''.<ref name=ProcI21/>
 
=== Il primo attacco goto ===
All'alba del diciottesimo giorno d'assedio gli ostrogoti attaccarono, ma la loro disorganizzazione e l'inesperienza nell'uso delle macchine d'assedio permise ai bizantini di ottenere una facile vittoria, mietendo un gran numero di vittime tra le file nemiche.<ref name=ProcI22>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro I/Capo XXII|I, 22]]}}.</ref> L'assalto iniziò con i Goti che facevano avanzare le torri d'assedio verso le mura. Belisario ordinò allora agli arcieri di mirare di proposito ai buoi che trainavano le torri in modo da ucciderli e da impedire alle torri di essere trasportate fino alle mura; la strategia funzionò e i Goti si trovarono con un'arma inutilizzabile.<ref name=ProcI22/>
 
Vitige decide quindi di cambiare strategia: ad una parte del suo esercito ordinò di tenere occupato Belisario nella difesa della [[Porta Salaria]] tramite il lancio di strali sopra i merli, mentre lui e un'altra parte dell'esercito avrebbero tentato l'attacco alla [[Porta Maggiore|Porta Prenestina]], più facile da espugnare per il debole stato delle mura.<ref name=ProcI22/> Bessa e Peranio, i generali a difesa della porta e delle mura circostanti, chiesero allora aiuto a Belisario, il quale, affidata a un suo amico la difesa della Porta Salaria, andò subito a soccorrere la porta Prenestina.<ref name=ProcI23>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro I/Capo XXIII|I, 23]]}}.</ref> Belisario, vedendo le mura in cattivo stato, ordinò ai suoi uomini di non respingere il nemico: lasciò pochi uomini a difesa dei merli mentre il fior dell'esercito venne collocato vicino alla Porta. I Goti, entrati da un foro nelle mura, vennero qui sconfitti e costretti alla fuga. Le loro macchine d'assedio vennero date alle fiamme.
 
Un'altra parte dell'esercito goto assalì nel frattempo la [[Porta San Pancrazio|Porta Aurelia]], difesa da Costantino. Quest'ultimo aveva con sé pochissimi uomini in quanto il Tevere, che scorreva vicino alla porta e al muro, sembrava proteggerlo abbastanza da un assalto goto e si preferì lasciare ben difesi parti di mura più importanti.<ref name=ProcI22/> I Goti, valicato il Tevere, assaltarono la Porta e il Muro con ogni macchina d'assedio di sorta (soprattutto scale) e tirando frecce contro gli Imperiali. Gli Imperiali sembravano disperare: le baliste erano inutilizzabili in quanto erano a lunga gittata e quindi erano inservibili per colpire nemici molto vicini alle mura; i Goti erano in superiorità numerica; e stavano appoggiando le scale per valicare le mura.<ref name=ProcI22/> I Bizantini però non si persero d'animo e, facendo a pezzi molte delle più grandi statue, le gettarono dalle mura contro i nemici.<ref name=ProcI22/> La tattica ebbe successo e i nemici iniziarono a indietreggiare; allora gli Imperiali, rinvigoriti, attaccarono con maggior foga attaccando i Goti con frecce e pietre. I Goti, respinti, non attaccarono più, almeno per quel giorno, la porta Aurelia.<ref name=ProcI22/>
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=== Provvedimenti di Belisario per la difesa dell'Urbe ===
Ma la vittoria non servì a rompere l'assedio, e Belisario sapeva che il suo esercito era comunque di gran lunga inferiore a quello degli Ostrogoti, così decise di inviare un messaggero all'[[imperatori bizantini|imperatore]] Giustiniano I per chiedere rinforzi:<ref>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXIV|I, 24]]}}.</ref>
{{Citazione|Secondo i vostri ordini, sono entrato nei domini dei Goti, e ho ridotto alla vostra obbedienza l’Italia, la Campania, e la città di Roma. […] Fin qui abbiamo combattuto contro sciami di barbari, ma la loro moltitudine può alla fine prevalere. […] Permettetemi di parlarvi con libertà: se volete, che viviamo, mandateci viveri, se desiderate, che facciamo conquiste, mandateci armi, cavalli e uomini. […] Quanto a me la mia vita è consacrata al vostro servizio: a voi tocca a riflettere, se […] la mia morte contribuirà alla gloria e alla prosperità del vostro regno. }}
 
Il giorno dopo la battaglia si vide costretto ad effettuare delle scelte drastiche per migliorare la difesa dell'Urbe come far uscire dalla città tutti coloro che non erano in grado di brandire un'arma (tra questi vi erano le donne e i bambini), che vennero trasferiti temporaneamente a Napoli.<ref name=ProcI25>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXV|I, 25]]}}.</ref> La decisione di far uscire dalla città le persone non in grado di combattere era dovuta alla volontà di far durare il maggior tempo possibile le scorte di cibo utilizzandole solo per sfamare le persone in grado di combattere, mentre gli altri, trasferendosi a [[Napoli]], venivano comunque sfamati.<ref name=ProcI25/> Le persone trasferite a Napoli vi giunsero o per via mare o seguendo la [[Via Appia Antica|Via Appia]], senza venire attaccata dai Goti in quanto, essendo Roma una città di vastissima estensione, i Goti non erano riusciti a circondarla tutta quanta, quindi bastò uscire da una via distante dagli accampamenti goti.<ref name=ProcI25/>
 
Proprio per questi motivi fu possibile introdurre a Roma scorte di cibo per parecchi giorni senza essere notati dai Goti. E, durante la notte, capitava di sovente che i ''Mauri'', soldati ''foederati'' dell'Impero, facessero delle sortite contro gli accampamenti goti, uccidendone alcuni durante il sonno e spogliandoli.<ref name=ProcI25/> Belisario nel frattempo notò la sproporzione tra l'estensione delle mura e il numero dei soldati che le dovevano sorvegliare e decise di risolvere il problema obbligando gli abitanti rimasti a diventare soldati e far ronda sulle [[mura aureliane]].<ref name=ProcI25/> Prese delle severe precauzioni per assicurarsi della fedeltà dei suoi uomini: cambiava due volte al mese gli ufficiali posti a custodia delle porte della città,<ref name=ProcI25/> ed essi venivano sorvegliati da cani e altre guardie per prevenire un eventuale tradimento.
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=== La conquista di Porto e i problemi arrecati ai Romani ===
Nel frattempo Vitige decise per rappresaglia di uccidere i senatori romani rifugiatisi a Ravenna
all'inizio della guerra.<ref name=ProcI26>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXVI|I,26]]}}.</ref> Inoltre, per tagliare i contatti degli assediati con l'esterno, impedendo così loro di ricevere scorte di cibo e acqua, decise di conquistare Porto, lontana circa 20 stadi, la distanza che separa Roma dal Mediterraneo.<ref name=ProcI26/> Dunque, trovatala senza presidio, i Goti occuparono Porto, sterminando la popolazione locale e arrecando grossi problemi agli assediati in quanto a Porto giungevano principalmente le scorte di cibo necessarie per resistere all'assedio.<ref name=ProcI26/> I Romani furono quindi costretti a recarsi ad Ostia per rifornirsi di cibarie, facendo tra l'altro molta fatica in quanto abbastanza lontana da Roma a piedi.<ref name=ProcI26/>
 
=== Scontri sotto le mura ===
Venti giorni dopo la conquista ostrogota di [[Porto (città antica)|Porto]], arrivarono a Roma i primi rinforzi inviati da Giustiniano: i generali Valentiniano e [[Martino (generale bizantino)|Martino]] alla testa di mille e cinquecento cavalieri, per lo più Unni, ma comprendenti anche Sclaveni ed Anti, popolazioni alleate dell'Impero residenti oltre Danubio.<ref name=ProcI27>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXVII|I,27]]}}.</ref> Belisario, confortato dall'arrivo di rinforzi, decise di adoperare una tattica di guerriglia, approfittando della superiorità degli arcieri bizantini per logorare le forze nemiche: ordinò ad una sua lancia, Traiano, di attaccare, alla testa di duecento pavesai, i Goti, impedendo ai suoi di combatterli da vicino con la spada o con l'asta, e permettendo loro di adoperare solo l'arco; quando le frecce sarebbero finite i soldati bizantini sarebbero riparati alle mura.<ref name=ProcI27/> Traiano, ricevuto l'ordine, prese i 200 pavesai e uscì con essi dalla Porta Salaria, dirigendosi verso il campo nemico.<ref name=ProcI27/> I barbari, sorpresi dall'arrivo dei 200 pavesai, si gettarono fuori degli steccati per assalire l'armata di Traiano, dispostosi sulla sommità di una collina per ordine di Belisario: i pavesai di Traiano cominciarono a colpire i nemici di frecce, uccidendone almeno mille, per poi ripararsi dentro le mura.<ref name=ProcI27/> Visto che la tattica di guerriglia cominciava a dare i suoi frutti, infliggendo perdite all'armata nemica, Belisario, alcuni giorni dopo, inviò trecento pavesai alla testa di Mundila e Diogene, per attaccare allo stesso modo, adoperando l'arco, gli Ostrogoti, infliggendo così loro delle perdite persino peggiori rispetto al primo scontro; Belisario, incoraggiato, inviò altri trecento pavesai sotto il comando di Oila, i quali inflissero ulteriori perdite ai Goti; in tre scontri sotto le mura, gli arcieri di Belisario era riusciti a uccidere, secondo Procopio, ben 4.000 Goti.<ref name=ProcI27/>
 
Vitige, allora, volendo adoperare la stessa tattica di Belisario, ordinò a cinquecento cavalieri di avvicinarsi alle mura, e di fare all'esercito di Belisario la stessa accoglienza che essi avevano ricevuto.<ref name=ProcI27/> I cinquecento cavalieri goti, saliti su un'altura non distante da Roma, furono però attaccati da 1.000 arcieri scelti bizantini posti sotto il comando di [[Bessa (generale)|Bessa]], i quali, attaccando a suon di frecce i guerrieri goti, inflissero loro pesanti perdite, costringendo i pochi superstiti a fuggire negli accampamenti goti, dove furono pesantemente rimproverati per il loro fallimento da Vitige, il quale sperava che il giorno successivo, adoperando diversi combattenti e la stessa tattica, il successo avrebbe forse arriso ai Goti.<ref name=ProcI27/> Due giorni dopo Vitige inviò altri cinquecento Goti, selezionati da tutti i suoi campi, contro il nemico; Belisario, accortosi del loro arrivo, inviò a combatterli Martino e [[Valeriano (generale bizantino)|Valeriano]] alla testa di mille e cinquecento cavalieri, i quali inflissero pesanti perdite agli Ostrogoti.<ref name=ProcI27/>
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=== Battaglia in campo aperto ===
Successivamente, gli Imperiali, boriosi delle riportate vittorie, erano smanianti di combattere coll'intero esercito ostrogoto, convinti di esserlo in grado di vincerlo in una decisiva giornata campale.<ref name=ProcI28>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXVIII|I,28]]}}.</ref> Belisario, al contrario, constatando il grandissimo divario esistente ancora tra Bizantini e Ostrogoti, esitava di continuo a cimentarsi con tutte le truppe, e, con maggiore attenzione cercava di scontrarsi sempre con loro con piccole sortite, con azioni di guerriglia, ma mai scontrandosi con il nemico in campo aperto.<ref name=ProcI28/> Furono tante le voci di protesta contro la tattica prudente e accorta adoperata da Belisario, e tanta l'insistenza dell'esercito di scontrarsi con il nemico in campo aperto, Belisario alla fine cedette, e diede loro il permesso di scontrarsi con gli Ostrogoti in campo aperto.<ref name=ProcI28/>
 
Dopo una esortazione, Belisario condusse fuori l'esercito attraverso la porta Pinciana e la Salaria, facendone uscire un piccolo reggimento da quella Aurelia con ordine di giungere al campo di Nerone in sostegno di Valentino, comandante della cavalleria, senza cominciare battaglia, né accostarsi al steccato gotico; avrebbe piuttosto dovuto dato mostra di volere senza indugio assalire il nemico, e impedire che i Goti non corressero, valicato il vicino ponte, a rafforzare gli altri corpi.<ref name=ProcI28/> Alcuni del popolo romano si erano uniti all'esercito bizantino come volontari, ma Belisario decise di non schierarli perché temeva, che essendo inesperti nella guerra, fuggissero impauriti all'avvicinarsi del pericolo, creando scompiglio e compromettendo la battaglia.<ref name=ProcI28/> Formatone pertanto un corpo separato, li mandò alla porta Pancraziana di la dal Tevere, dove sarebbero rimasti in attesa di nuovi suoi ordini.<ref name=ProcI28/> Belisario era intenzionato inoltre a battagliare in quel giorno con la sola cavalleria, essendo molti dei suoi fanti, avendo tolto i cavalli ai nemici, divenuti cavalieri, mentre considerava i rimanenti fanti, pochi di numero, non idonei al combattimento conseguente.<ref name=ProcI28/> Ma Principio, la sua lancia preferita, e Termuto isauro, fratello di Enna capitano degli Isauri, convinsero Belisario a disporre che parte della plebe romana vegliasse alla difesa delle porte, dei merli e delle macchine, e schierare i fanti in battaglia con ordine di obbedire a Principio e Termuto, acciocché intimoriti dal pericolo non sgomentassero il rimanente esercito, o se qualche drappello de' cavalieri voltasse le spalle non potesse vie maggiormente dilungarsi, ma fattovi corpo tornasse a respingere il nemico.<ref name=ProcI28/>
 
Nel frattempo, Vitige, comandato ai Goti di armarsi, lasciando nelle trincee i soli cagionevoli, impose alle truppe di rimanere nel campo di Nerone, e custodissero con diligenza il ponte per non venire da quel fronte molestati dal nemico.<ref name=ProcI29>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXIX|I,29]]}}.</ref> Vitige pose quindi in ordinanza l'esercito collocando nel centro le coorti dei fanti e nei due corpi i cavalieri; né tenne lo schieramento lontano dagli steccati, ma quanto più vicino poté, bramando che, non appena volto in fuga il nemico, i suoi lo avrebbero inseguito e annientato senza incontrare nemmeno un istante di resistenza a causa della grandissima disparità di forze tra i due eserciti.<ref name=ProcI29/>
 
Al sorgere dell'alba, dunque, cominciò la battaglia tra Imperiali e Ostrogoti: la fortuna, sulle prime, arrise agli imperiali, ma, sebbene molti Goti cadessero vittime delle frecce nemiche, continuavano tuttavia a resistere, potendo essi, essendo in quantità immense, supplire prontamente i feriti con nuove truppe di qualità.<ref name=ProcI29/> Gli Imperiali, di gran lunga in inferiorità numerica, venuto il pomeriggio, decisero di tornare in Roma, approfittando della prima buona occasione.<ref name=ProcI29/> In quella battaglia tre soldati dell'[[esercito bizantino]] si segnalarono per le loro gesta individuali in battaglia: Atenodoro (di stirpe isaurica e lancia di Belisario), Teudorito e Giorgio (lance di [[Martino (generale bizantino)|Martino]] ed originari della [[Cappadocia]]), i quali uccisero con l'asta molti barbari.<ref name=ProcI29/> Nel campo di Nerone, nel frattempo, per lungo tempo, entrambe le fazioni stettero a rimirarsi a vicenda, mentre gli alleati dell'Impero Mauri molestavano continuamente i Goti a suon di dardi, né gli assaliti ardivano farsi loro addosso, «per tema non le turbe della romana plebe, collocate a breve distanza e presupposte schiere di fanti, rimanessersi cola di pie fermo a macchinare insidie, e ad attendere l'ora d'inseguirli alle spalle, per distruggere quanti ne avessero intercettati con sorpresa di schiena e di fronte».<ref name=ProcI29/> Era giunto il pomeriggio quando l'esercito bizantino si scagliò contro i Goti, i quali, sopraffatti dall'urto improvviso ed inopinatamente messi in fuga, non potendo riparare nelle proprie trincee, salirono le vette dei colli vicini, dove erano abbondantissime le truppe di Belisario, che tuttavia non erano tutte esperte delle armi, anzi il più di esse erano la plebe di Roma arruolatosi come volontari; per cui, essendo Belisario assente, molti nocchieri e bagaglioni alla coda dell'esercito, bramosi di prender parte nel combattimento, si erano mescolati con le truppe, e pur costoro riuscirono a mandare in fuga gli Ostrogoti.<ref name=ProcI29/> Sennonché, la confusione creata nell'esercito bizantino, a causa della mescolanza dei nocchieri e dei bagaglioni, fu deleteria per l'esercito imperiale, perché i soldati non udivano più la voce di [[Valeriano (generale bizantino)|Valeriano]], che cercava di incoraggiarli, né cercavano di uccidere i nemici, né venne loro in mente di tagliare il vicino ponte in modo da impedire che Roma, tolta ai Goti l'opportunità di trincerarsi di qua dal fiume Tevere, fosse poi dall'una e dall'altra parte assediata.<ref name=ProcI29/> Non venne loro nemmeno l'idea, una volta valicato il ponte, di prendere alle spalle coloro che, sull'opposto lido, combattevano contro Belisario: e, secondo Procopio, se avessero avuto quest'idea, avrebbero mandato in fuga gli Ostrogoti.<ref name=ProcI29/> Al contrario, gli Imperiali, impadronitesi del campo nemico, volsero ogni loro premura al saccheggio del bottino nemico, causando la reazione dell'esercito ostrogoto, che, dopo aver rimirato da sopra le alture per qualche istante gli imperiali mentre erano dediti a saccheggiare la loro roba, si fiondarono sul nemico, arrestando il depredamento delle robe loro, uccidendone molti e scacciandone il resto.<ref name=ProcI29/>
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=== Nuovi scontri sotto le mura ===
Gli imperiali, dopo la sconfitta subita in campo aperto, ripresero l'antica tattica di infliggere perdite al nemico con piccole sortite di arcieri a cavallo fuori le mura, e in questo modo più volte vinsero i Goti. Procopio narra che nella prima sortita fuori le mura Bessa, armato di asta, uccise tre valorosi cavalieri goti, volgendone in fuga il resto.<ref name=ProcII1>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo I|II, 1]]}}.</ref> In un'altra occasione, verso la sera, Costantino, mandati i suoi guerrieri Unni contro il campo di Nerone e oppresso dal nemico in netta superiorità numerica, riuscì a fuggire e a salvarsi usando uno stratagemma: fece saltare giù dal cavallo i suoi Unni e alla testa loro trovò riparo in una di quelle vie anguste di un anfiteatro che un tempo ospitava combattimenti tra [[gladiatori]]; da quel luogo gli arcieri a cavallo unni riuscirono a infliggere pesanti perdite al nemico scoccando frecce. I Goti tentarono di resistere per qualche tempo, nella speranza che gli arcieri a cavallo Unni avrebbero esaurito le frecce, in modo da poterli agevolmente circondare, vincere e condurre prigionieri nei propri accampamenti. Avendo però perso più della metà dei propri soldati, i Goti decisero di ritirarsi e di tornare nei propri accampamenti, subendo ulteriori perdite durante la ritirata. Superato così il pericolo Costantino ricondusse di notte le proprie truppe a Roma.<ref name=ProcII1/>
 
Pochi giorni dopo le truppe imperiali, guidate da Peranio, uscirono dalla Porta Salaria per assalire l'accampamento goto nelle vicinanze. Procopio narra che uno dei fanti imperiali precipitò in un'alta buca, nelle quali un tempo i contadini, secondo l'opinione di Procopio, vi riponevano il frumento.<ref name=ProcII1/> Non potendo urlare essendo vicino il nemico, decise di passarvi la notte. Il giorno successivo cadde nella stessa buca un soldato goto. I due soldati nemici, capitati nella stessa buca, insolitamente si abbracciarono, giurandosi a vicenda che l'uno avrebbe permesso la salvezza dell'altro; entrambi dunque cominciarono a urlare, venendo uditi dai Goti che risposero chiedendo chi fosse colui che chiedeva aiuto. Il soldato imperiale si mantenne in silenzio, mentre l'altro, esprimendosi in lingua gotica, supplicò loro di calare una fune. Il soldato imperiale insistette sul fatto che fosse il primo a salire, in quanto temeva che, se fosse salito per prima il soldato goto, i suoi commilitoni goti, una volta salvato il loro compagno, avrebbero rifiutato di tirarlo fuori essendo un loro nemico. I Goti, vedutolo, rimasero sorpresi, ma, informati della faccenda, tirarono fuori dalla buca il loro commilitone e permisero al soldato imperiale di tornare nell'Urbe sano e salvo. Si ebbero poi altre piccole sortite fuori le mura, terminate sempre con successi imperiali.<ref name=ProcII1/>
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=== L'arrivo di Eutalio con il soldo ===
 
Nel frattempo, in prossimità del [[solstizio d'estate]], Eutalio, partito da Costantinopoli con l'incarico di portare il soldo ai soldati imperiali in Italia, giunse a [[Terracina]]. Temendo di essere intercettato lungo la via dai Goti, perdendo così denaro e vita, scrisse a Belisario chiedendogli una scorta durante il viaggio di andata a Roma. Belisario accolse la sua richiesta scegliendo cento guerrieri di provato valore e aggiungendovi due lance della propria guardia personale, e ordinando loro di scortare Eutalio a Roma con il soldo destinato ai soldati. Belisario fece inoltre in modo che i Goti vivessero nella certezza di un imminente assalto con tutto l'esercito, in modo da renderli guardinghi e scongiurare una loro eventuale uscita in drappelli dai loro accampamenti, ad esempio per foraggiare. Informato inoltre che Eutalio sarebbe giunto verso sera, impose ai suoi soldati di rimanere armati alle porte nel corso della mattina, e, arrivato il pomeriggio, ordinò che rientrassero; i Goti fecero altrettanto, persuaso che la battaglia fosse stata rinviata al giorno successivo.<ref name=ProcII2>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo II|II, 2]]}}.</ref>
 
Nel frattempo Belisario aveva inviato Martino e Valeriano con le loro truppe al Campo di Nerone, con l'incarico di tenere impegnati i nemici. Altri seicento guerrieri uscirono dalla Porta Pinciana sotto il comando del persiano Artasire, dell'unno Boca e del trace Cotila, assalendo l'accampamento nemico. Seguì uno scontro equilibrato, con pesanti perdite da ambedue le parti. Alla fine i Goti batterono in ritirata, incalzati da Cutila. Nel frattempo al Campo di Nerone l'esercito di Valeriano e Martino, messo alle strette dai Goti in netta superiorità numerica, fu rinforzato dall'arrivo dei soldati di Boca, che, non appena tornati dall'altra battaglia presso la Porta Pinciana, ricevettero l'ordine da parte di Belisario di accorrere in soccorso dell'esercito di Valeriano e Martino. I Goti furono messi in fuga, ma Boca, nell'incalzarli, fu circondato da dodici astati goti, subendo delle ferite ma salvandosi momentaneamente per l'intervento in suo soccorso di Valeriano e Martino, che misero in fuga il nemico. Essi tornarono entro le mura, portando entrambi per la briglia il cavallo di Boca. Nel corso della notte giunse Eutalio con il soldo destinato ai soldati.<ref name=ProcII2/> Si tentò nel frattempo di medicare i feriti, ma non si poté far niente per Cutila e Boca, che perirono in breve tempo (Boca dopo tre giorni di agonia) per le letali ferite ricevute nel corso della battaglia.<ref name=ProcII2/> Piccoli scontri fuori le mura di modesta rilevanza avvennero anche nei giorni successivi, e Procopio ne contò 77 nel corso dell'intero assedio (non comprese le ultime due).<ref name=ProcII2/>
 
=== Blocco della città ===
Gli Ostrogoti, per impedire l'introduzione di derrate alimentari nella Città Eterna, avevano nel frattempo bloccato due acquedotti tra la [[Via Latina]] e la [[Via Appia]], ponendovi a guardia non meno di 7.000 guerrieri.<ref name=ProcII3>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo III|II, 3]]}}.</ref> Il blocco all'Urbe esercitato dagli Ostrogoti per impedire l'introduzione di derrate in città per prenderla per fame fu efficace, e in prossimità del solstizio d'estate dell'anno 537 popolo e soldati soffrivano di fame e per la peste. Poiché i campi nel frattempo erano diventati maturi, alcuni soldati, a loro rischio e pericolo, avevano furtivamente mietuto le spighe e caricati i giumenti nel corso della notte, per poi venderle a caro prezzo agli opulenti cittadini, mentre i meno facoltosi furono costretti a cibarsi di erbe cresciute entro le mura; e alcuni vendevano salsicce prodotte usando le carni dei muli spentisi nell'Urbe. La popolazione, giunta agli stremi, implorò Belisario di porre fine alle loro sofferenze ingaggiando battaglia con il nemico, giurando che anche loro avrebbero preso le armi e sarebbero scesi in campo. Belisario rispose pregando la popolazione di pazientare ancora per qualche giorno, perché presto sarebbero giunti rinforzi dall'Imperatore Giustiniano nonché le tanto attese derrate alimentari.<ref name=ProcII3/>
 
Belisario, congedati i Romani dopo averli rassicurati, spedì [[Procopio di Cesarea]] a Napoli, dove era giunto un nuovo esercito inviato dall'Imperatore, con l'ordine di caricare moltissime navi di frumento e di trasportare, con i soldati imperiali appena giunti da Costantinopoli e quelli già di stanza nella Campania, tutte le biade a Ostia.<ref name=ProcII4>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo IV|II, 4]]}}.</ref> Procopio uscì di notte dall'Urbe con la lancia Mundila e pochi cavalieri passando per la [[Porta San Paolo|porta]] che prende il nome dell'[[apostolo Paolo]]. Quando Mundila tornò a Roma, riferì che Procopio era raggiunto la Campania senza incontrare un nemico, in quanto essi si rinserravano dentro i loro accampamenti durante la notte. Belisario inviò allora l'ordine ai cavalieri di stanza nelle fortezze vicine di fare in modo di ostacolare l'arrivo di vettovaglie negli accampamenti ostrogoti intorno all'Urbe, in maniera tale da far sembrare i Goti quelli maggiormente assediati e non i Romani. Spedì inoltre Martino e Traiano con mille guerrieri a Terracina, mentre inviò la moglie [[Antonina (moglie di Belisario)|Antonina]], protetta da una scorta, a Napoli. Belisario infine affidò la difesa della fortezza di Tivoli ai comandanti Magno e Sintuo, mettendo a loro disposizione cinquecento guerrieri, mentre spedì un reggimento di Eruli condotto da Guntari ad [[Albano Laziale|Albano]] per proteggerla.<ref name=ProcII4/>
 
Nel frattempo la [[Basilica di San Paolo fuori le mura]], posta a quattordici stadi dalle mura dell'Urbe, venne allagata dal fiume Tevere. Gli Ostrogoti veneravano tanto le basiliche di San Paolo e di [[Antica basilica di San Pietro in Vaticano|San Pietro]] da guardarsi bene dal violarle e da consentire ai sacerdoti di celebrare le funzioni sacre solite celebrarsi in entrambe.<ref name=ProcII4/> Inoltre Valeriano, per ordine di Belisario, si accampò con tutti gli Unni a sua disposizione nei pressi delle rive del Tevere al fine da garantire ai cavalli un pascolo più libero e di limitare la libertà di movimenti degli Ostrogoti al di fuori dei loro accampamenti; disposte le truppe secondo la volontà di Belisario, Valeriano ritornò nell'Urbe.<ref name=ProcII4/>
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=== L'arrivo dei rinforzi e lo stratagemma di Belisario ===
Nel frattempo arrivavano da Costantinopoli i rinforzi: sbarcarono infatti a Napoli tremila Isauri sotto il comando di Paolo e Conone, a Otranto poi ottocento cavalieri traci capitanati da Giovanni, nipote dal lato di sorella di Vitaliano, ed altri mille sotto gli ordini di Marcenzio e di Alessandro. Tutte queste truppe si riunirono a Ostia e si incamminarono per Roma con nuove scorte di cibo. Era inoltre arrivato a Roma, passando per il Sannio e la via Latina, Zenone con trecento cavalieri.<ref name=ProcII5>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo V|II, 5]]}}.</ref> Giovanni, giunto in Campania con i suoi soldati, si unì ai cinquecento già lì, e, provvedutosi di moltissimi carri dalla Calabria, marciò lungo le coste con essi, intendendo usarli come una sorta di vallo, per respingere eventuali attacchi nemici. Comandò inoltre a Paolo e Conone di raggiungerlo con tutte le loro truppe a Ostia via mare. Riempiti i carri di molto frumento ne fece riempire anche le navi con l'aggiunta di vino e di qualunque altro bene primario; intendeva inoltre ricongiungersi con Martino e Traiano nei pressi di [[Terracina]] per continuare con loro il cammino, ma, avvicinatosi a quella città, fu informato della loro partenza; erano stati infatti richiamati poco prima a Roma.<ref name=ProcII5/>
 
Belisario, informato dell'arrivo imminente delle truppe di Giovanni, temette che i Goti, sfruttando la loro superiorità numerica, riuscissero a intercettarle lungo la via e ad annientarle in battaglia; per evitare questa evenienza Belisario escogitò uno stratagemma.<ref name=ProcII5/> All'inizio della guerra Belisario aveva chiuso con un muro di pietre la porta Flaminia, al di fuori della quale vi era un accampamento goto, per migliorare le difese dell'Urbe assediata. Ebbene, Belisario fece abbattere di notte col massimo silenzio quel muro di pietre addossato alla porta mettendovi in ordinanza la maggior parte dell'esercito, ed ai primi albori ordinò a Traiano e Diogene una sortita dalla porta Pinciana con mille cavalieri per assalirne gli steccati con frecce, raccomandando loro di riparare subito dentro le mura a galoppo; dispose inoltre altri soldati nei pressi della porta. I cavalieri di Traiano, in adempimento dell'ordine ricevuto, provocarono così i Goti che però in breve tempo li costrinsero a indietreggiare fuggendo verso la porta Pinciana, inseguiti dai Goti.<ref name=ProcII5/>
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=== Trattative con i Goti ===
Gli Ostrogoti, nel frattempo, erano stati pesantemente indeboliti dalle sortite degli assediati fuori le mura e dalla pestilenza, perdendo molti uomini.<ref name=ProcII6>{{cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo VI|II, 6]]}}.</ref> Procopio afferma addirittura che, poiché soffrivano gravemente la fame a causa del mancato arrivo di vettovaglie nei loro accampamenti (ostacolato dalle scorrerie bizantine), i Goti potevano soltanto di nome e di apparenza considerarsi assediatori, ma in realtà, in un certo senso, erano loro gli assediati.<ref name=ProcII6/> Quando furono informati dell'imminente arrivo per terra e per mare dei rinforzi inviati dall'Imperatore, gli Ostrogoti, perdute le speranze di uscirne vincitori dall'assedio, decisero di ricorrere alla diplomazia inviando un romano e due goti in qualità di oratori a Belisario.<ref name=ProcII6/> Questo fu il discorso tra Belisario e gli oratori goti secondo Procopio:
{{Citazione|ORATORI: Chiunque di voi ha sperimentato le sciagure della guerra non ignora, affé mia, che nessuna delle parti ebbene mai profitto: e chi di noi e di voi oserebbe impugnare il noto a tutti? Né, a mio credere, avrò contraddittori tranne un demente, nell’asserire stoltezza per uno stimolo di onore il voler mai sempre ravvolgere nei mali, anzi che procacciare un termine alle comuni molestie. Andando pertanto così le bisogne dovranno i rettori d’ambe le genti anzi che fare strazio, per acquistar gloria, delle vite de’ sudditi, mettere un fine, col seguire quanto giustizia ed una scambievole utilità impongono, alle presenti sciagure. Conciossia ché l’amore della moderazione ben ha il mezzo di combinare ogni ardua e malagevol cosa, la soverchia cupidigia di maggioranza al contrario mercé di quella sua connaturale malignità non sa mai compiere nulla di buono. Laonde qui veniamo col proponimento di finire la guerra, ed a patti di reciproco vantaggio: avvegnaché per essi cediamo in parte i nostri diritti. Né voi, o Romani, per certa qual orgogliosa bramosìa di contenderla con noi v’ostinate a preferire un rovinoso partito a quanto il proprio interesse imperiosamente v’inculca. Del rimanente sembrami ora opportuno di ommettere un continuato ragionamento nel disporre questi accordi, ma ove si opini fuor di proposito qualche nostro detto chiederne subito la necessaria dichiarazione, e così ne avverrà ad ognuno di manifestare con brevità ed accuratezza I’animo suo, e di condurre in dicevol guisa a buon fine le assunte funzioni.
 
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Il discorso terminò qui e i Goti tornarono nei loro campi. Nei giorni successivi fu stabilita una tregua di tre mesi.
 
Nel frattempo le navi degli Isauri approdarono nel Porto di Roma, e Giovanni con le sue truppe raggiunse Ostia senza trovare opposizioni.<ref name=ProcII7>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo VII|II, 7]]}}.</ref> Per prevenire un eventuale attacco nemico, gli Isauri decisero di scavare intorno al Porto un'alta fossa e di farvi una continua guardia a turni; similmente le truppe di Giovanni fortificarono il loro accampamento circondandolo con i carri. Belisario li raggiunse nel corso della notte a Ostia con cento cavalieri, raccontando loro l'esito della recente battaglia e della tregua stabilita con i Goti, comandando loro di affidare a lui il carico e di trasferirsi prontamente a Roma, assicurando loro che avrebbe provveduto affinché non incontrassero pericolo di sorta.<ref name=ProcII7/> All'alba Antonina, la moglie di Belisario, convocò i comandanti dell'esercito per deliberare su come trasportare nell'Urbe le vettovaglie portate, impresa certo ardua, non potendo né fare affidamento sui buoi sfiniti per le fatiche precedenti, né essendo sicuro percorrere con i carri le vie anguste, né potendole trasportare su imbarcazioni lungo il Tevero, essendo il fiume insidiato dai presidi goti. Antonina munì i palischelmi di alte tavole in modo da proteggere i condottieri a bordo dalle frecce nemiche, e vi pose arcieri, nocchieri, e tutte le vettovaglie possibili. Sospinti da vento propizio, ma ostacolati lungo le svolte del fiume dalla forte corrente in senso opposto, i palischelmi carichi di vettovaglie navigarono verso Roma lungo il Tevere, mentre gli Isauri, rimasti in grande numero nei pressi del Porto, vegliarono la sicurezza delle navi. I Goti nei loro accampamenti e quelli a presidio della città di Porto si guardarono bene dall'insidiarli, dubitando che sarebbero riusciti a raggiungere la città con le vettovaglie per tale via, e non volendo essere accusati di frode e vanificare la tregua promessa da Belisario ma non ancora raggiunta. I Bizantini riuscirono dunque a trasportare a Roma tutto il carico delle navi, quando era già giunto il solstizio d'inverno dell'anno 537.<ref name=ProcII7/> Il resto delle truppe entrò a Roma, ad eccezione di Paolo, rimasto con un reggimento di Isauri a presidiare Ostia.<ref name=ProcII7/>
 
Furono poi consegnati gli ostaggi da ambedue le parti (dai Bizantini Zenone, dai Goti Ulia) e sancita una tregua di tre mesi. Nel frattempo tornarono gli ambasciatori da Costantinopoli con gli ordini dell'Imperatore Giustiniano, che stabilì che, se una delle parti in questo intervallo osasse provocare l'altra con oltraggi, non si dovesse per questo impedire agli inviati di fare ritorno presso la gente loro; e così gli oratori dei Goti, accompagnati da scorta bizantina, si avviarono per Costantinopoli.<ref name=ProcII7/> Nel frattempo il genero di Antonina, Ildigero, arrivò dall'Africa conducendo un grande numero di cavalieri, e i Goti di presidio nella fortezza di Porto, sprovvisti di annona, perché i Bizantini bloccarono ogni possibilità ai Goti di trasportare vettovaglie nella fortezza via mare, ottennero da Vitige il permesso di abbandonare la fortezza e di tornare nei propri accampamenti. Dopo l'abbandono di Porto da parte dei Goti, vi entrò il generale bizantino Paolo con gli Isauri di stanza a Ostia. Sempre per mancanza di cibo, i Goti abbadonarono Centumcelle, città marittima della Tuscia lontana 280 stadi da Roma, come anche la città di Albano, prontamente occupate dai Bizantini. Vitige, furioso, inviò oratori a Belisario, accusandolo di aver violato la tregua, con l'occupazione di Porto, Centumcelle e Albano; ma il comandante bizantino li congedò con ironico riso chiamando vano pretesto le loro lamentele.<ref name=ProcII7/>
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Nel frattempo, Dazio, vescovo di Milano, e alcuni suoi concittadini venuti a Roma, chiesero a Belisario di inviare nell'Italia Settentrionale alcuni reggimenti, in modo da sottrarre ai Goti e restituire all'Imperatore non solo Milano, ma anche l'intera Liguria. Belisario promise loro aiuti, e passò a Roma l'inverno.<ref name=ProcII7/>
 
Nel frattempo un romano di nome Presidio residente a Ravenna, guardato con sospetto dai Goti, con il pretesto di una battuta di caccia, aveva lasciato Ravenna, portando con sé, di tutti i suoi oggetti preziosi, soltanto due pugnali con guaine adorne di molto oro e gemme.<ref name=ProcII8>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo VIII|II, 8]]}}.</ref> Arrivato a Spoleto, prima di entrarvi con il seguito, si avviò a un tempio fuori dalle mura. Costantino, di stanza a Spoleto, lo chiamò a giudizio facendosi cedere entrambi i pugnali, mandandovi a tale scopo Massenziolo suo pavesaio.<ref name=ProcII8/> Presidio reagì recandosi a Roma per presentare ricorso a Belisario; nel frattempo anche Costantino riparò nell'Urbe, essendo stato informato dagli esploratori dell'avvicinarsi dell'esercito nemico. Fintanto l'Urbe sopportava i rigori dell'assedio e gli affari imperiali erano avvolti nell'incertezza e nella confusione Presidio tacque, ma non appena visto gli oratori gotici calcare la via di Bisanzio, Presidio cominciò frequentemente a vedersi con Belisario per rammentargli il torto sofferto e pregandolo di rendergli giustizia; Belisario rimproverò allora Costantino, pregandogli di restituire il maltolto per purgarsi dall'azione iniqua commessa, ma invano. Un giorno Presidio, imbattutosi in Belisario mentre questi cavalcava nel Foro, prese le redini del cavallo e gli chiese ad alta voce se gli statuti imperiali prevedessero che un disertore dei Barbari, venuto supplichevole con buone intenzioni, fosse per strada spogliato violentemente di tutto quanto avesse con sé. Tutti coloro nelle vicinanze gli imposero minacciosi di ritrarre la mano dalle redini, ma non le abbandonò finché non si fosse fatto promettere da Belisario che sarebbe tornato in possesso delle sue armi.<ref name=ProcII8/>
 
Il giorno dopo, dunque, Belisario, convocati in una camera del palazzo imperiale Costantino e molti altri comandanti e riepilogato quanto era avvenuto il giorno precedente, esortò il reo alla restituzione dei pugnali. Costantino si rifiutò dichiarando di preferire il gettarli mille volte nel Tevere, piuttosto che restituirli al legittimo proprietario. Belisario, irritato, gli rammentò di essergli subordinato e comandò l'intervento delle sue guardie. All'entrata delle guardie, Costantino, temendo che lo volessero uccidere, attentò alla vita di Belisario tentando di ucciderlo con una spada, ma senza riuscirci. Valentino e Ildigero, allora, lo trattennero, prendendolo per la destra l'uno e per la sinistra l'altro, mentre le lance levarono di forza dalla mano dell'assalitore la spada, e non molto tempo dopo, per ordine di Belisario lo uccisero.<ref name=ProcII8/>
 
Poco tempo dopo, i Goti fecero un ultimo tentativo di espugnare l'Urbe: calarono alcuni soldati in un acquedotto prosciugato all'inizio della guerra, i quali con lumi e fiaccole in mano procedettero lungo l'acquedotto alla ricerca di un'entrata nell'Urbe.<ref name=ProcII9>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo IX|II, 9]]}}.</ref> Tuttavia, per tale apertura, non distante dalla Porta Pinciana, una delle guardie a presidio della suddetta Porta, insospettitosi al vedere l'insolito chiarore, riferì tutto ai compagni, ma essi congetturarono che si fosse trattato di un lupo. Nel frattempo i Goti non poterono procedere oltre a causa di un ostacolo piazzato da Belisario per precauzione all'inizio dell'assedio; essi, dunque, dopo aver estratto una pietra, decisero di tornare indietro e di riferire tutto a Vitige, mostrandogli la pietra che mostrava indicazioni precise del luogo dov'essa giaceva. Il giorno successivo, avendo Belisario sentito il discorso tra le guardie riguardante il sospetto del lupo, il condottiero comandò che i guerrieri più coraggiosi dell'esercito, con la sua lancia Diogene, si intrufolassero nell'acquedotto per eseguirvi prontamente diligentissime ricerche. Essi riscontrarono nell'acquedotto le gocciolature delle lucerne, le smoccolature delle fiaccole e anche il luogo dove i Goti avevano estratto la pietra; essi dunque, tornati indietro, riferirono tutto a Belisario, il quale, per tutta risposta, guernì l'acquedotto di valenti guerrieri.<ref name=ProcII9/>
 
I Goti, nel frattempo, avevano deciso di assalire apertamente le mura, e, scelta l'ora del pranzo, si diressero verso la porta Pinciana cogliendo di sprovvista gli assediati. Muniti di scale e fuoco, tutti ricolmi di speranza che avrebbero espugnato l'Urbe già al primo assalto, assalirono le mura, venendo tuttavia respinti da Ildigero e dai suoi uomini. I Romani, informati dell'attacco, accorsero da ogni parte a respingere gli assalitori, e i Goti retrocedettero nei loro accampamenti. Vitige tentò allora di sfruttare il fatto che gli antichi Romani, fidandosi delle difese naturali già fornite dal Tevere, avevano fabbricato con tanta negligenza le mura che esse erano molto basse e del tutto prive di torri. Vitige allora istigò con denaro due Romani domiciliati nei pressi della chiesa dell'apostolo Pietro a visitare di notte, portando un otre piena di vino, i custodi là di stanza, simulando amicizia; essi avrebbero dovuto versare nel bicchiere di vino dei custodi del sonnifero. Non appena le guardie fossero vinte dal sonno, dall'opposta riva del Tevere i Goti avrebbero dovuto oltrepassare il Tevere per poi, muniti di scale, scalare le mura.<ref name=ProcII9/> Tuttavia, uno dei romani corrotti da Vitige con denaro avvisò della trama ordita Belisario, che dunque fece torturare l'altro romano corrotto, il quale confessò e tirò fuori il narcotico avuto da Vitige. Belisario, per punire il tradimento, gli fece tagliare il naso e le orecchie, e lo mandò in groppa a un asino presso l'accampamento nemico per informare i Goti del fallimento del loro piano.<ref name=ProcII9/>
 
Nel frattempo Belisario aveva scritto a Giovanni comandandogli di devastare il Piceno e di ridurre in schiavitù la prole e le mogli dei Goti con i suoi duemila cavalieri. Giovanni eseguì prontamente gli ordini ricevuti, devastando con successo il Piceno e annientando un esercito goto condotto da Uliteo, zio del re Vitige.<ref name=ProcII10>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo X|II, 10]]}}.</ref> Tuttavia, non rispettò l'ordine ricevuto da Belisario di espugnare tutte le città fortificate lungo il cammino (in modo da non lasciarsi eserciti ostili alle spalle). Evitò di assediare e di espugnare i centri fortificati di Osimo e Urbino, puntando direttamente su Rimini, distante da Ravenna un giorno di viaggio. La guarnigione di Rimini, alla notizia della marcia di Giovanni, fuggì celermente a Ravenna, permettendo così a Giovanni di occupare la città senza nemmeno combattere. A Rimini Giovanni ricevette un messaggero inviatogli in segreto da [[Matasunta]], moglie del re Vitige, che gli chiese di sposarla.<ref name=ProcII10/>
 
Secondo [[Procopio di Cesarea]] Giovanni occupò Rimini lasciandosi alle spalle le guarnigioni nemiche di Osimo e di Urbino, non perché avesse dimenticato gli ordini di Belisario o fosse diventato sconsideratamente audace, ma perché riteneva, e i fatti confermarono la sua supposizione, che i Goti, alla notizia dell'esercito bizantino nelle vicinanze di Ravenna, avrebbero levato l'assedio dell'Urbe per accorrere in difesa di Ravenna.<ref name=ProcII10/> Alla fine la tattica di Giovanni funzionò: i Goti, infatti, non appena furono informati della caduta di Rimini in mano di Giovanni, patendo di gravi carenze di vettovaglie e prossimi alla fine dell'armistizio trimestrale, levarono l'assedio dell'Urbe. Si era già in prossimità dell'[[equinozio di Primavera]] dell'anno 538 quando i Goti, bruciate per intero le proprie trincee, batterono la ritirata all'alba dopo un anno e nove giorni di assedio.<ref name=ProcII10/> Gli Imperiali, vedutane la fuga, erano divisi su come reagire a quel frangente, poiché Belisario aveva spedito molti cavalieri fuori dalle mura, che non potevano competere alle molto superiori numericamente truppe nemiche. Belisario fece armare fanti e cavalieri, e, non appena oltre la metà dei Goti ebbe valicato il Ponte, uscì dalla [[Porta Pinciana]] con l'esercito. Nella battaglia che seguì entrambe le parti ebbero pesanti perdite. Volendo ciascuno essere il primo a valicare il ponte, si affollarono in spazi angustissimi, venendo uccisi dalle armi dei propri commilitoni e da quelle delle truppe nemiche, senza contare i molti che dal ponte cadevano giù nel Tevere. Il resto dei Goti raggiunse precipitosamente coloro che avevano già oltrepassato il ponte. In quella battaglia si distinsero l'isauro Longino e Mundila, astati di Belisario. L'ultimo riuscì a tornare sano e salvo dopo aver ucciso quattro Goti in singolare tenzone, mentre il primo, a cui Procopio ascrive il merito della fuga dei Goti, perì nel corso dello scontro.<ref name=ProcII10/>