Ludovico il Moro: differenze tra le versioni

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Dopo l'assassinio del duca suo fratello a Milano, il 26 dicembre [[1476]], sul trono del ducato gli succedette il figlio [[Gian Galeazzo Maria Sforza]], allora di soli sette anni. Ludovico ritornò frettolosamente dalla Francia non appena ricevuta conferma della notizia e, con l'aiuto del fratello [[Sforza Maria Sforza|Sforza Maria]], tentò di opporsi alla reggenza di [[Bona di Savoia]], madre di Gian Galeazzo Maria, non tanto perché egli fosse opposto alla condotta della donna, quanto perché il ducato era in quegli anni nelle mani del consigliere ducale [[Cicco Simonetta]], fiduciario di Bona. Ludovico e il fratello cercarono di sconfiggerlo con una congiura ai danni del governo milanese, ma il loro tentativo fallì.
 
Nel febbraio del 1479 il Moro e il fratello [[Sforza Maria Sforza|Sforza Maria]], indottiviindotti da [[Ferdinando I di Napoli]], entrarono con un esercito nella [[Repubblica di Genova]] dove si unirono a [[Roberto Sanseverino]] e [[Ibletto Fieschi]]. [[Bona di Savoia]] e [[Cicco Simonetta]] convinsero [[Federico Gonzaga]] ed [[Ercole d'Este]] a radunare un esercito e venire in soccorso del Ducato dietro il pagamento di un ingente somma di denaro mentre un secondo esercito alla guida di [[Roberto Malatesta]] e [[Costanzo I Sforza|Costanzo Sforza]] avrebbe fronteggiato le truppe del pontefice.
Il 1º marzo il Moro e il fratello vennero dichiarati ribelli e nemici del Ducato e vennero loro revocate le entrate che percepivano in virtù della dote materna. Dopo aver compiuto saccheggi nel pisano, i due tornarono in [[Liguria]]. Il 29 luglio Sforza Maria Sforza morì in un accampamento presso [[Varese Ligure]], forse avvelenato o di morte naturale. Ferdinando I di Napoli nominò il Moro quale nuovo [[duca di Bari]]. Il 20 agosto Ludovico riprese la marcia alla volta di Milano alla testa di un esercito di 8.000 uomini attraversando il [[Passo di Centocroci]] e risalendo la [[Valle Sturla]]. Il 23 agosto prese la cittadella di [[Tortona]] dopo aver corrotto il castellano [[Rafagnino Donati]]. Risalì poi per [[Sale (Italia)|Sale]], [[Castelnuovo Scrivia]], [[Bassignana]] e [[Valenza (Italia)|Valenza]].
Dopo questi successi il Simonetta inviò Ercole d'Este a fermare il Moro con le armi tuttavia molti nobili vicini al duca spingevano per una riconciliazione così il 7 settembre, grazie all'intercessione di [[Antonio Tassino]], favorito e probabilmente amante della duchessa, il Moro fece ingresso a Milano e fu ospitato nella corte del [[Castello Sforzesco|castello]]. Il Simonetta, conoscendo la scaltrezza del Moro, si oppose fermamente alla riconciliazione e profetizzò a Bona che così facendo: ''"io perderò la testa, e voi in processo di tempo perderete lo stato".'' La permanenza del Moro a Milano permise di evitare lo scontro armato tra il suo esercito e quello del [[Ercole I d'Este|duca di Ferrara]]. La nobiltà ghibellina milanese, che aveva quale riferimento [[Pietro Pusterla]], sfruttò però la sua venuta per cercare di convincerlo a liberarsi del Simonetta che ormai era di fatto alla guida del Ducato mentre quest'ultimo per convenienza politica cercava di recuperarne il favore. Inizialmente non vi riuscì, pertanto fece imprigionare [[Orfeo Aricca]] e cercò appoggio nei marchesi di Mantova e del Monferrato nonché in [[Giovanni Bentivoglio]] e [[Alberto Visconti]], progettando una rivolta armata contro il segretario ducale. Il Moro, venutolo a sapere, fu costretto a farlo imprigionare insieme ai suoi famigliari e presto le proprietà milanesi del segretario ducale furono saccheggiate. Qualche giorno dopo Cicco e il fratello Giovanni furono trasferiti su un carro nelle prigioni del [[castello di Pavia]] sotto la sorveglianza del prefetto [[Giovanni Attendolo]], [[Orfeo Aricca]] fu imprigionato nel [[castello di Trezzo]] mentre gli altri famigliari furono rilasciati. Ercole d'Este, considerando ormai il Ducato nelle mani del Moro, fuggì a [[Ferrara]].<ref>B. Corio, ''Storia di Milano'', Milano, 1856, vol III, pp. 346-351</ref>