Camillo Benso, conte di Cavour: differenze tra le versioni

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Per questo motivo, padre Giacomo, parroco di [[Chiesa di Santa Maria degli Angeli (Torino)|Santa Maria degli Angeli]], chiesa nella quale avvennero poi le esequie<ref>Roberto Dinucci, ''Guida di Torino'', Edizioni D'Aponte, p. 127</ref><ref>Marziano Bernardi, ''Torino&nbsp;– Storia e arte'', Torino, Editori Fratelli Pozzo, 1975, p. 122</ref>, dopo aver riferito i fatti alle autorità religiose fu richiamato a Roma, [[Sospensione a divinis|sospeso ''a divinis'']] e poi dimesso dallo stato clericale. Subito dopo il colloquio con padre Giacomo, Cavour chiese di parlare con [[Luigi Carlo Farini]] al quale, come rivela la nipote Giuseppina, confidò a futura memoria: «Mi ha confessato ed ho ricevuto l'assoluzione, più tardi mi comunicherò. Voglio che si sappia; voglio che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono tranquillo e non ho mai fatto male a nessuno»<ref>In [https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/amicus-eugenius-br--cavourtra-monarchia-br--fede-e-sacramenti_20150611 In Gianni Gennari, ''[[Avvenire]]'', 11 giugno 2015]</ref>.
 
Nel 2011, è stata ritrovata una missiva di padre Giacomo a Pio IX, nella quale il frate racconta che Cavour aveva dichiarato che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Per cui il confessore «incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte» la mattina del 5 giugno concesse il sacramento. Scrisse anche che «nel corso della sua gravissima malattia», Cavour «era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente». Il frate chiude quindi la lettera di scuse ribadendo di «aver fatto, quanto era in sé, il suo officio»<ref name=atto>{{Cita web|titolo="Cavour ultimo atto l'inferno può attendere", ''La Stampa'', 20 aprile 2011|url=http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/398777/|accesso=5 giugno 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110927175731/http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/398777/|dataarchivio=27 settembre 2011|urlmorto=sì}}</ref>.
 
Verso le nove giunse al suo capezzale il Re. Nonostante la febbre il Conte riconobbe Vittorio Emanuele, tuttavia non riuscì ad articolare un discorso molto coerente: «Oh sire! Io ho molte cose da comunicare a Vostra Maestà., molte carte da mostrarle: ma son troppo ammalato; mi sarà impossibile di recarmi a visitare la Vostra Maestà; ma io le manderò Farini domani, che le parlerà di tutto in particolare. Vostra Maestà ha ella ricevuta da Parigi la lettera che aspettava? L'Imperatore è molto buono per noi ora, sì, molto buono. E i nostri poveri Napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli. Sire, sì, sì, si lavi, si lavi! Niente stato d'assedio, nessun mezzo di governo assoluto, Tutti sono buoni a governare con lo stato d'assedio [...] Garibaldi è un galantuomo, io non gli voglio alcun male. Egli vuole andare a Roma e a Venezia, e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto all'Istria e al Tirolo è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiamo fatto abbastanza noialtri: abbiamo fatto l'Italia, sì l'Italia, e la cosa va...»<ref>{{Cita libro|autore=Indro Montanelli|titolo=L'Italia dei Notabili (1861-1900)|anno=1973|editore=Rizzoli|città=Milano}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://win.storiain.net/arret/num150/artic1.asp|titolo=La morte di Cavour|sito=win.storiain.net|accesso=2017-09-20}}</ref>
 
Secondo l'amico Michelangelo Castelli le ultime parole del Conte furono: «L'Italia è fatta - tutto è salvo», così come le intese al capezzale [[Luigi Carlo Farini]]. Il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla [[proclamazione del Regno d'Italia]], Cavour moriva così a Torino nel [[Palazzo Benso di Cavour|palazzo di famiglia]]. La sua fine suscitò immenso cordoglio, anche perché del tutto inattesa, e ai funerali vi fu straordinaria partecipazione<ref>{{Cita|Romeo|p. 525}}.</ref>.