Mario Roatta: differenze tra le versioni

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=== Il ruolo nel salvataggio degli ebrei in Dalmazia ===
{{C|Quale sia il ruolo del generale Roatta nel salvataggio degli ebrei non è chiaro, la maggior parte del paragrafo ne parla in termini generali, come più un accordo condiviso sottinteso, che il risultato di ordini diretti di Roatta. Altra grande parte del paragrafo parla di altro (promozione di Roatta, azioni contro i partigiani croati, ecc..|Storia|febbraio 2020}}
La Germania nel 1942 aveva richiesto all'Italia la consegna degli ebrei che erano stati isolati e in parte già internati in apposite strutture delle zone occupate, soprattutto della [[Dalmazia]]. L'iniziale risposta di Mussolini era stata accondiscendente, tuttavia alle assicurazioni del Duce non seguivano fatti coerenti delle amministrazioni periferiche. Peraltro, il Vaticano si muoveva con monsignor Montini (in seguito [[papa Paolo VI]]) e altri alti prelati per scongiurare l'ipotesi, sebbene solo nel novembre dello stesso anno il segretario di stato pontificio chiese formalmente all'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede [[Raffaele Guariglia]] di non procedere alla consegna. La richiesta faceva seguito a trattative localmente intessute dal [[vescovo]] di [[diocesi di Trieste|Trieste]] e [[diocesi di Capodistria|Capodistria]] [[Antonio Santin]], che aveva avviato un carteggio con Roatta, comandante della 2ª Armata e responsabile della forza di occupazione italiana; in questi scambi Roatta aveva promesso che, se pure non poteva trasferire gli ebrei in Italia, comunque poteva trattenerli nella zona occupata<ref name=zuccotti />.
 
In realtà, intanto l'ordine di Mussolini aveva formalmente e ufficialmente solo scopi di identificazione, nonché il proposito di rendere alle autorità croate quelli che fossero stati riconosciuti cittadini croati. Incominciarono dunque a pervenire a Roma diversi pareri di autorità italiane che sconsigliavano di aderire alla richiesta dell'alleato germanico: il generale dei [[Carabinieri]] [[Giuseppe Pièche]] comunicò che la sorte dei deportati cominciava a essere nota presso le truppe, provocando malcontento, mentre serbi e musulmani si affidavano al [[tricolore]] temendo che la sorte potesse volgere anche a loro pericolo. Il governatore della Dalmazia [[Giuseppe Bastianini]] era poco dopo andato nella Capitale ad esprimere le stesse perplessità. A distanza di solo qualche giorno, andò a Roma anche Roatta, per il quale l'eventuale consegna avrebbe provocato irritazione nella popolazione locale, agitazione della minoranza serba e grave complicazione delle attività di controllo; tutto ciò mentre negli alti gradi militari e diplomatici serpeggiava autonoma insofferenza per l'ingerenza tedesca in sfere di esclusiva competenza nazionale<ref name="zuccotti">Susan S. Zuccotti, ''Il Vaticano e l'Olocausto in Italia'', Sintesi (Bruno Mondadori) / [ESBMO] / Editore Pearson Italia S.p.a., 2001 - ISBN 8842498106</ref>.
 
C'erano naturalmente anche diffuse contrarietà limpidamente basate su questioni umanitarie; a ogni modo si sviluppò un [[ostruzionismo]] che si nutriva di cavilli evasivi ed espedienti burocratici, che ritardava ogni giorno di più la consegna, sino a che nel 1943 Mussolini, messo alle strette dai tedeschi, sentiti i responsabili italiani delle aree coinvolte, fra cui anche Roatta, negò definitivamente la consegna<ref name=zuccotti />. {{sf|In base a diverse testimonianze di ebrei croati sopravvissuti, si è ricostruito che la 2ª Armata italiana, con Roatta e i suoi ufficiali superiori, operò tra il 1942 e il 1943 in modo da evitare la deportazione delle comunità ebree di [[Dalmazia]] e di quelle che sfuggivano al [[genocidio]] perpetrato dagli [[ustascia]] croati nella zona di occupazione tedesca. Sembra, ma non esistono fonti sicure, che l'Armata di Roatta diede rifugio, distribuì generi di prima necessità e cure, permise ai bambini di continuare i propri studi.}}
La 2ª Armata decise in più occasioni di proteggere i villaggi serbi e la popolazione ortodossa dai massacri croati. Bande di [[cetnici]] furono persino armate dagli italiani e inquadrate come forze ausiliarie. Analoghe testimonianze provengono dagli archivi tedeschi i quali sostengono che le truppe al comando di Roatta si interposero spesso tra gli [[ustascia]] e le comunità in pericolo. Ciò nonostante truppe italiane, dietro suo ordine diretto o raccomandazione generale, fucilarono prigionieri partigiani, rifiutarono la resa ad alcuni reparti della resistenza iugoslava, applicarono le rappresaglie, prelevarono ostaggi tra la popolazione civile, e fecero terra bruciata dei borghi sospettati di dare rifugio ai partigiani. Spesso senza nessuna motivazione plausibile. Gli stessi nazisti criticarono i metodi troppo drastici che applicava il generale Roatta con la sua Armata nei territori italiani.
In un bollettino, Roatta specificava: "Non occhio per occhio e dente per dente! Piuttosto una testa per ogni dente”.